Una canzone di Willy DeVille

Ci sono spazi dove la spensieratezza può stare, e forse sono rimasti solo questi

(AP Photo/Keystone, Urs Flueeler)
(AP Photo/Keystone, Urs Flueeler)

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Leggendo commenti e discussioni su questa serie Lupin su Netflix mi è tornata in mente la sigla del telefilm su Arsenio Lupin con cui alcuni di noi sono cresciuti, prima che arrivasse Lupin III a impadronirsi del nome e delle nostre attenzioni.
Springsteen ieri sera, alla festa per l’insediamento di Biden (non eccitantissimo: ma per altri gusti c’è stata la baracconata Katy Perry). Di meno fascino, in studio, Demi Lovato ha fatto una sua Lovely day, che non la può rovinare nessuno. E poi questa scena, a 2:15.
Oggi al Post Giovanni De Benedictis ci ha spacciato questa bella intervista di Paul Simon che spiegava come scrisse Mrs. Robinson e che il famoso verso su Joe Di Maggio va’ a sapere cosa voleva dire quando lo ha pensato.
Ryuichi Sakamoto ha raccontato sul suo sito di avere di nuovo un tumore.

Hey Joe
È una delle canzoni più allegre che conosco, a seguirne l’andamento. Il mio amico Pietro, che faceva il deejay a certe feste di quando avevamo vent’anni, la metteva a chiudere la serata, per l’ultimo giro. E la vivevamo così. Chissà cosa diceva.

Hey Joe è famosa per via di Jimi Hendrix e della sua versione memorabile del 1966. Ma non si è mai capito mai bene chi l’avesse scritta, all’inizio degli anni Sessanta, tra i diversi che si sono attribuiti un ruolo. La storia nella canzone è una storia tremenda di un uomo che va e uccide la sua donna che lo ha tradito, e ciclicamente emergono discussioni sulla perpetuazione del suo messaggio (che ha un’ambiguità colpevole, in effetti: da una parte l’assassino rischia la pena di morte e deve fuggire, ma dall’altra espone le sue ragioni e il suo interlocutore lo tratta con una certa solidarietà). È un blues, con quell’andamento un po’ lugubre di certi blues, e con la storia detta.

Intanto che la facevano molti altri, nel 1992 Willy DeVille pubblicò la sua cover in versione “mariachi”. Willy DeVille era uno strano tipo, anche nella storia della musica. È morto di cancro a 59 anni nel 2009 dopo aver passato fatiche e tragedie personali, aver suonato con molti e avere creato uno stile tutto suo di rock e blues ibridati da cose latine, cajun e caraibiche. Una volta arrivò a essere candidato all’Oscar (vinse la canzone di Dirty dancing). A un certo punto si insediò a New Orleans – era del Connecticut ma aveva girovagato assai – e se ne innamorò (come non capirlo? una ragione per far finire questo casino è che tutti possiamo tornare o andare a New Orleans). Quando fece Hey Joe e già allora qualcuno criticò il testo, lui rispose “ma cosa dicono i pezzi hip-hop che ascoltate tutti, lo sentite?”.

La sua Hey Joe è una festa, e rallegrò molti in mezza Europa, dove andò forte, con spensieratezza. Man mano che la ascoltate e conoscete vi innamorate di tutti i suoni e delle sue invenzioni: e la tromba, e i violini, diavolo. Ci sono spazi dove la spensieratezza può stare, e forse solo questi.


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