Ignazio Marino e la Panda rossa

Se ne riparla dopo un servizio di Report sugli abusi dei vigili di Roma, e per via delle prossime elezioni: come andò e com'è andata a finire, per chi se lo fosse perso

Ignazio Marino durante la presentazione del suo libro "Un marziano a Roma", Roma, 31 marzo 2016 (ANSA/CLAUDIO ONORATI)
Ignazio Marino durante la presentazione del suo libro "Un marziano a Roma", Roma, 31 marzo 2016 (ANSA/CLAUDIO ONORATI)

Durante la puntata di Report del 23 novembre è andata in onda l’inchiesta “Potere capitale” in cui si è parlato, tra le altre cose, della nota vicenda della Panda rossa dell’allora sindaco di Roma Ignazio Marino, e delle multe che fu accusato di non aver pagato. È una storia che risale al 2014 e di cui allora si scrisse molto, in modo molto impreciso e con grandi errori ed esagerazioni: sembrava inizialmente un grosso scandalo, ma era priva di fondamento e – anzi – oggi sembra probabile che fu creata proprio per danneggiare Marino.

Due giorni dopo il servizio di Report è stato lo stesso Marino a parlare della storia, con un post su Facebook in cui si lamentava che nessun giornale avesse ripreso quanto raccontato da Report o si fosse scusato per alcuni articoli pubblicati all’epoca. La storia della Panda rossa fu tra quelle che di fatto costrinsero Marino a dimettersi, nel 2015, a metà del suo mandato.

Nell’inverno del 2014 Ignazio Marino era sindaco di Roma da circa un anno, era stato eletto nel 2013 come candidato del Partito Democratico e di una coalizione di centrosinistra. All’inizio di novembre venne accusato di aver circolato senza permesso per la Zona a traffico limitato di Roma (ZTL) a bordo di una Panda rossa di sua proprietà e di aver ricevuto otto multe che non erano state pagate.

Il senatore Andrea Augello – di Nuovo Centro Destra, il partito di Angelino Alfano che allora sosteneva il governo Renzi – aveva anche presentato un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Alfano. Secondo Augello e secondo il giornalista del Corriere della Sera Ernesto Menicucci – che aveva dedicato al caso diversi articoli molto critici nei confronti di Marino – le multe erano state “sospese”, e il motivo della sospensione, secondo il database della polizia municipale, era stata molto probabilmente la presenza di un qualche tipo di “ricorso” contro le stesse.

Augello aveva scritto che era improbabile che fosse stato Marino ad aver fatto ricorso, poiché in quel caso si sarebbe messo in una posizione di incompatibilità. Secondo la legge, infatti, un sindaco non può avere cause pendenti con il proprio comune. La conclusione, secondo Augello e secondo Menicucci, era dunque che “qualcuno” all’interno dell’amministrazione comunale avesse bloccato le multe per fare un favore al sindaco. Marino – un rispettato medico con una carriera di successo negli Stati Uniti – aveva costruito gran parte della sua immagine di politico sulla sua onestà e estraneità alla politica tradizionale: l’accusa di aver cercato di cancellarsi delle multe era quindi per lui particolarmente grave e dannosa.

La risposta di Marino era arrivata qualche giorno dopo le prime accuse, quando il suo portavoce aveva detto che «l’iter di rinnovo del permesso di accesso alla ZTL» per l’auto di Marino aveva subito «un ritardo amministrativo» per cui l’Agenzia della Mobilità aveva rilasciato al sindaco un permesso temporaneo per poter circolare. Il permesso, secondo questa versione, era però registrato in una lista – “white list” – che non era collegata al database che gestiva la rilevazione delle infrazioni con le telecamere a presidio dei varchi della ZTL: le multe quindi venivano registrate e poi sospese. Dunque, era la conclusione, non c’era stata nessuna violazione da parte di Marino e nessuna pressione per cancellare le multe. Il portavoce aveva aggiunto che non c’era stato alcun ricorso da parte del sindaco e che quello che il database della polizia municipale aveva indicato come “ricorso” era in realtà soltanto una normale sospensione della multa.

Dopodiché, siamo all’8 novembre, le ipotesi si erano complicate. Ignazio Marino aveva pubblicato su Facebook un video in cui mostrava due documenti che a detta sua dimostravano che il sistema che regolava i permessi per l’ingresso nella ZTL di Roma aveva subito un attacco informatico. L’attacco, diceva Marino, era servito a rimuovere dal sistema la prova che tra il giugno e l’ottobre di quell’anno la sua automobile era autorizzata a circolare nella ZTL. Marino aveva anche mostrato un foglio stampato il 6 novembre in cui si poteva chiaramente leggere che la famosa Panda rossa aveva un permesso della cosiddetta “white list” valido dal 24 giugno al 31 ottobre. In un secondo foglio, stampato due giorni dopo, questo permesso era scomparso. Secondo Marino, qualcuno aveva insomma cercato di eliminare le prove che dimostravano come lui avesse effettivamente un permesso nel periodo in cui aveva ricevuto le otto multe.

La storia della Panda rossa si era però intanto ingigantita, era molto seguita da giornali e televisioni e aveva portato manifestazioni e richieste di dimissioni nei confronti di Marino.

Marino lasciò il suo incarico un anno dopo, nell’ottobre 2015, quando anche i consiglieri comunali del principale partito che lo sosteneva – il Partito Democratico – si dimisero in massa dal consiglio comunale, facendolo decadere. Marino subiva da diversi mesi duri attacchi, sia da alleati che da oppositori. In due anni aveva cambiato la giunta diverse volte dopo aver perso, per dimissioni spontanee o richieste, più della metà dei suoi assessori.

Marino non era mai stato coinvolto direttamente nelle allora molto discusse inchieste giudiziarie su “Mafia Capitale”, ma era stato criticato per una sua generale inadeguatezza e impopolarità, e anche per episodi nei quali c’entrava poco o con motivazioni pretestuose: oltre alla storia della Panda rossa e alle accuse di non aver pagato multe, c’era stato il cosiddetto “scandalo degli scontrini”, l’accusa di aver cioè usato la carta di credito del comune di Roma per pagare alcune cene personali. Marino era stato assolto in primo grado e poi condannato a due anni nel processo di appello: ma la Cassazione, nell’aprile del 2019, aveva annullato la condanna.

Nel servizio di Report del 23 novembre “Potere Capitale” si parla dei vigili urbani di Roma. Attraverso testimonianze e intercettazioni vengono ricostruite le inchieste che hanno coinvolto diversi vigili e alcuni vertici del corpo negli ultimi anni. Vengono anche raccontati gli interventi che da sindaco tentò di fare Marino per cercare di arginare gli abusi. Si dice, ad esempio, che «uno dei tentativi di controllare dall’esterno l’operato della polizia locale venne fatto nel 2015» quando la giunta Marino istituì l’app “Io Segnalo”, che permetteva a chiunque di denunciare degli illeciti e obbligava i vigili a intervenire e a riferire l’esito dell’intervento.

«Una situazione che sorprese anche me» racconta poi Marino nel servizio «fu il fatto che i vigili della polizia municipale di Roma ricevevano lo straordinario notturno a partire dalle 16 del pomeriggio». Marino cercò dunque di riformare la prassi degli straordinari citando a quel punto il famoso ultimo dell’anno del 2014 quando, poche ore prima della festa per cui la giunta aveva previsto l’impegno di 900 vigili urbani, in 767 si diedero malati. Un’altra occasione di scontro ricordata nel servizio fu quando Marino decise di portare avanti il piano anticorruzione nel Corpo dei vigili: il personale non ruotava da molti anni, «in alcuni casi, da due decenni» dice Marino: «Ritenni che fosse giusto, sano, avere una rotazione di alcune figure».

A quel punto si arriva alla questione della Panda rossa: «Le multe vennero emesse» dice Marino a Report «ma non vennero inviate a me, ma all’autoparco del comune, perché in alcune delle notifiche scrissero che il soggetto si era trasferito o era sconosciuto». Il servizio fa poi un salto al 2016, con Raggi sindaca. E cita una confidenza fatta a Raffaele Marra, consigliere di Raggi, dal fratello Renato Marra, vicecomandante dei vigili: Renato Marra parla del potere dei vigili delegati al pronto intervento del centro storico dicendo che «sono molto pericolosi».

Secondo Report, il 16 luglio del 2016 Renato Marra mandò al fratello un messaggio, in cui diceva: «Ti ricordi la panda rossa in divieto di sosta? Ti ricordi la storia delle multe, la bottiglia di vino pagata con la carta del comune? Tutte queste notizie sono state diffuse ad arte dai vigili del pronto intervento del centro storico che controllava per il PD tutti gli spostamenti di Marino. Parlane con il sindaco». Marino, intervistato da Report, ha definito la storia «inquietante».

La tesi di Report è che alcuni vigili avessero montato un sistema così consolidato «capace perfino di far tremare un sindaco, al punto da rendere lecita la domanda: quale è stato il ruolo dei vigili di Roma negli scandali che hanno portato alle dimissioni di Ignazio Marino?».

A seguito della vicenda della Panda rossa, Marino presentò un esposto. Dopo tre mesi, la procura di Roma confermò la tesi dell’ex sindaco. Qualcuno aveva violato il sistema informatico manipolando i dati di Marino per alterare il suo permesso: quando le telecamere vedevano il permesso, segnalavano che era scaduto. Ma la procura disse anche che non si sarebbe potuto risalire all’identità dei responsabili e il fascicolo venne archiviato.