I genitori di Giulio Regeni hanno denunciato il governo italiano

Per aver violato la legge che vieta di vendere armi ai paesi «i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani»

(Roberto Monaldo / LaPresse)
(Roberto Monaldo / LaPresse)

I genitori di Giulio Regeni – il ricercatore italiano dell’università di Cambridge scomparso il 25 gennaio 2016 al Cairo, in Egitto, e trovato morto pochi giorni dopo –, Paola Deffendi e Claudio Regeni, insieme alla loro avvocata Alessandra Ballerini, hanno depositato alla procura di Roma una denuncia contro il governo italiano per aver violato una legge che vieta di vendere armi ai paesi che hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani.

La denuncia si riferisce alla vendita da parte del governo italiano di due fregate, cioè due navi da guerra, all’Egitto. I genitori di Regeni avevano annunciato la denuncia già alcuni giorni fa, nel corso di una puntata del programma di La7 Propaganda Live, durante il quale avevano anche chiesto il richiamo dell’ambasciatore italiano in Egitto, ma l’hanno depositata solo ieri, 6 gennaio, come riferisce Repubblica.

Secondo i genitori di Regeni la vendita delle due fregate Fremm (fregate europee multi-missione) – la prima è stata consegnata il 23 dicembre – avrebbe violato la legge 185 del 1990, che vieta la vendita di armi a paesi «i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea o del Consiglio d’Europa». Secondo i genitori di Regeni l’Egitto fa parte di questi paesi, come attestano diversi pronunciamenti delle istituzioni europee, ultimo dei quali la risoluzione del 18 dicembre sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto.

La denuncia arriva in seguito alle molte critiche rivolte nei mesi scorsi al governo italiano da parte dei genitori di Regeni per non aver fatto abbastanza pressioni sull’Egitto per perseguire i responsabili dell’omicidio del figlio. Dopo la chiusura delle indagini sulla morte di Regeni, la procura di Roma aveva annunciato che avrebbe chiesto di portare a processo – con l’accusa di aver rapito, torturato e ucciso Giulio Regeni – quattro persone appartenenti ai servizi di sicurezza egiziani: il generale Tareq, i colonnelli Helmy e Kamal, il maggiore Magdi Sharif (per un quinto agente, inizialmente indagato, era stata invece chiesta l’archiviazione per mancanza di elementi).

Si era però saputo da subito che i magistrati egiziani non avrebbero collaborato, e avevano invece deciso di procedere con un proprio processo autonomo, non contro i rapitori e gli assassini di Regeni, che giudicano «ignoti», ma nei confronti di chi rubò i suoi effetti personali, e quindi l’accusa nei loro confronti sarà semplicemente di furto.

Anche questo processo per furto però pone diversi e ulteriori problemi nella gestione del caso da parte del governo egiziano. Il procuratore egiziano aveva infatti informato il procuratore capo di Roma, Michele Prestipino, di voler procedere per furto nei confronti della «banda che, utilizzando documenti contraffatti di appartenenti a forze dell’ordine, aggrediva e derubava cittadini stranieri».

La ricostruzione secondo cui Giulio Regeni fu ucciso da una banda criminale «specializzata nel fingersi agenti di polizia, nel sequestrare cittadini stranieri e rubare loro i soldi», era stato uno dei primi tentativi di chiudere il caso da parte del governo egiziano, ed è considerato il depistaggio più clamoroso delle autorità egiziane sull’omicidio Regeni. La procura di Roma definì questa versione priva di ogni attendibilità e poco dopo venne fuori che al momento della scomparsa di Regeni il capo della banda criminale in questione si trovava a più di 100 chilometri dal luogo del sequestro.

In risposta ai depistaggi il governo Renzi nel 2016 decise di richiamare l’ambasciatore italiano in Egitto, Maurizio Massari, e dopo circa un anno e mezzo il governo Gentiloni ne nominò uno nuovo, Giampaolo Cantini, ancora in carica.

Al Cairo Giulio Regeni stava lavorando a una tesi di dottorato sui sindacati del paese. Il suo corpo, con i segni di innumerevoli torture, venne trovato nove giorni dopo la scomparsa, il 3 febbraio, abbandonato al lato di una strada. L’autopsia in Italia mostrò che Regeni era morto per un colpo al collo.