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  • Lunedì 26 luglio 2021

Le proteste per l’acqua in Iran

Vanno avanti da settimane, soprattutto nella provincia del Khuzestan, e hanno provocato la violenta reazione del regime

Una manifestazione di protesta a Izeh, nella provincia del Khuzestan
Una manifestazione di protesta a Izeh, nella provincia del Khuzestan

In Iran da più di due settimane si protesta per la scarsità d’acqua nel paese. Negli ultimi giorni le manifestazioni si sono fatte più intense e sono state represse con violenza dalle forze di sicurezza. Le proteste si sono tenute principalmente nella provincia del Khuzestan, nel sudovest del paese, dove il problema della mancanza di acqua è più grave, ma ce ne sono state diverse anche in altre zone dell’Iran, compresa la capitale Teheran.

Il Khuzestan, oltre a essere la provincia da cui l’Iran estrae la maggior parte del petrolio (circa l’80 per cento del totale), è anche quella in cui si trovano le maggiori risorse idriche iraniane. Qui la maggior parte della popolazione vive di agricoltura, e la mancanza d’acqua ha esasperato persone che già vivono in condizioni di grande povertà.

Secondo le autorità iraniane, la carenza di acqua nel Khuzestan è dovuta alla grave siccità che ha colpito l’Iran da marzo e che si è aggravata negli ultimi giorni a causa delle temperature molto elevate che hanno aumentato la richiesta di acqua in tutto il paese. Le temperature molto alte non sono una novità nel periodo estivo, ma il caldo di questi giorni ha raggiunto livelli mai visti: in alcune zone si è raggiunta una temperatura di 50 °C  e una riduzione di più del 50% delle precipitazioni rispetto alla media di questo periodo.

Il governo iraniano ha detto che il caldo anomalo e la siccità sono da imputare principalmente al cambiamento climatico, ma secondo i manifestanti ci sono gravi colpe delle autorità governative nella gestione delle risorse idriche: la costruzione di dighe sui più importanti fiumi della provincia, con l’obiettivo di deviare i corsi d’acqua verso le zone desertiche dell’Iran, avrebbe finito per lasciare il Khuzestan privo di quella che sarebbe una delle sue principali risorse.

Le prime proteste erano iniziate il 6 luglio, quando alcuni agricoltori della minoranza araba del Khuzestan erano partiti dalla città di Marvaneh alla volta di Ahvaz, capoluogo della provincia, per manifestare contro le autorità locali a causa della crisi idrica e delle ripetute interruzioni di corrente elettrica. Nei giorni successivi le proteste si erano intensificate in tutta la provincia, e avevano cominciato a diffondersi anche in altre zone dell’Iran dove il problema della scarsità d’acqua era meno avvertito.

Nonostante le proteste siano state perlopiù pacifiche, la polizia ha risposto con grande violenza nei confronti dei manifestanti: in particolare in una protesta del 15 luglio che si era tenuta nella città di Aligudarz, nella provincia del Lorestan, confinante con il Khuzestan, la polizia iraniana aveva sparato proiettili e lanciato gas lacrimogeni contro i manifestanti. Secondo l’agenzia di stampa iraniana Fars News Agency, erano morti 3 manifestanti e un poliziotto, ma secondo diverse associazioni per i diritti umani i morti sarebbero stati molti di più: Amnesty International sostiene che siano stati almeno 8, mentre secondo il sito iraniano HRANA ci sarebbero stati 10 morti e più di 100 arresti.

Oltre a slogan per chiedere interventi immediati del governo per porre fine alla crisi idrica, in diverse manifestazioni sono stati urlati anche slogan contro l’ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema dell’Iran e carica politica e religiosa più importante del paese, un fatto piuttosto insolito. In una protesta che si è tenuta nella città di Izeh, nel Khuzestan, alcuni manifestanti hanno inneggiato alla morte di Khamenei e alla fine della Repubblica Islamica, e simili scene si sono viste anche a Tabriz, nel nordovest dell’Iran, e a Teheran.

Proprio a Teheran, Narges Mohammadi, una delle più note attiviste per i diritti umani iraniane, è stata picchiata dalla polizia e fermata per alcune ore, come raccontato dal marito al New York Times: lei ed altri attivisti si erano radunati davanti alla sede del ministero dell’Interno per manifestare la propria solidarietà alla popolazione del Khuzestan.

Le notizie su altri possibili feriti e morti nelle proteste di questi giorni sono frammentarie e non confermate dalle autorità iraniane. Diverse persone hanno pubblicato sui social media foto e video delle violenze della polizia, ma la diffusione di maggiori informazioni è stata ostacolata da varie interruzioni della connessione a Internet da parte delle autorità iraniane, come evidenziato dall’osservatorio indipendente Netblocks.

I disordini di queste settimane sono arrivati in un momento piuttosto delicato per l’Iran, sia per la transizione politica dovuta all’elezione del nuovo presidente, l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, che il 5 agosto prenderà ufficialmente il posto dell’uscente Hassan Rouhani, sia per la pandemia da coronavirus e la difficile situazione economica causata in buona parte dalle sanzioni americane. Questi problemi nei mesi scorsi avevano già causato alcune proteste, tra cui uno sciopero dei lavoratori del settore petrolifero. In quei casi le autorità iraniane avevano taciuto.

Durante le ultime proteste, diversi politici sono intervenuti per esprimere il proprio sostegno ai manifestanti. Venerdì persino l’ayatollah Khamenei ha parlato in difesa delle persone che stanno protestando: in un messaggio pubblicato dalle agenzie di stampa iraniane, ha detto che i manifestanti hanno il diritto di protestare e lo stesso ha detto sabato il presidente uscente Rouhani, secondo cui «con l’eccezione di pochi, le persone stanno esercitando il proprio diritto legale a protestare».

Nonostante le dichiarazioni pubbliche, però, la polizia iraniana ha represso con violenza le proteste, ricevendo anche la dura condanna di Michelle Bachelet, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Il 23 luglio Bachelet ha detto che «invece di ascoltare le legittime richieste dei propri cittadini affinché il diritto all’acqua sia rispettato, le autorità iraniane hanno pensato solo a opprimere quelli che fanno tali richieste. La situazione è catastrofica e va peggiorando da molti anni. Le autorità devono riconoscerlo e agire di conseguenza. Sparare e arrestare le persone aumenterà semplicemente la rabbia e la disperazione».