Il futuro del coronavirus

Un gruppo di ricercatori ipotizza che non ce ne libereremo: diventerà meno rischioso per gli adulti e un fastidio per i bambini, simile al raffreddore comune

L’avvio delle campagne vaccinali contro il coronavirus in numerosi paesi è considerato un passo molto importante per un ritorno alla normalità, seppure ancora remoto. A oggi nessuno può prevedere con precisione quando e come finirà la pandemia, ma alcuni ricercatori hanno iniziato a pensare a come potrebbe essere il coronavirus (e il mondo che ha intorno) tra qualche anno e le loro previsioni sono per lo meno confortanti.

Sulla rivista scientifica Science, un gruppo di ricerca statunitense ha da poco pubblicato uno studio nel quale ipotizza che l’attuale coronavirus (SARS-CoV-2) possa diventare nel tempo comparabile alla maggior parte degli altri coronavirus già in circolazione, e tra le cause del raffreddore comune. Dalle loro analisi sono emersi elementi per ritenere che il SARS-CoV-2 diventi endemico, cioè in costante circolazione tra la popolazione, ma con una bassa incidenza e diventando solo sporadicamente la causa di sintomi gravi.

Come è stato ampiamente spiegato e raccontato in quasi un anno di pandemia, il coronavirus per ora è una seria minaccia perché è completamente nuovo per il nostro sistema immunitario, che non ha quindi gli strumenti adatti per contrastarlo. Negli individui più a rischio, perché anziani o con altre malattie, il virus può causare sintomi gravi e complicazioni che in alcuni casi si rivelano letali. Non avendo da subito difese adeguate, molte più persone sono a rischio di sviluppare sintomi che richiedono un ricovero in ospedale, con il conseguente sovraccarico dei sistemi sanitari al punto da rendere meno efficace la loro assistenza.

Quando una porzione rilevante della popolazione viene esposta a un virus, tramite un’infezione vera e propria o tramite il vaccino (quindi senza correre i rischi della malattia), ogni individuo matura le risorse immunitarie necessarie per contrastarlo ed evitare ulteriori infezioni. In questo senso diventa endemico, anche se ci sono dubbi sulla durata nel lungo periodo dell’immunità nel caso dell’attuale coronavirus.

Per i bambini le cose funzionano un po’ diversamente. Il loro sistema immunitario affronta di continuo minacce mai incontrate prima ed è piuttosto abile nell’affrontarle. Questo spiega in parte perché i bambini corrono pochi rischi nel caso di un’infezione da coronavirus, rispetto agli adulti. Secondo i ricercatori, il virus potrà causare qualche problema nei bambini al di sotto dei 5 anni, ma senza particolari complicazioni.

Nel loro studio, i ricercatori guidati da Jennie Lavine (Emory University di Atlanta, Stati Uniti) hanno preso in considerazione i sei coronavirus che interessano gli esseri umani: quattro sono tra le cause del raffreddore comune (non sono gli unici virus a causarlo) e comportano sintomi lievi; i restanti due causano invece la SARS e la MERS, malattie emerse rispettivamente nel 2003 e nel 2012 con sintomi gravi, ma che non si sono mai diffuse ampiamente e in modo preoccupante.

Il gruppo di ricerca scrive che l’attuale coronavirus ha cose in comune con quelli che causano il raffreddore comune. Facendo riferimento a studi precedenti, segnalano che la prima infezione da un coronavirus del raffreddore avviene in media tra i 3 e i 5 anni di età. In seguito, il nostro organismo può entrare nuovamente in contatto con lo stesso coronavirus, circostanza che contribuisce a rinfrescare la memoria al sistema immunitario, rinnovando la protezione. I coronavirus del raffreddore comune si mantengono in circolazione e portano a nuove infezioni, ma raramente causano sintomi dopo le prime volte.

Qualcosa di analogo potrebbe accadere con il coronavirus con cui facciamo i conti da circa un anno. Lo studio segnala che a seconda della velocità di diffusione e della durata dell’immunità, potrebbero volerci “da pochi anni ad alcuni decenni” perché il virus diventi endemico. I tempi potrebbero cambiare sensibilmente grazie alle campagne vaccinali di massa, portando il periodo a meno di un anno. Questo scenario sarebbe auspicabile non solo per il sensibile accorciamento della pandemia, ma soprattutto per la possibilità di ridurre la quantità di malati di COVID-19, e di conseguenza i morti e i carichi di lavoro insostenibili per gli ospedali.

A oggi sembra comunque improbabile che il SARS-CoV-2 sparisca completamente dalle nostre esistenze: difficilmente sarà eradicato come accadde con il vaiolo, proprio grazie ai vaccini. Se così fosse, diventerà una presenza costante, ma meno invadente e rischiosa rispetto a quando lo abbiamo conosciuto.

Lo studio di Lavine e colleghi si porta dietro molti “se” e “ma”, come è inevitabile che sia in una fase ancora incerta della pandemia. I vaccini finora autorizzati si sono rivelati efficaci nel prevenire i sintomi gravi della COVID-19, ma non sappiamo se siano anche in grado di prevenire la trasmissione del coronavirus. Un vaccinato potrebbe non ammalarsi, ma essere ugualmente contagioso nel caso di un’eventuale infezione (la vaccinazione consentirebbe comunque di tutelare meglio la sua salute e quella degli altri, di ridurre i ricoveri in ospedale e i costi sociali dovuti a limitazioni e lockdown).

Se si confermasse questa circostanza, il coronavirus continuerebbe a circolare tra la popolazione. Altri ricercatori nei mesi scorsi avevano fatto ipotesi simili, valutando la possibilità che il virus possa assumere un andamento stagionale, come avviene con l’influenza. In questo caso, potrebbero esserci anni con un tasso di letalità più alto rispetto ad altri, a seconda della diffusione di nuove varianti in grado di eludere le difese del sistema immunitario. È un’eventualità da non escludere, anche se per ora sembra più probabile quella indicata da Lavine e colleghi su una somiglianza con i coronavirus che causano il raffreddore comune.