La testimonianza di Tim Cook al processo su Fortnite
L'amministratore delegato di Apple è stato sentito nell'ambito di un grande caso di antitrust contro la sua azienda, ed è andata così così
Venerdì Tim Cook, l’amministratore delegato di Apple, è stato sentito come testimone nel processo per antitrust in corso tra la sua azienda ed Epic Games – la casa produttrice del famoso videogioco Fortnite – che si sta tenendo nel tribunale di Oakland, in California. La deposizione di Cook, arrivata quasi alla fine del dibattimento processuale, era molto attesa, perché dall’esito del processo potrebbe dipendere il modo in cui Apple sarà costretta a gestire il suo App Store, uno dei prodotti più noti dell’azienda, e il modo in cui saranno gestiti tutti gli altri store digitali.
Gli esperti prevedono un verdetto favorevole ad Apple, ma il processo ha avuto uno sviluppo in parte sorprendente proprio durante la testimonianza di Cook, perché l’interrogatorio più duro e critico nei confronti dell’amministratore delegato di Apple è stato quello della giudice che dovrà decidere sul caso, Yvonne Gonzalez Rogers.
Il processo è stato intentato da Epic Games contro i sistemi di pagamento disponibili per le app come Fortnite: sia l’App Store sia il Play Store, lo store che Google utilizza sugli smartphone Android, impongono agli sviluppatori il pagamento di una percentuale su tutti gli acquisti fatti all’interno dell’app, e impediscono di usare metodi di pagamento alternativi. Questo significa che se un giocatore di Fortnite compra un potenziamento o un oggetto da usare all’interno del videogioco, Epic Games deve cedere una percentuale (il 30 per cento) del ricavo ad Apple.
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Lo scorso agosto Epic Games si era ribellata a questo sistema, introducendo un proprio servizio di pagamenti in-app, alternativo a quelli di Apple e Google, che offriva agli utenti un significativo risparmio perché non comprendeva la percentuale del 30 per cento precedentemente trattenuta. Come risposta, sia Apple sia Google avevano escluso Fortnite dai propri negozi di app, spiegando che aveva violato i termini stabiliti quando aveva accettato di distribuire l’app attraverso i loro servizi.
Epic Games aveva quindi fatto causa sia ad Apple sia a Google. Il processo ad Apple è di gran lunga il più atteso e importante, per l’influenza che l’azienda ha sul mercato degli smartphone.
La tesi di Epic Games è che Apple, con il suo App Store, gestisca un monopolio sulle app per iPhone e iPad, e che se ne serva per avvantaggiare i propri prodotti. Tra le motivazioni presentate da Epic c’è il fatto che, per esempio, il sistema dell’App Store dà un grande vantaggio ai servizi di Apple, per esempio il servizio di streaming musicale Apple Music, che godono di un margine di guadagno superiore non dovendo dare un terzo dei ricavi a un’altra società.
Se Epic riuscisse a dimostrare non soltanto che Apple gestisce un monopolio ma anche che abusa della sua posizione dominante, la sentenza potrebbe provocare un grande cambiamento sul mercato, e costringere per esempio Apple ad accogliere su iPhone e iPad non soltanto altre forme di pagamento all’interno dell’App Store, ma perfino altri negozi di app.
Durante il processo sono stati sentiti come testimoni numerosi alti dirigenti di Apple e sono stati resi pubblici documenti e conversazioni riservate della dirigenza dell’azienda, ma il momento più importante è stato la deposizione di Cook.
Cook è stato interrogato sia dall’avvocata di Apple, Veronica Moye, che ha fatto domande prevedibilmente poco impegnative che hanno consentito a Cook di ribadire che Apple non gestisce un monopolio, sia dal legale di Epic Games, Gary Bornstein, che ha concentrato le sue domande sui profitti che Apple ottiene dal suo App Store: è un elemento importante, perché la presenza di profitti consentirebbe a Epic di sostenere che Apple ha un interesse a mantenere il suo monopolio.
Benché gli analisti stimino che l’App Store generi profitti ingenti per Apple, e benché i documenti presentati durante il processo mostrino che Cook ha partecipato nel passato a riunioni sulla profittabilità dell’App Store, l’azienda non ha mai reso pubblici dati precisi, e Cook ha detto di non sapere quanto Apple guadagni dal suo prodotto. Ha risposto in maniera vaga, dicendo di non sapere o di non ricordare, anche ad altre domande sui guadagni di specifici prodotti o settori del business di Apple, o sugli investimenti spesi per migliorare l’App Store.
La sorpresa della giornata è stato però il duro interrogatorio fatto dalla giudice Yvonne Gonzalez Rogers, che ha rivolto a Cook le domande decisamente più dure e che in alcuni momenti è sembrata mettersi dalla parte di Epic. Tra le altre cose, la giudice ha chiesto a Cook perché Apple chieda una quota del 30 per cento sulle transazioni alle app di videogiochi e non, per esempio, alle app bancarie. «Voi chiedete soldi ai giocatori di videogiochi per sussidiare Wells Fargo», ha detto, citando una nota banca americana.
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La giudice ha criticato Apple anche su altre questioni, per esempio quando ha detto che la decisione di scontare le commissioni dell’App Store al 15 per cento ai piccoli sviluppatori, annunciata qualche mese fa, era stata fatta per evitare grane legali e non, come aveva sostenuto l’azienda, per aiutare gli imprenditori durante la pandemia.
Come ha notato Bloomberg, gli esperti legali ritenevano che Apple avesse un chiaro vantaggio in questo processo, perché gli argomenti di Epic Games sarebbero difficili da provare in maniera coerente. Lo scambio piuttosto duro tra la giudice Gonzalez Rogers e Cook, tuttavia, è stato uno scarto imprevisto e sfavorevole per Apple, anche se questo non determinerà necessariamente il risultato finale del processo. La sentenza sarà emessa direttamente dalla giudice Gonzalez Rogers (non è prevista una giuria) e dovrebbe arrivare entro metà agosto.