Si possono avere più di 150 amici?

Una ricerca ha messo in dubbio la teoria del "numero di Dunbar" sulla quantità massima di relazioni che può gestire una persona: Dunbar non l'ha presa bene

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Robin Dunbar è un antropologo britannico, ha 73 anni e ritiene che in media ogni essere umano non abbia più di 150 amici, una stima diventata nota come “numero di Dunbar”. La sua teoria piuttosto discussa e diffusa è stata da poco messa in dubbio da una nuova ricerca svolta in Svezia, secondo la quale diverse persone avrebbero molti più amici e conoscenti stretti grazie alle loro capacità sociali, alle energie e al tempo che dedicano per mantenerle attive e dinamiche.

Dunbar pubblicò la propria teoria nel 1993, dopo avere trascorso diverso tempo a studiare i primati non umani, chiedendosi se forma e dimensioni di alcune loro strutture cerebrali fossero un indicatore della capacità di questi animali di mantenere i rapporti sociali. Le sue analisi si concentrarono sulla neocorteccia, la parte della corteccia cerebrale che si ritiene essere la sede principale delle funzioni per la memoria, il linguaggio e in generale l’apprendimento. Dunbar notò una correlazione tra le dimensioni della neocorteccia e i gruppi in cui vivevano i primati non umani: più era grande la prima, più erano estesi i secondi, contando quindi un maggior numero di membri.

Dopo avere identificato questa relazione, Dunbar passò all’analisi della neocorteccia negli esseri umani, più grande ancora rispetto ai primati non umani più evoluti. Le sue analisi sui comportamenti sociali della nostra specie lo spinsero infine a stimare che in media ogni individuo stringa relazioni stabili e significative con al massimo 150 persone.

Per Dunbar le “relazioni significative” comprendono, al livello più basso, tutte quelle persone che conosciamo a sufficienza da scambiarci qualche parola se le incrociamo per strada. Il numero esprime un dato medio, perché ci sono individui più schivi e che si fermano a un centinaio di relazioni e altri più sociali che arrivano a 250.

Alla nascita, teorizza Dunbar, la quantità di individui con cui abbiamo questo tipo di relazioni è estremamente limitato e comprende al massimo un paio di persone. Le cose cambiano man mano che si cresce, raggiungendo un massimo di relazioni nella fascia tra i 20 e i 30 anni. Dopo questo periodo della propria vita la situazione si stabilizza intorno a 150 e non varia più in modo significativo. Tra i 60 e i 70 anni le relazioni diminuiscono al punto da tornare a essere meno di una manciata negli ultimi anni della propria esistenza, se si vive a lungo.


Nel corso di quasi 30 anni, Dunbar ha esposto e arricchito la propria teoria in studi e libri divulgativi, cercando via via di rinforzarla con valutazioni storiche e antropologiche. Nel neolitico, il periodo della preistoria dal 10000 al 3500 a.C., i villaggi erano solitamente abitati al massimo da 120-150 individui, sulla base delle tracce lasciate dai loro insediamenti; intorno all’anno Mille, in Inghilterra i villaggi difficilmente superavano i 160 abitanti.

Secondo Dunbar il numero 150 è ricorrente in modo significativo nella storia delle relazioni sociali umane, a dimostrazione della nostra capacità di riuscire a gestire un numero massimo di relazioni. Questa circostanza avrebbe influito sull’organizzazione di molte attività comprese quelle militari, e per Dunbar spiegherebbe perché in molti eserciti le compagnie di fanteria siano formate da 150-200 soldati.

Il numero di Dunbar non ha però mai convinto tutti e di recente ha portato un gruppo di ricercatori dell’Università di Stoccolma a chiedersi se la teoria potesse essere smontata. La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Biology Letters, parte dal presupposto che la nostra mente sia in grado di gestire una grande quantità di informazioni e di memorizzarle, estendendo questa abilità con l’esercizio. L’idea è che questa capacità si rifletta anche nella gestione delle relazioni sociali, rendendo difficile se non impossibile la determinazione di un numero medio come quello di Dunbar.

I ricercatori hanno usato nuovi set di dati e statistiche su come funzionano le relazioni sociali tra i singoli e nei gruppi di persone, arrivando alla conclusione che la dimensione della neocorteccia non costituisca un limite alla quantità di relazioni che possiamo mantenere nel corso di una vita.

Intervistato dal New York Times, Dunbar ha mostrato di non averla presa molto bene e ha definito «assolutamente una roba da matti» il nuovo studio. Ha poi accusato i ricercatori di non avere utilizzato dati statistici affidabili e soprattutto di non avere capito le sfumature dei suoi studi e di ciò che intende per relazioni umane: «Sono sorpreso dalla loro apparente incapacità di comprendere le relazioni».

Altri ricercatori hanno invece trovato interessante la nuova ricerca, che in vari passaggi mantiene un approccio meno categorico rispetto a quello di Dunbar. La sua teoria, per lo meno nella forma iniziale, era stata elaborata in un periodo molto diverso dall’attuale: nei primi anni Novanta non c’erano i social network, non c’erano gli smartphone e le nostre esistenze erano sostanzialmente offline. Nel nuovo contesto in cui ci troviamo, e che è ulteriormente cambiato con la pandemia, abbiamo la possibilità di avviare e mantenere relazioni con molte più persone e di espandere di continuo la nostra rete sociale, dicono i ricercatori.

Dunbar non è comunque convinto e già da tempo sostiene che la sua teoria valga ancora oggi, nonostante le opportunità offerte da Internet. A suo modo di vedere le relazioni che si mantengono per lo più online hanno un minor valore sociale e non raggiungono livelli personali comparabili con i rapporti coltivati di persona.

Altri studi in quest’ultimo anno di pandemia hanno provato a valutare come si stiano modificando i rapporti sociali, a causa dei lockdown e delle restrizioni. La riduzione nelle interazioni sociali ha riguardato soprattutto le pensione anziane, che tendono ad avere già normalmente una rete sociale più ristretta, con effetti sociali e psicologici che terranno impegnati i ricercatori per molto tempo.