• Mondo
  • Venerdì 7 maggio 2021

Il Canada vuole più migranti

Dipende da loro per via della bassa natalità e dell'invecchiamento della popolazione, e ora ci si è messa in mezzo anche la pandemia

(Graham Hughes/The Canadian Press via ZUMA Press)
(Graham Hughes/The Canadian Press via ZUMA Press)

Dopo un anno in cui le restrizioni per la pandemia hanno fatto diminuire drasticamente l’immigrazione un po’ ovunque, il Canada ha in programma di accogliere con un permesso di soggiorno permanente oltre 400mila migranti all’anno tra il 2021 e il 2023: tra questi ci sono migranti che si spostano per ragioni di lavoro, familiari di chi ha già un permesso permanente per risiedere nel paese, rifugiati e migranti che beneficiano di protezione per motivi umanitari.

Da diversi anni l’economia del Canada dipende in buona parte dal lavoro degli immigrati e cresce anche grazie a loro. È un paese con una natalità piuttosto bassa e in cui l’età media di chi lavora è invece molto alta e vicina all’età pensionabile. Nonostante questo, negli ultimi anni l’economia ha continuato a crescere, in controtendenza rispetto agli altri paesi sviluppati: non grazie a un miglioramento dei processi produttivi, ma proprio per l’aumento della popolazione che lavora e consuma, soprattutto grazie agli immigrati.

I danni all’economia provocati dalla pandemia stanno rendendo l’immigrazione ancora più necessaria del solito, in un paese che dal 1988 accoglie almeno 200mila migranti ogni anno.

Il programma triennale, annunciato dal governo lo scorso ottobre, ha addirittura allargato le ambizioni di accoglienza del paese. I piani che erano già stati previsti sono stati modificati in risposta all’attuale situazione e si pongono obiettivi mai raggiunti prima d’ora: dal 1867, anno di nascita del Canada, solo 5 volte il paese ha accolto più di 300mila migranti in un anno (e tre di questi anni sono stati il 2016, il 2018 e il 2019). Gli 1,2 milioni di migranti con permesso permanente che il paese vuole accogliere in tre anni corrispondono a circa il 3 per cento dell’attuale popolazione del Canada (che ha 37,6 milioni di abitanti).

Il Canada però è piuttosto selettivo sugli immigrati da accogliere, e ha sempre preferito quelli che nei programmi di accoglienza del paese vengono chiamati “lavoratori qualificati”, cioè persone che dimostrino di conoscere le lingue del Canada, abbiano esperienza lavorativa e soddisfino vari altri parametri. Vuole farlo adesso a maggior ragione, visto che ha bisogno di lavoratori che aiutino il paese a uscire dalla crisi economica dovuta alla pandemia: i “lavoratori qualificati” dovrebbero costituire il 60 per cento degli 1,2 milioni di migranti previsti per i prossimi tre anni. Il piano comprende però anche più di 300mila parenti di nuovi e vecchi immigrati, 181mila rifugiati e 17mila migranti che godono di protezione per motivi umanitari.

Il ministro dell’Immigrazione canadese Marco Mendicino ha detto che la ripresa economica del Canada e la sua prosperità a lungo termine dipenderanno in gran parte dagli immigrati.

– Leggi anche: Contro i migranti, l’Europa usa qualsiasi mezzo

Gli immigrati servono al Canada in generale per abbassare l’età media di chi lavora, perché altrimenti i pensionamenti non potrebbero essere sostenuti dal resto della popolazione: al momento nel paese ci sono 3 lavoratori per ogni pensionato, ma è stato calcolato che il rapporto potrebbe diventare di 2 a 1 entro 15 anni. Un altro motivo che rende urgente l’inserimento di nuovi immigrati è che ne sono stati ammessi molti meno nell’ultimo anno a causa della pandemia. Ad altri invece, che erano già stati ammessi permanentemente nel paese, sono scaduti i documenti mentre si trovavano fuori, e non sono riusciti a tornare per le restrizioni.

Il sistema di accoglienza del Canada è stato anche criticato da molti esperti proprio per la sua selettività, perché i migranti lavoratori vengono classificati e scelti sulla base della loro istruzione, conoscenza delle lingue ufficiali del paese – inglese e francese – e professione. Il Canada è il paese con gli immigrati più scolarizzati tra i paesi dell’OCSE, l’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Ultimamente i parametri sono stati un po’ rivisti in modo che siano meno rigorosi: durante i lockdown dovuti alla pandemia infatti molti dei lavori più pericolosi ed esposti al contagio erano svolti da immigrati, e il paese ha iniziato a mostrare maggiore apertura ad accogliere anche immigrati lavoratori che abbiano un livello di scolarizzazione inferiore. Il 14 aprile Mendicino aveva annunciato che il Canada avrebbe dato la possibilità di ottenere lo status di immigrato con un permesso di soggiorno permanente a 90mila persone che avevano un permesso temporaneo, la maggior parte delle quali svolgevano “occupazioni essenziali”: tra questi c’erano molti lavoratori sanitari, ma anche camionisti e muratori. I restanti erano persone laureate nelle università canadesi.

La differenza tra i permessi permanenti e quelli temporanei è che i primi aprono la strada per diventare cittadini a tutti gli effetti. I permessi temporanei invece sono quelli che vengono dati per motivi di studio o lavoro, al termine del quale una persona deve tornare nel proprio paese d’origine. Anche i migranti temporanei sono considerati molto importanti per l’economia del paese: nel 2018 i 700mila studenti stranieri che erano in Canada avevano speso 22,3 miliardi di dollari canadesi (poco meno di 15 miliardi di euro), cioè l’1 per cento del prodotto interno lordo del paese.

Secondo una stima riferita all’Economist da Syed Hussan, un esperto di Migrant Workers Alliance for Change – una coalizione di organizzazioni per i migranti –, gli immigrati temporanei in Canada sono 1,6 milioni. Non sono solo studenti ma anche chi svolge lavori occasionali di vario genere nel paese: per esempio persone che si prendono cura delle abitazioni private, lavoratori stagionali per i raccolti nei campi, o anche altri che svolgono lavori per cui è richiesto un più alto grado di scolarizzazione.

I permessi temporanei hanno anche diversi svantaggi. In alcuni casi per esempio possono obbligare una persona a lavorare solo per un datore di lavoro: una cosa che la espone a subire maggiori abusi, perché non ha possibilità di scegliere un lavoro altrove. Hussan ha raccontato all’Economist che 2mila lavoratori agricoli in Ontario l’anno scorso avevano contratto il coronavirus dopo che gli era stato impedito di uscire dalle aziende per cui lavoravano. Le persone nella condizione peggiore però sono quelle a cui scadono i permessi e che rimangono nel paese irregolarmente perdendo quindi alcuni importanti diritti, tra cui quello all’assistenza sanitaria.

Per tutti questi motivi il governo da diversi anni sta offrendo nuove possibilità per convertire i permessi temporanei in vari modi, e ultimamente ha abbassato drasticamente i requisiti necessari a candidarsi per i permessi permanenti. In ogni caso sono tutti programmi di integrazione ulteriori rispetto al piano che prevede l’inserimento degli 1,2 milioni di migranti tra il 2021 e il 2023.

– Leggi anche: La Danimarca vuole mandare via i rifugiati siriani