Serge Gainsbourg e il suo mito

Fu il cantante francese più importante e influente del Novecento, ed è ancora al suo posto a trent'anni dalla morte

Serge Gainsbourg a una conferenza stampa a Parigi nel 1986
(AP Photo/Pierre Gleizes)
Serge Gainsbourg a una conferenza stampa a Parigi nel 1986 (AP Photo/Pierre Gleizes)

Quando morì Serge Gainsbourg era un sabato, il 2 marzo 1991, trent’anni fa. Il quotidiano Libération uscì soltanto il lunedì, con un titolo sulla resa dell’Iraq e una grossa, vecchia foto del cantante che aveva segnato il Novecento francese, con in bocca una delle decine di sigarette che fumava ogni giorno e che sono un pezzo della sua iconografia insieme alla barba trascurata e alla chioma spettinata. Di Gainsbourg, che nei decenni precedenti era stato uno dei personaggi più provocatori e imprevedibili d’Europa (e la concorrenza era agguerrita, diciamo), il presidente François Mitterrand disse che era stato «il nostro Baudelaire, il nostro Apollinaire» e che aveva «elevato la canzone allo stato dell’arte». Più che aver cambiato la musica pop francese, Gainsbourg era stato la musica pop francese, in modi che fuori dalla Francia non sono mai stati facili da capire.

Gainsbourg era nato nel 1928 a Parigi in una famiglia di immigrati russi, aveva vissuto da ebreo in città durante l’occupazione nazista, poi aveva studiato arte all’accademia ma era finito ad aiutare il padre musicista nelle serate nei locali di cabaret. Ci aveva preso gusto e a partire dalla fine degli anni Cinquanta aveva iniziato a registrare canzoni, prima con scarso successo e via via ottenendo sempre più riconoscimenti.

Ne avrebbe scritte oltre cinquecento, in una carriera durata trent’anni e in cui spaziò dalla canzone d’amore al jazz, dal funk alla musica elettronica, diventando nel frattempo uno degli esponenti di punta dello yé-yé, il rock and roll che fecero per un po’ i cantanti francesi e italiani che volevano imitare i Beatles ed Elvis. Il suo eclettismo e i risultati che ottenne in tutti i generi che frequentò – lo paragonarono, e qualcuno lo paragona tuttora, a David Bowie, o a Lucio Battisti – lo hanno reso un’istituzione senza eguali nella musica francese, ancora citatissimo come ispirazione dalle generazioni successive.

Era diventato un divo fin dall’inizio, con il suo aspetto maledetto e trasandato, e fin dall’inizio aveva dato scandalo con testi espliciti, fatti di allusioni e sospiri ammiccanti, ma anche di costruzioni raffinate e figure retoriche ricercate. Scriveva per sé e per altri, soprattutto altre, tra cui Brigitte Bardot e poi Jane Birkin, l’attrice inglese che sposò nel 1968 e con la quale ebbe la figlia Charlotte, oggi cantante e attrice di gran successo. Con Birkin cantò “Je T’aime … Moi Non Plus”, forse la canzone a tema sesso più riprodotta della storia (ma allora anche molto censurata), scritta originariamente per Bardot che poi però si tirò indietro.

I due si separarono nel 1980, e nel decennio successivo Gainsbourg diventò molto più personaggio televisivo di prima, spesso presentandosi in diretta ubriaco, facendo cose come comunicare a Whitney Houston il suo desiderio sessuale nei suoi confronti. Continuò a pubblicare dischi fino agli ultimi anni, facendosi influenzare da generi nati da poco come la new wave o l’hip hop, curioso di altro come lo era Battisti in Italia. Morì per un infarto (e non era il primo) un mese prima di compiere 63 anni, nella sua casa di Parigi.

Nel suo necrologio Le Monde ricordò di quando gli chiesero come avrebbe voluto morire e lui rispose: «Mi piacerebbe morire vivendo».