La grande burla delle civiltà sulla Luna

Nel 1835 sui giornali di mezzo mondo comparvero una serie di articoli satirici sulla presunta osservazione di unicorni e uomini-pipistrello

Litografia che illustrava gli articoli del New York Sun sulle finte osservazioni di Herschel (Wikimedia Commons)
Litografia che illustrava gli articoli del New York Sun sulle finte osservazioni di Herschel (Wikimedia Commons)

Il 25 agosto 1835 il New York Sun pubblicò il primo di sei articoli su una serie di presunte scoperte scientifiche straordinarie. Gli articoli citavano come fonte l’Edinburgh Journal of Science e raccontavano le osservazioni fatte dall’astronomo inglese più famoso dell’epoca, John Herschel, con il telescopio più potente mai inventato prima di allora, in grado addirittura di collegarsi a un proiettore alimentato a “idro-ossigeno” e trasmettere le immagini raccolte. Puntando il telescopio sulla Luna, secondo gli articoli, Herschel aveva osservato foreste, mari, giacimenti minerari e intere civiltà popolate da creature come castori dall’intelligenza simile a quella umana, unicorni e uomini-pipistrello, idolatrati in templi dalle strane forme.

Richard Locke, l’autore degli articoli, aveva un intento satirico ma raccontò le scoperte in modo così rigoroso e con tale talento letterario che tutti le presero per vere. Fu così che iniziò quello che poi fu definito Great Moon Hoax, ovvero “La grande burla (o bufala) della Luna”. Anche se non era nelle intenzioni di Locke, gli articoli furono ripresi dalla stampa internazionale – che all’epoca era molto meno strutturata e letta di oggi – generando un caso eclatante di circolazione di una notizia falsa, che racconta qualcosa su quali fossero i parametri per ritenere una storia credibile a metà Ottocento.

La storia delle scoperte lunari fu tradotta anche in francese e poi in italiano, pubblicata su un opuscolo a Napoli. Il passaggio relativo all’unicorno venne tradotto così:

Il secondo animale che scorgemmo sarebbe classificato nella storia naturale fra i mostri. Era di color azzurrognolo, e della grossezza di una capra, di cui aveva il capo e la barba; nel mezzo della fronte sovrastava un sol corno lievemente inclinato al disopra della linea orizzontale. La femmina non aveva nè corno, nè barba, ma la sua forma era alquanto più lunga. Camminavano a stormi, ed abbondavano specialmente sulle chine della selva sfornite d’alberi. Per l’eleganza, e la simmetria delle forme quell’animale stava al paro della gazzella, e pareva come questa agile, e festevole; si vedevano correre con velocità straordinaria, e saltellare sull’erbuccia follemente come un agnelletto, od un gattuccio.

Il narratore del racconto era un personaggio fittizio, il dottor Andrew Grant, compagno di viaggio di Herschel. Il primo articolo ebbe un tale successo tra i newyorkesi che il giorno dopo il giornale aumentò considerevolmente la tiratura, per soddisfare le tantissime persone desiderose di leggere la seconda puntata. Solamente alcune settimane più tardi si cominciò a capire che la storia non era vera, ma il New York Sun in ogni caso non pensò che fosse necessario smentirla o spiegare le ragioni della sua pubblicazione.

Richard Locke (Wikimedia Commons)

Qualche anno più tardi, Locke ammise di essere l’autore degli articoli e spiegò quale fosse la sua intenzione: prendere in giro un certo modo di interpretare la scienza influenzato dalla religione e dalla Bibbia, allora molto in voga. Locke voleva prendere di mira soprattutto il reverendo Thomas Dick, un astronomo che nell’Ottocento era molto popolare negli Stati Uniti e che teorizzò nel dettaglio l’esistenza di civiltà in tutte le parti dell’universo, tutte migliori di quella terrena perché non toccate dal peccato originale. Locke pensava che le teorie di Dick fossero dozzinali e fantascientifiche, e quindi decise di prenderle in giro inventandosi a sua volta una storia di quel tenore.

Locke sopravvalutò la capacità dei suoi contemporanei di distinguere il vero dal falso, ma è anche vero che l’Ottocento era un’epoca in cui i racconti sulle scoperte scientifiche erano frequenti e accessibili a sempre più persone. Non era quindi una cosa strana leggere un articolo di osservazioni spaziali su un giornale. Inoltre, quello di Locke non fu il primo “Moon Hoax” a essere pubblicato. Sempre nel 1835, Edgar Allan Poe aveva pubblicato su un altro giornale un racconto simile a quello del New York Sun, anche se dai contorni ancora più letterari. In seguito Poe accusò Locke di plagio, ma non si sa se abbia davvero copiato.

In una sua opera del 1838, nella quale sosteneva che sulla Luna ci fossero abitanti più sviluppati rispetto alla Terra, Dick criticò il Great Moon Hoax e il suo autore perché «la “Legge della Verità” non è una cosa di cui ci si può prendere gioco». Locke rispose: «Penso che sia lodevole in ogni uomo fare satira… Quella disciplina di grossolana speculazione e ipocrisia di cui lui [Dick] è un così illustre professore».

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