Una raccoglitrice di foglie di tè a Shizuoka, in Giappone (Carl Court/Getty Images)

La scoperta che può cambiare il settore del tè

I microrganismi sulle foglie hanno un ruolo più importante di quanto si pensasse nel definire il gusto, dice uno studio che apre nuove prospettive

Ci sono molti fattori che influiscono sul gusto del tè che beviamo: la tipologia delle piante di Camellia sinensis (cioè la pianta del tè) da cui le foglie sono raccolte, lo stato delle foglie, il periodo di raccolta, la lavorazione. In Cina e in altri paesi dell’Asia orientale, dove il tè è molto importante sia dal punto di vista culturale sia economico, l’attenzione posta sui metodi di raccolta e produzione del tè è paragonabile a quella che in paesi europei come l’Italia e la Francia c’è per il vino. La ricerca scientifica sul tè è piuttosto vivace, e ha portato a notevoli scoperte: anche se in Europa i tè che beviamo sono più o meno sempre gli stessi, in Asia negli scorsi decenni sono state create numerosissime nuove varianti, che hanno avuto un successo commerciale spesso eccezionale.

Questo mondo del tè un po’ sconosciuto in Occidente si è entusiasmato di recente per una ricerca pubblicata dal Journal of Agricultural and Food Chemistry e ripresa dall’Economist, il cui contenuto si può sintetizzare così: gran parte del gusto dei tè non fermentati deriva dalla fermentazione. Detta così ha poco senso, ma nella pratica significa che gli scienziati che hanno condotto la ricerca potrebbero aver scoperto il modo di creare dei tè con sapori nuovi e particolari, impossibili da trovare in natura.

Il tè si divide in numerose categorie, e una delle divisioni più note è quella tra tè fermentati e tè non fermentati. I tè non fermentati sono quelli più comuni in Europa, come il tè nero o il tè verde, mentre i tè fermentati sono bevuti soprattutto in Asia e sono più pregiati, perché vengono sottoposti a un processo di fermentazione spesso molto lungo, che consente ai batteri e ai funghi presenti sulla superficie delle foglie di alterarne il sapore e altre caratteristiche. Il più famoso tra i tè fermentati è il pu’er, che viene fatto invecchiare come il whisky, e che stagionando, abitualmente, diventa più dolce e viscoso.

I pu’er invecchiati di decenni sono considerati delle prelibatezze, e in Asia vengono venduti a prezzi proibitivi. Anche la kombucha, una bevanda diventata molto popolare negli ultimi anni, è un tè fermentato, che però matura in un paio di settimane e non in decenni, grazie all’aggiunta dall’esterno di agenti lievitanti e batteri.

Finora si pensava che il gusto di questi due tipi di tè avesse dunque due origini diverse: i tè non fermentati dalla lavorazione (che prevede varie fasi di cottura, rollaggio, essiccatura), i tè fermentati dall’azione di funghi e batteri.

Ali Inayat Mallano e Jeffrey Bennetzen, due ricercatori della Anhui Agricultural University, in Cina, hanno dimostrato che in realtà funghi e batteri hanno un ruolo essenziale nella definizione del gusto anche dei tè non fermentati. Per farlo, hanno messo a confronto dei campioni di tè nero lavorati normalmente con degli altri campioni di tè sterilizzati in modo che la maggior parte dei funghi e dei batteri presenti fosse eliminata dalla superficie. Hanno analizzato le foglie, e hanno visto che mentre il contenuto di caffeina (o teina, che è la stessa cosa) tra i due campioni non variava, in quello sterilizzato diminuiva drasticamente il contenuto di catechine e di teanina, che sono due dei composti più importanti per stabilire la qualità del tè.

In pratica lo studio, che ha comportato l’infusione di una notevole quantità di tazze di tè, ha dimostrato che il buon sapore del tè nero è attribuibile in gran parte alla presenza e all’azione di funghi e batteri sulle foglie, esattamente come avviene con i tè fermentati.

Questa notizia ha creato un discreto entusiasmo nel mercato del tè perché Mallano e Bennetzen sono convinti che sia possibile modificare i microrganismi presenti sulle foglie per modificare il sapore dei tè non fermentati, in particolare del tè nero. Come ha scritto l’Economist, i due scienziati hanno già cominciato a lavorare a un nuovo studio per identificare quali, tra i vari microrganismi presenti abitualmente sulle foglie, sono responsabili delle alterazioni del sapore del tè.

I due studiosi sperano che a quel punto, manipolando batteri e funghi, sarà possibile ottenere nuove varietà di tè dal sapore mai sentito prima, riducendo la necessità di lavorazioni lunghe e complesse e senza il bisogno di ricorrere ad aromi per renderli più dolci o profumati, come succede adesso con numerose varietà popolari in Occidente (l’Earl Grey, per esempio, è un tè nero aromatizzato al bergamotto).

Il tè è di gran lunga la bevanda più popolare del mondo, dopo l’acqua potabile. Ogni giorno, ha stimato l’Economist, se ne consumano circa due miliardi di tazze, e il mercato globale del tè ha un valore di circa 200 miliardi di dollari.

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