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  • Venerdì 27 novembre 2020

I dati della settimana sul coronavirus in Italia

Per la prima volta da mesi i nuovi casi diminuiscono, ma rimangono comunque altissimi e continuano ad aumentare i decessi

I contagi da coronavirus registrati in Italia negli ultimi sette giorni sono stati meno della settimana prima: per la prima volta da mesi la curva è quindi in calo, dopo aver raggiunto i massimi dall’inizio dell’epidemia nelle scorse settimane. I casi di positività tra venerdì scorso e giovedì sono stati 201.347, il 17% in meno della settimana precedente. Rimangono comunque più o meno quelli registrati tra fine ottobre e inizio novembre, quando sono state decise le principali restrizioni per la seconda ondata.

I decessi invece continuano ad aumentare: sono stati 4.980 negli ultimi sette giorni, una cifra che non raggiunge quella della peggiore settimana dall’inizio dell’epidemia – a cavallo di marzo e aprile si raggiunsero i 5.700, e all’epoca le morti che sfuggivano ai conteggi ufficiali erano certamente di più – ma che fissa un nuovo record in questa seconda ondata. Significa una media di oltre 700 al giorno. Visto che l’andamento dei decessi è notoriamente in ritardo rispetto a quello dei casi, ci si può aspettare almeno un’altra settimana di peggioramento prima di vedere un calo.

È passato quasi un mese dalle misure che a inizio novembre hanno introdotto una sorta di lockdown meno rigido di quello primaverile in Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Calabria, e poi in provincia di Bolzano, in Toscana e in Campania. Il governo dovrebbe decidere venerdì se e come cambiare le “colorazioni” delle regioni, ammorbidendo eventualmente le misure nelle zone attualmente rosse. E a breve potrebbero anche arrivare annunci sulla questione delle restrizioni durante le feste natalizie, argomento di grandi discussioni e ipotesi negli ultimi giorni.

L’ultimo bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità si riferisce ai dati fino al 15 novembre, quindi di una decina di giorni fa e prima dell’ultimo calo. L’Rt calcolato sui casi sintomatici tra il 28 ottobre e il 10 novembre è di 1,18, contro l’1,43 registrato una settimana prima: di nuovo in calo, come succede da settimane, anche se da tempo alcuni esperti ritengono che l’indice sia diventato meno affidabile, a causa del peggioramento della qualità dei dati raccolti dalle regioni.

Questa settimana – e più precisamente lunedì – i ricoverati ordinari per COVID-19 hanno raggiunto il loro massimo dall’inizio dell’epidemia, 38.507, e poi per la prima volta da fine settembre sono diminuiti. Anche i pazienti in terapia intensiva hanno raggiunto il loro picco questa settimana, e giovedì sono diminuiti per la prima volta in questa seconda ondata: ma le modalità con cui sono diffusi i dati (senza i nuovi ingressi, ma soltanto con il totale quotidiano dei ricoverati) e l’altissimo numero di decessi registrati suggerisce cautela nel rilevare un calo.

Secondo i dati aggiornati dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, la regione con il tasso di saturazione delle terapie intensive più alto è il Piemonte, che ha il 64,3% dei posti occupati da pazienti COVID-19, seguita dalla Lombardia, che ospita 934 malati di COVID-19 sui 1.459 posti disponibili. Poi ci sono Umbria, Valle d’Aosta, provincia di Bolzano e Liguria, tutti sopra al 50%. La soglia del 30%, considerata quella critica, è stata superata da tutte le regioni tranne Basilicata e Molise. I dati sulle disponibilità di posti letto nelle terapie intensive sono un po’ delicati, perché cambiano ogni giorno per via delle nuove attivazioni e perché possono essere stimati e calcolati in modi un po’ diversi. Questi sono i dati di un ente pubblico che si occupa precisamente di monitoraggio sanitario, e dovrebbero quindi essere i più affidabili.

La regione che ha registrato più decessi rapportati alla popolazione negli ultimi sette giorni è stata la Valle d’Aosta, dove sono stati 27,7 ogni 100mila abitanti, seguita dal Friuli-Venezia Giulia con 13,2 (la saturazione delle terapie intensive qui è inferiore). Poi ci sono Piemonte (12,5), Lombardia (11,9) e Toscana (10,1).

Per quanto riguarda i dati regionali sui contagi, la Lombardia rimane di gran lunga la regione con i numeri assoluti più alti, anche se per la seconda settimana consecutiva si registra un calo. I contagi diminuiscono anche in Piemonte, in Campania e in Toscana, regioni particolarmente osservate nelle ultime settimane.

È comunque più utile parlare dei dati rapportati alla popolazione: alcune delle regioni con l’incidenza maggiore, come Valle d’Aosta, Piemonte e provincia di Bolzano, sono anche quelle che hanno registrato i cali percentuali maggiori di nuovi casi nell’ultima settimana. Lo stesso succede in Toscana e Umbria, e in misura un po’ minore in Lombardia e Campania. Friuli-Venezia Giulia e Puglia sono le uniche due regioni dove si è registrato un aumento dei casi rispetto a sette giorni fa, mentre in Emilia-Romagna il dato è rimasto stabile. Una settimana fa, la stessa mappa aveva molti più cerchi rossi.

A livello nazionale, il tasso di positività dei tamponi – cioè quanti risultano positivi sul totale di quelli fatti – continua a scendere: è un buon segnale. È un indicatore parziale, ma quando supera una certa soglia mostra che le operazioni di test sono concentrate sulle persone che già manifestano sintomi, e che raggiungono sempre meno gli asintomatici che quindi sfuggono ai conteggi e soprattutto al contact tracing.

Il dato non è comunque omogeneo a livello nazionale. Le regioni in cui è più basso sono Umbria, Lazio e Molise e in provincia di Trento. Il tasso di positività dei tamponi continua a essere alto in Veneto, in Lombardia, in Puglia, in Sicilia, in Piemonte e in Alto Adige, che questa settimana ha fatto il primo esperimento di test di massa sulla popolazione (test rapidi però).

Si possono unire i dati delle due mappe precedenti in un unico grafico, che riassume un po’ l’andamento delle regioni. Quelle più in alto sono quelle che hanno registrato un aumento dei casi rispetto alla settimana scorsa, quelle più in basso sono quelle dove sono calati di più, ovviamente in percentuale. Le regioni più a destra sono quelle in cui l’incidenza sulla popolazione continua a essere più elevata, mentre la dimensione dei cerchi è proporzionale al tasso di positività. Il colore infine corrisponde al rischio epidemiologico in cui è classificata la regione, e quindi alle misure restrittive in vigore (in rosso le più rigide). La posizione migliore nel grafico quindi è in basso a sinistra, con un cerchio piccolo; la peggiore in alto a destra.

Si vede che tutte le regioni rosse hanno registrato cali significativi nei contagi, e specialmente quelle che sono tali da più tempo. Toscana e Campania sono state inserite contemporaneamente, a metà novembre, ma il calo dei casi è stato assai più netto nella prima. In Abruzzo, zona rossa da una decina di giorni, non ci sono ancora stati effetti molto visibili. Delle cinque regioni “gialle”, il Veneto è di gran lunga quella con i dati peggiori. Tra quelle arancioni, il Friuli-Venezia Giulia ha una notevole incidenza e un andamento stabile dei casi, in una situazione non molto diversa dall’Emilia-Romagna.

Scendendo ancora nell’analisi territoriale dell’epidemia, la provincia con più contagi per abitante nelle ultime due settimane è sempre quella di Varese (1.597 ogni 100mila abitanti), dove il dato però è infine migliorato rispetto alla settimana scorsa. Segue quella di Verbano-Cusio-Ossola, dove invece sono aumentati rispetto alla settimana scorsa (1.463), poi Como (1.431, in miglioramento) e Bolzano (1.335, in miglioramento). Al centro, le province dove la circolazione del coronavirus è maggiormente accertata sono Massa Carrara (1.205) e L’Aquila (1.049). Al Sud le province di Caserta (968) e Napoli (939) sono ancora quelle con i dati peggiori, ma c’è stato un miglioramento rispetto alla settimana scorsa. Nella provincia di Nuoro invece la situazione è peggiorata significativamente (895).

Per la prima volta da diversi mesi il numero di tamponi di cui è stato comunicato il risultato questa settimana è stato inferiore ai sette giorni precedenti: 1.464.371, su  740.569 persone diverse. Secondo il rapporto dell’ISS, nel periodo tra il 2 e il 15 novembre i casi di positività scoperti con le operazioni di screening – cioè con i tamponi fatti a determinate categorie considerate a rischio, come gli operatori sanitari – sono stati il 28,4%; quelli scoperti con il tracciamento dei contatti sono stati il 20,4%; quelli scoperti perché il paziente aveva sintomi il 34,1% (per il 17,1% dei casi non si sa).