Un’altra canzone dei Pink Floyd

Scegliere "la migliore" è un po' come voler dire qual è il cibo più buono del mondo

(MJ Kim/Getty Images)
(MJ Kim/Getty Images)

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È morto Jim Steinman, celebre collaboratore di Meat Loaf nella scrittura di tutte le sue canzoni più famose, oltre che di altri grandi successi internazionali e sublimi baracconate, tra cui Total eclipse of the heart di Bonnie Tyler.
Oggi il Fatto ha un articolo di Tiziano Ferro sui 40 anni del disco La voce del padrone, di Battiato (40 anni che saranno a settembre ma è in corso la promozione di una riedizione del disco, e i giornali si adattano alle indicazioni degli uffici stampa). L’articolo ha pure aneddoti interessanti, mescolati a celebrazioni e superlativi meritati ma ridondanti (non stiamo parlando proprio di una rivelazione), però mi sono chiesto – leggendo l’incipit – se a Tiziano Ferro possa essere sempre sfuggita la citazione a cui si deve il titolo del disco. “La voce del padrone” era una celebre casa discografica, con leggendario logo, versione italiana di quella ancora più celebre inglese: a sua volta il nome era una citazione del modo di dire riferito al padrone del cane, usato per descrivere appunto l’immagine del logo.
(a voler fare tutte le pulci al buon Tiziano Ferro, che scrive “correva l’anno 1981 e quel vinile veniva solcato dalle puntine dei giradischi di tutti”, quel disco uscì a fine settembre 1981 e fece il botto a 1982 inoltrato: lui però aveva due anni, ci sta che non si ricordi bene)
Stamattina mi sono svegliato in un film del neorealismo di oltre mezzo secolo fa: sono andato in cucina a fare il caffè e sui ponteggi (ho la casa avvolta dai ponteggi da due settimane, non me ne parlate) uno degli operai che stanno rifacendo le facciate stava ascoltando da una qualche fonte sonora – la “radiolina”? – una playlist fatta di Menestrello di Franco Bastelli (ho googlato, ignoravo completamente) e Firenze sogna di Matteo Bensi (e qui ho shazammato, se no per per me era Claudio Villa), canticchiando entrambe. Ricordo poche giornate iniziate meglio.

The gunner’s dream
È impossibile dire quale sia la più bella canzone dei Pink Floyd. Non per il solito luogo comune retorico per cui non si sa quale scegliere tra le tantissime, ma perché le canzoni dei Pink Floyd giocano in diversi campionati diversi tra loro: è un po’ come voler dire qual è il cibo più buono del mondo. Lo abbiamo dovuto suddividere in categorie, come fai se no a scegliere tra il bombolone alla crema e l’ossobuco?
Anche coi Pink Floyd bisogna dividere in categorie, e forse in sottocategorie, e nella sottocategoria “strofa di dolcezza melodica perfetta” – pur battendosela con diverse cose che sono in The wall – io ho al primo posto, dal giorno in cui arrivò su una TDK nel mio walkman, The gunner’s dream.

Una cosa di canzoni tristi, a questo proposito.

E la precedente canzone dei Pink Floyd, tredici mesi fa, quando eravamo in quell’ebbrezza di eccezionalità sbalordita e speranzosa.

Floating down, through the clouds
Memories come rushing up to meet me now
But in the space between the heavens
And the corner of some foreign field
I had a dream
I had a dream

The gunner’s dream è – come tutte le canzoni di quell’ultimo disco dei Pink Floyd di Roger Waters – una canzone sulla guerra (contro le guerre) e sui soldati: si mescolavano le memorie sul padre di Waters e le Falkland contemporanee. Con versi stupendi sul dolore e su una specie di bellezza che riluce persino sul dolore, adattando la morte a un sogno che non ci sia più morte.

Goodbye Max, goodbye Ma
After the service, when you’re walking slowly to the car
And the silver in her hair shines in the cold November air
You hear the tolling bell and touch the silk in your lapel
And as the teardrops rise to meet the comfort of the band
You take her frail hand
And hold on to the dream

Fu il disco della separazione, tutto di Waters: Gilmour e Waters già non si sopportavano e continuarono a dirsene per anni (malgrado occasionali riavvicinamenti di cortesia, come quello nella foto nel 2005: e ciascuno degli sguardi è una storia). Wright, il quarto nella foto, a destra, lo avevano già fatto fuori durante The wall, e rientrò nella versione della band successiva, quella senza Waters e governata da Gilmour.
E poi, i versi di The gunner’s dream sono quel genere di versi di cui è continuamente formidabile anche il suono, il suono delle sillabe, il suono delle esse, il suono di come si succedono le parole e le rime. Da qualche parte nel mondo qualcuno domattina si affaccerà alla finestra della cucina preparandosi il caffè e l’operaio che sistema la facciata starà cantando questa.

A place to stay, enough to eat
Somewhere, old heroes shuffle safely down the street
Where you can speak out loud about your doubts and fears
And what’s more, no one ever disappears
You never hear their standard issue kicking in your door
You can relax on both sides of the tracks
And maniacs don’t blow holes in bandsmen by remote control
And everyone has recourse to the law
And no one kills the children anymore
No one kills the children anymore


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