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  • Martedì 30 marzo 2021

La storia di queste enormi navi

E della persona che ebbe l'idea di usarle così, cambiando per sempre i commerci mondiali

La nave Ever Given nel canale di Suez (Suez Canal Authority via AP)
La nave Ever Given nel canale di Suez (Suez Canal Authority via AP)

La nave Ever Given, incagliata nel Canale di Suez la settimana scorsa e liberata lunedì, con la sua lunghezza di 400 metri è una delle portacontainer più grandi del mondo: è stata costruita nel 2018 e fa parte di una categoria di navi note come Ultra Large Container Vessel (ULCV). Sono navi portacontainer gigantesche, il risultato di una rivoluzione nei trasporti che nel giro di pochi decenni ha cambiato i commerci mondiali, non soltanto quelli via mare, rendendoli più veloci, più economici e più efficienti — e per certi versi più problematici, quando una nave di quelle dimensioni si incaglia in un passaggio marittimo essenziale per i trasporti globali.

La storia delle navi portacontainer è un pezzo importante della storia della globalizzazione ed è relativamente recente. L’idea di caricare le navi per il trasporto delle merci con contenitori di dimensioni standard — i container — è più o meno nota fin dall’antichità: greci e romani stipavano le loro navi da trasporto con anfore tutte uguali, e dal Diciottesimo secolo alcune navi furono attrezzate per ospitare grandi casse di legno tutte delle stesse dimensioni. Le prime vere navi portacontainer, però, risalgono alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, e la persona che le inventò non sapeva quasi niente di navigazione.

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Nella prima metà del Novecento i container erano usati nei trasporti marittimi in maniera saltuaria e poco efficiente; per esempio, uno degli utilizzi più noti era per contenere i bagagli sulle navi passeggeri. Il trasporto delle merci era in gran parte un affare ancora molto inefficiente, e il problema principale non erano le navi, che erano diventate sempre più veloci, grandi e capienti, ma la logistica: i prodotti da trasportare erano conservati nei contenitori più vari — scatole, casse, pacchi — ed erano caricati e scaricati dalle navi uno per uno da un’enorme quantità di lavoratori portuali. Il lavoro era ovviamente facilitato dall’utilizzo di macchinari, ma era complicato e impiegava moltissimo tempo: caricare e scaricare una nave cargo di dimensioni medie poteva richiedere giorni.

Malcom McLean era un imprenditore statunitense del North Carolina, la cui ditta di autotrasporti, la McLean Trucking, risentiva in maniera negativa di queste lungaggini. Nel 1937 McLean fu costretto a trascorrere una giornata intera in fila dentro al suo camion in un porto del New Jersey in attesa di poter consegnare un carico di cotone da caricare su una nave da trasporto. Come avrebbe raccontato in seguito lui stesso, durante l’attesa McLean ebbe l’intuizione che il problema del trasporto delle merci via mare fosse la logistica del carico e scarico delle merci. Al tempo era un’idea innovativa, perché tutti gli sforzi per migliorare i trasporti erano concentrati sul rendere le navi più veloci e capienti, e nessuna attenzione veniva dedicata a cosa succedeva nei porti.

«All’improvviso capii: non sarebbe fantastico se il rimorchio [del camion] potesse semplicemente essere sollevato e messo sulla nave senza toccare il suo contenuto?», ha raccontato in seguito McLean. L’idea era buona, ma sarebbero stati necessari altri vent’anni per metterla in pratica. La prima soluzione di McLean fu abbastanza rudimentale: imbarcare i camion della sua ditta direttamente sulle navi. Si capì in fretta che non poteva andare, perché i camion occupavano troppo spazio prezioso, e anche se le operazioni erano molto rapide i costi di trasporto erano superiori.

Il secondo tentativo riuscì: anziché caricare tutti i camion sulle navi, McLean caricò soltanto le «grandi scatole» dei rimorchi: gli antenati dei container. Per mettere in pratica il suo progetto, comprò due vecchie petroliere risalenti alla Seconda guerra mondiale e le riadattò per contenere 58 grosse scatole di acciaio lunghe 35 piedi (10,6 metri). Una delle due petroliere, la Potrero Hills, ribattezzata per l’occasione Ideal X, fece il viaggio inaugurale, da Newark in New Jersey a Houston in Texas, il 26 aprile 1956. In quel periodo caricare merci sfuse su una nave cargo di medie dimensioni costava circa 5,8 dollari a tonnellata e poteva richiedere giorni interi. McLean e i suoi calcolarono che per caricare la Ideal X erano stati sufficienti 15,7 centesimi a tonnellata, e le operazioni di carico e scarico avevano richiesto soltanto poche ore.

Con la sua nuova compagnia di trasporti, la Sea-Land, McLean cominciò a diffondere il nuovo metodo di trasporto negli Stati Uniti e poi nel mondo.

McLean non aveva inventato i container né le navi portacontainer, ma un nuovo metodo di trasporto intermodale, termine con cui, in questo caso, si intende il fatto che grazie all’utilizzo di un contenitore standard — il container — è possibile trasportare lo stesso carico via nave, con un autocarro o su un treno, risolvendo così la gran parte dei problemi logistici che affliggevano i trasporti via mare.

I container non velocizzavano soltanto le operazioni ma risolvevano numerosi altri problemi. Per esempio, evitavano che la merce fosse manipolata da troppe persone, cosa che ridusse enormemente sia le rotture accidentali (se uno specchio appena prodotto è ben imballato dentro a un container, non c’è la possibilità che uno scaricatore di porto lo faccia cadere) sia i casi di furto. Il fatto che il contenuto di un container sia tendenzialmente noto soltanto a chi lo riempie e a chi lo svuota, tuttavia, non è sempre una buona cosa: per esempio, i container sono diventati un ottimo strumento per traffici illeciti di merci e perfino di persone.

I container hanno reso le spedizioni via mare non soltanto più rapide, ma anche più prevedibili e affidabili: nel corso dei decenni sono stati sviluppati sistemi di tracciamento e di identificazione di ogni singolo container, utili sia per le operazioni di carico e scarico, che oggi hanno un alto livello di automazione (ciascun container ha un sistema identificativo e un posto ben preciso sulla nave), sia per sapere in ogni momento dove si trova la merce e consentire alle aziende di fare una programmazione precisa della propria logistica e del proprio processo produttivo.

Le grandi gru per gli spostamenti dei container nel porto di Oakland, negli Stati Uniti (Justin Sullivan/Getty Images)

Nel 1966 cominciarono i viaggi transatlantici tra gli Stati Uniti e Rotterdam, nei Paesi Bassi, che ancora oggi è il principale porto europeo per traffico di container, e nel 1967 la Sea-Land strinse un accordo con il governo americano per cominciare un servizio di rifornimento con container in Vietnam, dove gli Stati Uniti erano entrati in guerra da tempo. La guerra in Vietnam creò un enorme incentivo per lo sviluppo dei trasporti tramite container, e divenne di gran lunga la prima fonte di guadagno della Sea-Land. Nel frattempo, decine di altre compagnie erano entrate nel business.

Nel giro di pochi anni, anche grazie al contributo di McLean, le dimensioni dei container e le caratteristiche delle navi che li trasportavano divennero standard e furono certificati dall’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO) alla fine degli anni Sessanta. Oggi i cosiddetti “container ISO”, cioè quelli standard usati da tutte le compagnie per il trasporto intermodale, sono larghi 8 piedi (2,4 metri) e possono essere alti 8,6 piedi (2,6 metri) oppure 9,6 piedi (2,9 metri). La lunghezza può essere di 20 piedi (6,1 metri) o di 40 piedi (12,2 metri), ma esistono anche container lunghi 45 piedi.

Anche la costruzione delle navi portacontainer fu standardizzata, con la realizzazione sul ponte delle imbarcazioni di enormi guide di metallo di dimensioni ben precise, in modo da uniformare le operazioni di carico e scarico.

Questo non vuol dire che la diffusione dei container e delle navi portacontainer nel mondo sia stata fulminea: c’era un problema di infrastrutture, perché i porti dovevano essere in gran parte ripensati, con grandi investimenti, per accogliere le portacontainer e consentire i trasporti intermodali: era necessario costruire gru sempre più grandi per caricare e scaricare i container, e trovare grandi spazi per lo stoccaggio. Alcuni porti storici che erano stati al centro dei commerci globali per secoli, come quello di Londra, erano troppo piccoli e vicini al centro città per ospitare portacontainer sempre più grandi, e persero gradualmente di importanza. In generale, rinnovare i porti o costruirne di nuovi fu un’operazione che richiese decenni.

Inoltre per tutti gli anni Sessanta e Settanta, specie negli Stati Uniti e in Europa, l’introduzione dei trasporti navali tramite container fu contrastata molto energicamente dai potenti sindacati dei lavoratori portuali, e non senza ragione: l’introduzione dei container, che possono essere caricati e scaricati da pochi uomini che manovrano le gru, rendeva superfluo il lavoro dei moltissimi scaricatori che portavano a mano pacchi, casse e scatole, e fece perdere il posto di lavoro a migliaia di persone in pochi decenni.

Negli anni Ottanta la cosiddetta “containerizzazione” del mondo era ormai completa: l’apertura della Cina all’economia di mercato e ai commerci internazionali, cominciata gradualmente nel 1979, aprì la strada a una nuova fase della globalizzazione. Sempre alla fine degli anni Settanta, il governo americano deregolamentò il mercato e consentì alle società che si occupano di trasporti marittimi di comprare ferrovie e autocarri, e viceversa, diventando davvero intermodali; inoltre a metà degli anni Ottanta gli standard burocratici per i trasporti intercontinentali erano ormai stabiliti.

Alla fine degli anni Ottanta, il 90 per cento delle merci prodotte nel mondo era già trasportato in container.

Nel corso degli ultimi decenni il processo di containerizzazione è diventato sempre più centrale per le economie mondiali. Le portacontainer sono diventate più grandi e più capienti, fino alla diffusione nell’ultimo decennio delle Ultra Large Container Vessel. I porti si sono man mano adattati per accogliere navi gigantesche, e si sono allontanati sempre di più dalle città per diventare degli hub di trasporto regionali e indipendenti.

Questa continua espansione dell’economia di scala, con navi che, come la Ever Given, raggiungono i 400 metri di lunghezza, ha portato notevoli vantaggi alle compagnie di trasporto marittimo, ma è criticata da molti esperti. Le ULCV possono trasportare un’enorme quantità di merci, cosa che in teoria consente di aumentare l’efficienza dei trasporti, ma rendono tutta la catena delle forniture meno flessibile: poiché i porti in grado di accoglierle sono pochi, il numero di regioni che può essere servito da queste enormi navi è ristretto; inoltre le operazioni di carico e scarico si allungano e la catena del trasporto intermodale è messa in difficoltà: quando decine di migliaia di container arrivano tutti in una volta, è più difficile smistarli su treni e tir.

Inoltre, quando poche navi enormi trasportano un’enorme quantità di beni, la resilienza di tutto il sistema si riduce: chi ha bisogno di trasportare merci ha meno scelta e meno alternative, anche perché negli ultimi 20 anni c’è stato un intenso fenomeno di consolidamento del settore dei trasporti marittimi: nel 2000, le dieci più grandi compagnie di trasporti avevano il 12 per cento delle quote di mercato; nel 2019, dopo una lunga serie di acquisizioni aziendali, le stesse compagnie dominano l’82 per cento del mercato.

– Leggi anche: Perché la Ever Given si è incagliata?

La scarsa flessibilità e resilienza diventano evidenti anche in caso di incidenti, come ha mostrato uno studio dell’OCSE del 2015, secondo cui in caso di affondamento di una ULCV le perdite ammonterebbero a miliardi di dollari: non soltanto per il valore della merce andata perduta, ma anche per i costi proibitivi del recupero dei resti dell’imbarcazione e per l’impatto ambientale.

Per queste ragioni, molti esperti sostengono che le grandi portacontainer come la Ever Given stiano diventando troppo grandi. Già adesso, come hanno spiegato alcuni esperti al Financial Times, le dimensioni e le capacità di carico delle navi hanno raggiunto il loro massimo: se si accumulassero più container in verticale le imbarcazioni diventerebbero troppo suscettibili ai venti (in parte lo sono già, come ha mostrato la Ever Given), mentre se si accumulassero in orizzontale la nave diventerebbe quasi impossibile da manovrare.

Alcune grandi compagnie di trasporti si stanno adattando, e gli ultimi ordini di nuove navi mostrano un aumento nella costruzione delle imbarcazioni con capacità di trasporto di 15 mila container: leggermente più piccole di quelle da oltre 20 mila container, come la Ever Given.