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  • Giovedì 8 luglio 2021

La statistica dietro ai calci di rigore

Diversi studi spiegano i vari aspetti psicologici e tecnici che ne influenzano l'esito, al di là della componente di “fortuna”

italia spagna 2021
Il portiere spagnolo Unai Simon e il centrocampista italiano Jorginho, a Wembley, il 6 luglio 2021 (Laurence Griffiths/Getty Images)

Martedì, a Wembley, il centrocampista della nazionale italiana maschile di calcio Jorginho ha segnato, con celebrata e ammirevole freddezza, il rigore che ha concluso la partita contro la Spagna e portato l’Italia in finale agli Europei. Su 14 partite finora giocate nella fase a eliminazione diretta del torneo, tre sono finite ai calci di rigore dopo un risultato di parità alla fine dei tempi regolamentari e di quelli supplementari. Non è l’edizione con la percentuale più alta di rigori a fine partita: nel 1996 – quando le squadre partecipanti erano soltanto 16 e non 24 – finirono ai rigori ben 4 partite su 7 nella fase a eliminazione diretta.

Alcune persone, sia tra gli appassionati di calcio che tra quelli che lo seguono poco, credono che vincere una partita ai calci di rigore sia prevalentemente questione di fortuna. E in effetti “la lotteria dei rigori” è una delle frasi fatte più utilizzate per descrivere questo esito delle partite nei tornei a eliminazione, in caso di parità. Che il risultato di un calcio di rigore dipenda più dal caso che non da competenze specifiche, secondo uno studio pubblicato nel 2006 sulla rivista scientifica International Journal of Sport Psychology, è una credenza che tende a condizionare emotivamente i calciatori. Nello specifico, sostengono i ricercatori, più i calciatori pensano che il rigore sia questione di fortuna più è probabile che provino ansia a batterlo. Ma la percezione di avere il controllo è un aspetto fondamentale per l’esito positivo del tiro.

Uno degli autori dello studio è Geir Jordet, ricercatore del dipartimento di coaching e psicologia alla Norwegian School of Sport Sciences a Oslo, in Norvegia. In un thread su Twitter, Jordet ha segnalato una serie di altri studi condotti da lui e altri ricercatori sulle componenti psicologiche dei calci di rigore e delle prestazioni sportive «sotto pressione». «È un gioco psicologico!», ha scritto Jordet, dopo aver spiegato i metodi della ricerca, basata sull’analisi di ogni singolo calcio di rigore battuto nei principali tornei internazionali a partire dal 1976, e su interviste a 25 calciatori presenti all’epoca.


Uno dei primi studi citati da Jordet conferma un’impressione condivisa tra le persone che seguono il calcio abitualmente, ossia che gli aspetti psicologici siano tendenzialmente molto influenti. Prende in considerazione i 409 calci di rigore battuti alla fine delle 41 partite a eliminazione diretta terminate in parità dal 1976 al 2004 nei Mondiali, negli Europei e nella Coppa America. I risultati mostrano che i giocatori sbagliano più spesso quando la pressione è più alta (durante gli ultimi calci di rigore), quando hanno meno abilità nel tirare in porta (i difensori), quando hanno più di 23 anni (i giocatori giovani segnano di più) e quando sono affaticati (hanno giocato nei 120 minuti precedenti).

Anche essere percepiti e riconosciuti come giocatori molto forti e influenti può condizionare l’esito dei calci di rigore. Uno studio di Jordet pubblicato nel 2009 sulla rivista Journal of Applied Sport Psychology indica che, nella parte della loro carriera successiva alla vittoria di un prestigioso premio individuale, i calciatori segnano il 65 per cento delle volte in cui calciano un rigore. Prima di ricevere il premio la stessa percentuale è dell’89 per cento.


Un altro studio condotto ad Jordet insieme a Esther Hartman, docente del Dipartimento di Psicologia Medica e Clinica dell’Università di Tilburg, nei Paesi Bassi, mostra che nei casi in cui segnare il calcio di rigore è fondamentale per non perdere immediatamente la partita i calciatori lo segnano il 62 per cento delle volte. È in questi casi, inoltre, che si verifica più spesso quel tipico comportamento dei giocatori che, prima di battere il rigore, distolgono lo sguardo dal portiere o calciano il prima possibile. Quando invece segnare il rigore equivale a vincere immediatamente la partita, i calciatori lo segnano il 92 per cento delle volte.

Esiste poi una certa variabilità nel successo sui calci di rigore tra una squadra nazionale e l’altra, e anche una certa variabilità nei comportamenti dei giocatori di quelle nazionali. L’Inghilterra è una delle nazionali con le percentuali peggiori, avendo perso ai calci di rigore sei partite su nove nei tornei maggiori.

Diversi osservatori della partita tra Italia e Spagna, tra i quali l’ex capitano della nazionale spagnola Gerard Piqué, hanno citato una statistica secondo cui le squadre che battono il primo rigore – un diritto stabilito dall’esito di un sorteggio tramite lancio della moneta – hanno maggiori probabilità di vincere la partita. Nello specifico, secondo calcoli degli economisti spagnoli Ignacio Palacios-Huerta e Jose Apesteguia, basati sull’analisi di oltre 2.820 tiri in 269 sequenze di rigori tra il 1970 e il 2008, le squadre che calciano il primo rigore vincono il 60 per cento delle volte.

In passato questi calcoli sono stati contestati dallo stesso Jordet, che non ha avuto lo stesso tipo di riscontro nei tornei maggiori presi in considerazione nelle sue ricerche, e ipotizza che nei calcoli di Palacios-Huerta e Apesteguia abbiano molto peso i risultati dei tornei meno importanti.

In uno studio del 2009 sui calci di rigore nei Mondiali e negli Europei, Jordet ha osservato che le nazionali con i giocatori più titolati e vincenti a livello individuale o di squadra di club hanno meno successo ai rigori. I calciatori di quelle nazionali tendono inoltre a distogliere più degli altri lo sguardo dal portiere e a trascorrere meno tempo in attesa di calciare il rigore dopo il fischio dell’arbitro.

Ai calci di rigore esiste tra i giocatori anche una tendenza a subire condizionamenti sulla base dei risultati storici precedenti della nazionale di appartenenza. Se la sua squadra ha una tradizione sfavorevole, ci sono più probabilità che un calciatore sbagli il rigore e anche che lo calci più rapidamente, dimostra uno studio di Jordet e Hartman del 2011 basato su partite dei Mondiali e degli Europei dal 1976 al 2006. E questo effetto riguarda anche calciatori non direttamente coinvolti in quei precedenti storici negativi.

Gli stessi ricercatori, includendo nelle analisi anche le partite di Champions League finite ai calci di rigore, hanno condotto uno studio i cui risultati suggeriscono l’esistenza di una relazione tra tempi di reazione al fischio dell’arbitro e numero di gol segnati: più sono brevi, più è probabile sbagliare. Lo stesso studio indica però che un tempo breve di preparazione del rigore (incluso quello per il posizionamento del pallone), prima del fischio dell’arbitro, è associato a maggiori probabilità di segnare. Ed è forse questa la ragione per cui alcuni portieri temporeggiano fuori dalla linea di porta e cercano di estendere quel tempo prima del fischio dell’arbitro.

Intervistando dieci calciatori coinvolti in una partita degli Europei del 2004 finita ai rigori, il quarto di finale tra Svezia e Olanda (vinto dall’Olanda), Jordet ha scoperto che tra le varie emozioni positive e negative riferite l’unica condivisa da tutti fu l’ansia. E, in un altro studio, ha concluso che la tensione investe i calciatori riuniti a centrocampo ancora più di quello che si prepara a calciare il rigore.

Per quanto il calcio di rigore sia tutto sommato una delle azioni più individuali che ci siano nel gioco del calcio, le comunicazioni verbali e non verbali tra i giocatori della stessa squadra, come suggerito da un altro studio di Jordet, rappresentano una componente spesso determinante in termini di «contagio emotivo». Analizzando partite dei Mondiali e degli Europei, i ricercatori hanno notato che celebrare in modo espansivo o molto intenso – con entrambe le braccia – un gol segnato durante i rigori aumenta le probabilità di vittoria della squadra. Subito dopo esultanze di questo tipo è infatti più probabile che l’avversario sbagli il suo calcio di rigore.

Jordet ha concluso la sua riflessione sottolineando che conoscere i fattori di successo in una partita che va ai calci di rigore non sia sufficiente a vincerla. Le squadre forti ai rigori «si esercitano con qualità». La recente semifinale degli Europei finita ai calci di rigore tra Italia e Spagna è una dimostrazione di quanto siano intrecciati, in questa particolare fase delle partite, aspetti di carattere psicologico e talento e competenze specifiche dei calciatori.

Alcuni cronisti sportivi spagnoli hanno fatto notare qualche esitazione nella Spagna al momento di decidere quali giocatori avrebbero calciato i rigori. Altri analisti hanno apertamente criticato la decisione del commissario tecnico spagnolo Luis Enrique di lasciar tirare un rigore decisivo all’attaccante Álvaro Morata, autore del gol del pareggio ma, secondo alcuni, molto condizionato dalle critiche ricevute nelle ultime settimane sui media spagnoli. Riflessioni simili erano state fatte quando Didier Deschamps, l’allenatore della Francia, scelse Kylian Mbappé per calciare il quinto rigore, quello decisivo, contro la Svizzera: nonostante sia tra i più forti calciatori al mondo, ha solo 22 anni, e a disposizione c’erano compagni più esperti come Paul Pogba.

Altre riflessioni riguardo all’esito dei rigori tra Italia e Spagna si sono invece concentrate su aspetti meno psicologici e più tecnici, come per esempio l’abilità dell’italiano Jorginho nel battere i calci di rigore.