Quelli che collezionano mattoni

Sono soprattutto nel Regno Unito e c’è chi ne ha addirittura 7.000: li scelgono in base al colore, alla zona di produzione o ai caratteri tipografici

Un mattone scozzese proveniente dalla Glasgow School of Art Mackintosh Library; si vede l'incavo e il nome del produttore
(Jeff J Mitchell/Getty Images)
Un mattone scozzese proveniente dalla Glasgow School of Art Mackintosh Library; si vede l'incavo e il nome del produttore (Jeff J Mitchell/Getty Images)

Sono oggetti comuni, di materiale poco pregiato, pesanti e indistinguibili a un occhio disattento ma anche gli umili mattoni sanno ispirare desideri ed entusiasmi nelle schiere crescenti di collezionisti. Come ha raccontato il sito Atlas Obscura, l’accumulo appassionato di laterizi ha preso piede negli ultimi cinquant’anni ad opera di aspiranti archeologi e storici, quasi tutti maschi e in pensione, che hanno iniziato spesso casualmente notando un particolare, una scritta, un colore insolito.

Molti collezionisti sono britannici, parecchi scozzesi: qui la passione per il mattone è facilitata dalla loro particolare conformazione. Quasi tutti, infatti, presentano sul lato lungo un incavo, chiamato frog, dov’è solitamente impresso anche il logo e il nome del produttore. Questo li rende diversi tra loro, meno anonimi, e allo stesso tempo consente di raccogliere un compendio visivo della storia industriale del paese.

L’incavo si diffuse a fine Settecento durante la Rivoluzione industriale: permetteva di risparmiare materiale, riduceva i tempi di asciugatura dei mattoni, li rendeva più leggeri e facili da afferrare e permetteva di accogliere più malta e di garantire così maggiore stabilità. Era anche un ottimo posto dove imprimere il logo della fabbrica.

– Leggi anche: I Soprano non invecchiano mai

Matthew Johnson, un collezionista di Londra che fa parte della Scottish Brick History, un club di collezionisti fondato dallo scozzese Mark Cranston, ha anche un’altra teoria. Ha raccontato che doveva restaurare un caminetto del Cinquecento in mattoni rossi poco profondi. Prima di iniziare aveva recuperato un po’ di mattoni antichi, senza incavo e leggermente più spessi, quindi per utilizzarli doveva ridurne un po’ lo spessore. Riuscì a rimuovere il materiale ai lati ma quando passava al centro il mattone si spaccava; era invece facile pareggiare i mattoni con l’incavo perché la zona centrale era già stata scavata. Secondo Johnson, l’incavo si sarebbe diffuso tra i mattoni industriali, che avevano dimensioni standard, perché fosse facile pareggiarli con quelli artigianali, che erano ancora utilizzati ma erano spesso più piccoli.

Non ci sono criteri univoci per stabilire la preziosità di un mattone, ma ogni collezionista ha i suoi. Alcuni li scelgono in base al luogo di provenienza, che si deduce dalla scritta nell’incavo o dal colore, visto che ogni zona ha il suo: quelli dello Staffordshire sono di un blu quasi metallico, quelli del Suffolk sono di un bianco pannoso. Altri invece sono attirati dai caratteri tipografici, inizialmente scarni poi sempre più ornati. Soltanto a fine Ottocento le lettere iniziarono a essere scritte come si leggono e non al rovescio, per cui i mattoni più antichi portano le scritte ribaltate (si nota soprattutto con le N e le S).

– Leggi anche: Una storia su uno Stradivari rubato

John Harrison, collezionista dal 1995 e membro della British Brick Society – la più importante associazione britannica di mattonofili – spiega che «mi interessano soprattutto quelli che hanno una particolarità o qualcosa che non avevo mai visto», come una superficie seghettata opposta a quella dell’incavo. L’architetto londinese Jason Harris, che ha una collezione di circa 400 mattoni, di cui 155 catalogati nel libro Brick Index, ha detto al sito Atlas Obscura che gli piacciono per «il colore e le forme»; il suo editore, nonché collezionista e graphic designer Patrick Fry, è interessato soprattutto al «design funzionale, che spesso ha una qualità strana e imperfetta che lo rende affascinante».

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da CentreCentre (@centrecentre_)

È affascinante anche che la storia di questi mattoni sia leggibile negli incavi solo quando gli edifici che tenevano insieme non esistono più: molti provengono da case vittoriane, fabbriche, negozi del secolo scorso, caserme, scuole. Vengono recuperati nelle discariche e nei siti in demolizione e le regole condivise prevedono che non si debbano sottrarre dagli edifici storici, perlomeno senza chiedere il permesso, né rubarli dai giardini. Per esempio lo scozzese Mark Cranston, ex brigadiere della polizia in pensione e fondatore, nel 2014, della già citata Scottish Brick History monitora le demolizioni dei vecchi edifici e poi va in ricognizione nei paraggi, in cerca dei preziosi laterizi. Oppure setaccia siti in costruzione abbandonati, rive e fiumi. In questo modo ha ammassato una collezione di 3.500 mattoni, di cui circa 3.000 dalla Scozia, che nell’Ottocento ne produceva in grande quantità per il Regno.

A essere precisi, il 75 per cento della collezione è frutto delle sue perlustrazioni mentre il restante 25 gli è stato donato da altri collezionisti e appassionati. Cranston si occupa di mattoni dal 2010 – iniziò cercando un fermaporta per la sua rimessa e ne scovò uno bianco arrivato da un’ex miniera di carbone – e in 10 anni ha intessuto una vasta rete di contatti: c’è chi gli dà dritte su dove trovare mattoni, chi glieli spedisce e chi gli regala la sua collezione. Altri, più restii a cedere i propri ritrovamenti, gliene inviano delle foto così che lui possa arricchire il suo ampio catalogo, aggiornato sul sito del club e che trovate qui. Tra i mattoni a cui tiene di più ce n’è uno trovato a fine anni Novanta dopo la demolizione del luogo di esecuzione del più grande carcere della Scozia e uno realizzato in Scozia, con oro proveniente dallo stato di Washington, Stati Uniti; il più antico è del 1933.

La collezione più famosa è probabilmente quella di Henry e Mary Holt, considerati due pionieri. Conta 7.000 mattoni e venne iniziata negli anni Settanta da Henry quando notò il nome di un suo omonimo inciso su un incavo che indicava la “E Holt and Company, Rossendale”. Holt era un costruttore in pensione e passò i successivi trent’anni a scovare e assemblare mattoni, utilizzando anche vecchie mappe per individuare murature antiche e pregevoli e miniere di carbone; poi esplorava i dintorni nella speranza di preziosi reperimenti. La collezione Holt è il punto di riferimento della British Brick Society, fondata nel 1974 da accademici per studiare la storia degli edifici in mattoni e dei metodi di costruzione. Oggi raccoglie professionisti e amatori, tra cui molti collezionisti.

– Leggi anche: L’odore dei film

Un’altra associazione importante è l’International Brick Collectors Association (IBCA), fondata nel 1983 negli Stati Uniti, che conta collezionisti e appassionati di mattoni da tutto il mondo. Ha circa 2.000 iscritti, che si riuniscono tre volte l’anno per raccontarsi aneddoti, condividere consigli e informazioni e scambiarsi mattoni (che non possono, invece, essere venduti). Tre volte all’anno l’associazione pubblica anche una rivista piena di racconti, studi e ricerche accuratissime sui laterizi. La presidente Terry Taraba spiega che «i mattoni di Austin sono belli così come quelli del Wisconsin. Ce ne sono alcuni con impressi cammelli, altri con sopra violoncelli. Alcuni membri collezionano solo mattoni di una certa categoria: a uno, per esempio, interessano solo mattoni usati per lastricare le strade in Ohio, e ne possiede un migliaio».

Will Quam, insegnante di teatro di Chicago, non fa parte dell’IBCA ma è comunque un cultore dei mattoni: ha creato una pagina Instagram, Brick of Chicago, dedicata ai muri della città, che negli anni Venti era uno dei più importanti centri di produzione di mattoni degli Stati Uniti, prima che l’industria venisse soppiantata da quella dell’acciaio e del cemento armato. Già nel 1890 erano in funzione più di 60 mattonifici che realizzavano più di 600 milioni di mattoni all’anno; la stessa Chicago venne completamente ricostruita in mattoni dopo l’incendio che l’aveva semidistrutta nel 1871. Per questo è facile girare per le sue strade e vederli nelle mura di case, negozi, scuole: «alcuni, se li guardi da lontano, non li capisci davvero – ha detto Quam al Chicago Tribune – Se ti avvicini, capisci le differenze. Sembra quasi di intravedere i tocchi del pennello: Chicago è ricoperta di Van Gogh!». Brick of Chicago raccoglie più di 2.000 foto, che di recente hanno incluso anche altre città americane, e ha quasi 14mila iscritti.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Brick of Chicago (@brickofchicago)

Un problema non indifferente, infine, è come conservare le collezioni, che richiedono molto spazio. Alcuni dispongono i mattoni ordinatamente o li impilano l’uno sull’altro in giardino. Harrison, della British Brick Society, conserva nelle casse i suoi 98 mattoni, mentre si racconta che Holt avesse distribuito la sua collezione in tre garage, un ripostiglio, una dependance e alcuni armadi. Harris, l’architetto, ha realizzato un’installazione permanente nel corridoio di casa: «Quando ci cammino è come se vedessi i bigliettini da visita del nostro passato industriale: è affascinante. In Regno Unito le cose sono cambiate molto ma questa è quasi una piccola lezione di storia del periodo più produttivo del nostro tempo. Ha un che di nostalgico camminare e leggere quei nomi».

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Brick of Chicago (@brickofchicago)