Si riparla della fondazione di Renzi

La Cassazione ha accolto il ricorso contro le perquisizioni e i sequestri nei confronti di alcune persone coinvolte nel caso: dove eravamo rimasti

Matteo Renzi alla "Leopolda 10", Firenze, ottobre 2019
(ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI)
Matteo Renzi alla "Leopolda 10", Firenze, ottobre 2019 (ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI)

Da ieri i giornali sono tornati a parlare dell’inchiesta sulla Fondazione Open, creata per finanziare l’attività politica di Matteo Renzi e famosa per aver organizzato i raduni della Leopolda, gli appuntamenti annuali della sua corrente quando faceva parte del PD. Ieri la Cassazione ha accolto i ricorsi del finanziere Davide Serra e di Marco Carrai, ex membro del consiglio di amministrazione di Open, contro il decreto di perquisizione e sequestro di documenti e computer disposto dalla Procura di Firenze ed eseguito dalla Guardia di finanza nel 2019. E Matteo Renzi ha criticato il fatto che la notizia non sia stata riportata dai media con la stessa attenzione data alle perquisizioni stesse.

La Cassazione
Ieri, la Cassazione ha accolto i ricorsi dell’imprenditore Marco Carrai e del finanziere Davide Serra presentati contro il sequestro di documenti e computer nell’ambito dell’indagine sulla Fondazione Open. Il provvedimento di conferma delle perquisizioni emesso dal tribunale del Riesame di Firenze il 19 dicembre 2019 è stato dunque annullato. Carrai è accusato di finanziamento illecito ai partiti, insieme all’ex presidente di Open Alberto Bianchi, a cui viene contestato anche il traffico di influenze. Serra, invece, non è indagato.

Per quanto riguarda Marco Carrai, i giornali scrivono che il provvedimento del tribunale del Riesame di Firenze è stato annullato «con rinvio per nuovo esame». L’annullamento del provvedimento che coinvolge Serra è stato invece deciso senza rinvio, secondo quanto dichiarato da Alessandro Pistochini, legale di Serra: «Siamo molto soddisfatti perché la Corte non solo ha annullato senza rinvio la decisione del tribunale di riesame di Firenze, ma ha anche dichiarato l’illegittimità del decreto di sequestro, ordinando la restituzione dei beni ai legittimi proprietari».

Fino a qui
L’indagine della Procura di Firenze sulla Fondazione era iniziata nel 2019 e coinvolgeva, tra gli altri, l’avvocato Alberto Bianchi, finanziatore di Matteo Renzi, presidente di Open e indagato per traffico di influenze e finanziamento illecito ai partiti, e Marco Carrai, noto amico e alleato di Renzi, indagato per finanziamento illecito ai partiti. La notizia dell’indagine era arrivata sulle prime pagine dei giornali a fine novembre, dopo che la procura di Firenze aveva ordinato perquisizioni in undici città negli uffici di una dozzina di società che avevano finanziato Open tra il 2012 e il 2018 (anno in cui era stata chiusa la Fondazione).

Le perquisizioni avevano coinvolto anche persone non indagate, che avrebbero però finanziato la fondazione. C’erano per esempio il gruppo autostradale Gavio, la società farmaceutica Menarini, la compagnia di navigazione Moby e il finanziere Davide Serra. Carrai e Serra, tra gli altri, avevano presentato contro i sequestri un ricorso che lo scorso gennaio non era stato però accolto dal tribunale del Riesame di Firenze.

Nell’ordinanza che confermava il sequestro del tribunale del Riesame, si diceva: «Gli esiti dell’attività investigativa svolta evidenziano significativi intrecci tra prestazioni professionali rese dall’avvocato Bianchi e da suoi collaboratori e finanziamenti alla Fondazione Open». Secondo i magistrati, Bianchi avrebbe avuto rapporti sospetti con diverse di queste società. Per esempio, si ipotizzava che il gruppo di costruzioni Toto avesse compiuto operazioni di trasferimento di denaro «dissimulatorie» per finanziare la fondazione, attraverso l’incarico per un contenzioso con Autostrade affidato allo studio legale di Bianchi. Secondo i magistrati, insomma, il lavoro di Bianchi per Toto sarebbe stato una sorta di copertura per finanziare la fondazione. Inoltre, «nell’adempimento dell’incarico professionale affidato all’avvocato Bianchi dal gruppo Toto» sarebbe emersa una «intromissione» di Carrai.

Nell’ordinanza di conferma del sequestro, il Riesame aveva anche sottolineato il ruolo di Carrai, socio di due società in Lussemburgo tra loro collegate, una delle quali finanziata da italiani a loro volta finanziatori di Open. Il sospetto era dunque che alcuni donatori della fondazione renziana avessero finanziato le società di Carrai, solo per veicolare altri soldi a Open. Pertanto, concludeva il Tribunale del Riesame, perquisizione e sequestri erano legittimi in quanto necessari per «ricostruire i rapporti degli indagati Carrai e Bianchi coi finanziatori di Open».

Un altro aspetto dell’indagine riguarda cosa avrebbe fatto la fondazione Open con quel denaro. Per il tribunale del Riesame, la Fondazione Open aveva «agito, a prescindere dal suo scopo istituzionale, quale articolazione di partito» (o almeno di una sua parte), per esempio pagando le spese di alcuni parlamentari e prestando loro carte di credito e bancomat. Utilizzare una fondazione per raccogliere finanziamenti da usare nell’attività politica, invece che finanziare direttamente un partito (che è spesso più complesso e permette di esercitare minor controllo sui soldi), è una tecnica legale utilizzata da quasi tutti i partiti e da gran parte dei principali attori politici, ma i cui confini, cioè cosa possa fare la fondazione con quel denaro, rimangono abbastanza incerti.

Le motivazioni con cui la Cassazione ha accolto il ricorso non sono ancora state pubblicate. Ci vorranno circa trenta giorni.