Almeno 18 morti nelle manifestazioni in Myanmar
Per disperdere le partecipate proteste contro la giunta militare la polizia ha usato gas lacrimogeni, granate stordenti e ha sparato contro i manifestanti
Domenica 28 febbraio, la polizia del Myanmar ha sparato contro i manifestanti e ha usato gas lacrimogeni e granate stordenti per cercare di disperdere le grandi manifestazioni contro la giunta militare, nel più significativo inasprimento della repressione da quando è avvenuto il colpo di stato, lo scorso primo febbraio. Negli scontri, avvenuti in diverse città, almeno 18 persone sono state uccise, ha riferito l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani.
A Yangon diversi feriti sono stati portati al sicuro da altri manifestanti: l’intervento della polizia è stato così aggressivo che i medici che stavano scioperando contro la giunta militare sono dovuti rientrare in servizio per curare i manifestanti feriti. Un uomo è morto dopo essere stato portato in ospedale con un proiettile nel petto, ha riferito a Reuters il medico che l’ha soccorso, che però non ha voluto essere identificato.
Delle persone morte durante le manifestazioni, tre sono state uccise nella città di Dawei (dove almeno altre venti persone sono state ferite), altre tre nella città di Mandalay. A Yangon, inoltre, una donna che stava partecipando a un corteo di insegnanti è morta dopo l’intervento della polizia con granate stordenti.
Sempre a Yangon, la polizia ha fatto uso di gas lacrimogeni contro un corteo di 10mila manifestanti (uno dei diversi cortei che componevano la grande manifestazione in città) costringendoli a cercare riparo in abitazioni private.
Dopo le violente risposte della polizia degli ultimi giorni, alcuni manifestanti hanno cominciato a fare uso di elmetti, maschere anti gas e occhiali protettivi; alcuni di loro hanno costruito barricate nelle strade di Yangon per impedire alla polizia di caricarli. Secondo la tv di stato, nelle manifestazioni di sabato erano state arrestate 470 persone: non è ancora chiaro il numero delle persone arrestate durante le manifestazioni di domenica.
Le proteste proseguono ormai da più di tre settimane e riprendono vigore a ogni weekend: si sono svolte in molte città del paese, con la partecipazione di centinaia di migliaia di persone. È inoltre in corso uno sciopero nazionale, a cui stanno partecipando medici, ingegneri, lavoratori delle ferrovie e contadini, tra gli altri: lo sciopero ha bloccato il paese, paralizzando di fatto anche la giunta militare. Tra le richieste dei manifestanti c’è la liberazione di Aung San Suu Kyi e di altri membri del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (NLD), che aveva vinto nettamente le elezioni dello scorso novembre, nonostante i militari sostengano senza prova che siano il risultato di brogli. Aung San Suu Kyi è sotto processo con l’accusa di aver violato le restrizioni alle importazioni e una legge sulla gestione dei disastri naturali.
Sono comunque accuse pretestuose e per cui rischia condanne rispettivamente a 6 e a 3 anni di carcere. Il processo è iniziato in segreto il 16 febbraio: il suo avvocato non era stato nemmeno avvisato della prima udienza, che si è conclusa prima del suo arrivo. La prossima è fissata per domani, primo marzo.
Sabato 27 febbraio, l’ambasciatore del Myanmar alle Nazioni Unite Kyaw Moe Tun è stato rimosso dal suo incarico dopo aver fatto il saluto a tre dita in sostegno dei manifestanti e dopo aver esortato le Nazioni Unite a usare “qualsiasi mezzo necessario” per rovesciare la giunta militare.