La Thailandia ha legalizzato l’aborto entro le dodici settimane

Manifestazioni a Bangkok, 7 novembre 2020 (Lauren DeCicca/Getty Images)
Manifestazioni a Bangkok, 7 novembre 2020 (Lauren DeCicca/Getty Images)

La Thailandia ha legalizzato l’aborto in tutte le circostanze entro le dodici settimane. Dopo la Camera dei rappresentanti, ha votato a favore anche la Camera alta del paese, con 166 sì e 7 no. La nuova legge vieta e continua a punire con una multa o il carcere fino a sei mesi le donne che abortiscono oltre le dodici settimane se la gravidanza non è la conseguenza di stupro, se non ci sono gravi rischi per la salute o se il feto non presenta gravi malformazioni.

Il processo di riforma della legge sull’aborto era iniziato il 19 febbraio dello scorso anno, quando la Corte costituzionale si era pronunciata sulla legittimità degli articoli 301 e 305 del codice penale, che si occupano di interruzione di gravidanza. Gli articoli stabilivano che l’aborto procurato o indotto da terzi era un crimine punito con una multa e con il carcere fino a 3 anni, a meno che l’interruzione non fosse necessaria per la salute della donna o quando la gravidanza era il risultato di uno stupro. La Corte aveva stabilito che quegli articoli violavano la Costituzione, nei punti in cui vengono riconosciuti il diritto alla libertà personale e la parità di diritti fra donne e uomini. I giudici hanno chiesto al parlamento di modificare il codice penale in senso conforme al testo costituzionale.

I movimenti femministi hanno fatto sapere che la nuova legge costituisce un miglioramento, ma non è sufficiente perché non tiene conto della realtà degli aborti nel paese: in media, il 20-30 per cento delle donne thailandesi ha cercato di abortire dopo la dodicesima settimana di gravidanza. I movimenti femministi avevano sostenuto un disegno di legge alternativo, che però non è stato approvato: che proponeva di consentire l’aborto fino alla ventiquattresima settimana. Da tempo chiedono poi di cancellare la sezione del codice penale che criminalizza l’aborto, superando la logica punitiva e riconoscendo l’aborto stesso come una questione di diritti e di autodeterminazione.