Perché si riparla di “rete unica”

Tim e Cassa Depositi e Prestiti si sono messe d'accordo per costituire una società che gestisca una rete unica nazionale in fibra ottica, forse è la volta buona

La scorsa settimana il governo ha dato parere favorevole alla creazione di una società unica per gestire le infrastrutture della rete italiana a banda larga, con l’obiettivo di colmare un ritardo nel settore delle telecomunicazioni da parte dell’Italia e migliorare la qualità delle connessioni ultraveloci (quelle interamente in fibra ottica). Lunedì sera, durante due consigli di amministrazione straordinari, hanno dato il loro parere favorevole per gestire il progetto di “rete unica” anche Cassa Depositi e Prestiti (Cdp, controllata all’83 per cento dal ministero dell’Economia) e Tim, i due principali protagonisti dell’operazione.

In estrema sintesi: dall’accordo nascerà una nuova società, che metterà insieme la rete fissa di Tim con quella di Open Fiber, azienda controllata da Cdp e da Enel. Open Fiber era nata nel 2015 nell’ambito di un piano molto ambizioso per realizzare e gestire un’infrastruttura di rete in fibra ottica per fornire connessioni in banda ultralarga a tutta l’Italia. Il progetto aveva suscitato diverse perplessità perché coinvolgeva Enel, società attiva nell’erogazione di servizi energetici, ma storicamente meno qualificata nella gestione e nella fornitura di connessioni a Internet.

Open Fiber
Open Fiber aveva iniziato a sviluppare reti in fibra ottica partendo dalle grandi città, nelle cosiddette “aree di mercato”: quelle in cui la richiesta è tale da rendere l’investimento economicamente sostenibile. Dopo l’adozione di un’Agenda Digitale Europea, iniziativa dell’Unione Europea per incentivare l’innovazione nel sistema delle telecomunicazioni tra i suoi stati membri, in Italia si decise di mettere a punto un piano per non lasciare indietro anche le aree cosiddette “a fallimento di mercato” (circa 7mila comuni in cui gli operatori avevano dichiarato di non avere interesse a investire, stimando che i costi avrebbero superato i ricavi).

Le gare per assegnare fondi europei con i quali costruire una rete moderna e veloce in fibra ottica furono vinte da Open Fiber, che diventò dunque un concessionario dello Stato per costruire, gestire e mantenere questa rete pubblica nelle aree a fallimento di mercato. Open Fiber non offre le connessioni direttamente ai singoli, ma dà in uso la sua rete all’ingrosso agli operatori attivi sul territorio per portare Internet nelle case attraverso la fibra ottica.

Rete unica
In pochi anni le attività distinte di Tim e di Open Fiber avevano reso nuovamente di attualità il dibattito sulla cosiddetta “rete unica”, cioè sull’opportunità di avere un’infrastruttura per le connessioni fisse gestita da un unico soggetto, che si sarebbe fatto carico dello sviluppo della rete e della vendita all’ingrosso agli operatori per l’utilizzo della propria infrastruttura. Di questa eventualità si era parlato già alla fine degli anni Novanta e a metà del primo decennio del Duemila, ma senza che si arrivasse a qualcosa di concreto. Tim, all’epoca Telecom Italia, era contraria a separare la propria rete fisica dalla gestione dei servizi (lo “scorporo della rete”, come fu definito), e la vicenda si intrecciò agli anni turbolenti vissuti dall’azienda.

L’idea di costruire una rete unica per non duplicare gli investimenti infrastrutturali, ma per farli convergere con l’obiettivo di rendere più efficiente l’infrastruttura del paese e raggiungere una diffusione maggiore, è tornata di stretta attualità negli ultimi mesi anche a causa della pandemia da coronavirus. Nei mesi del lockdown, con milioni di persone che lavoravano da casa, si è resa evidente la scarsa capacità dell’attuale rete e sono diventate ancora più evidenti le differenze di connettività tra grandi e piccoli centri urbani. Anche per questo motivo il governo ha fatto pressioni su Cdp e Tim per trovare un accordo verso la costituzione della rete unica.

L’accordo
Nella sera di lunedì 31 agosto il consiglio di amministrazione di Tim ha approvato la creazione di FiberCop, società che si occuperà della sua rete secondaria, quella che porta le connessioni dagli armadietti grigi che vediamo agli angoli degli isolati alle singole abitazioni. Per farlo ha trovato un accordo con il fondo statunitense Kkr e Fastweb: Kkr acquisirà per 1,8 miliardi di euro il 37,5 per cento della nuova società, Fastweb avrà una quota del 4,5 per cento e Tim deterrà il 58 per cento. Questo sarà il primo nucleo della società che poi si trasformerà in AccessCo, la società della rete unica vera e propria, e che nascerà (come si dice nel comunicato di Tim) non oltre il primo trimestre del 2021 attraverso la fusione tra FiberCop e Open Fiber.

In pratica, quello di FiberCop è un passaggio intermedio per consentire a Tim di far confluire le proprie e varie attività legate alla rete fissa in AccessCo. Il piano prevede che la rete secondaria sia aggiornata, sostituendo gli attuali cavi in rame (meno veloci) dagli armadietti alle abitazioni con cavi in fibra ottica (molto più veloci).

Durante il consiglio di amministrazione di Tim è stata approvata anche la firma di una lettera di intenti con Cdp. Contestualmente, il consiglio di Cassa Depositi e Prestiti – che detiene circa il 9,7 per cento di Tim e il 50 per cento di Open Fiber – ha dato il proprio accordo per la firma della lettera con Tim. La rete unica (AccessCo) sarà controllata congiuntamente da Cdp e Telecom.

Secondo quanto previsto dall’accordo, Tim deterrà almeno il 50,1 per cento di AccessCo e con un sistema di gestione condiviso con Cdp sarà garantita “l’indipendenza e la terzietà” della società. È un passaggio importante perché significa che AccessCo potrà poi offrire i servizi all’ingrosso ai singoli operatori – senza favorire Tim – che a loro volta venderanno le connessioni ai privati.

Il Sole 24 Ore spiega che «L’accordo tra Cdp e Tim, si fonda sull’assegnazione del controllo della società unica della rete all’ex monopolista. Come contrappeso, Cdp avrà invece la maggioranza in cda, godendo di importanti poteri di veto. A Tim spetterà l’indicazione dell’amministratore delegato, che dovrà avere il beneplacito della Cassa. Viceversa per il presidente: sarà nominato da Cdp con il placet di Tim. Resta il nodo della quota, pari al 50%, di Enel in Open Fiber, partecipazione per cui si è fatto avanti il fondo australiano Macquarie. L’altro 50% di Open Fiber è in mano alla Cassa che ha un diritto di prelazione sull’intera quota di Enel». La società elettrica sta cioè per ricevere un’offerta vincolante dal fondo Macquarie per cedere la sua metà di Open Fiber.

Tempi
La chiusura dell’operazione (con le relative quote di partecipazione nella società) è comunque condizionata alle autorizzazioni dell’Antitrust, l’organismo che si occupa della concorrenza sul mercato. Nei giorni scorsi, c’erano state diverse critiche sul mantenimento del controllo da parte di Tim, un operatore che al momento possiede sia l’infrastruttura che i servizi. Secondo alcuni il rischio sarebbe o di tornare a un monopolio, alla condizione cioè che ha causato i ritardi passati, o di creare una situazione in cui Tim, principale azienda di telecomunicazioni del paese, possa approfittare della propria posizione di controllo finanziario ai danni dei concorrenti.

Per questo alcuni operatori (Vodafone, WindTre e Sky) lo scorso 11 agosto avevano inviato una lettera al ministro del Tesoro Roberto Gualtieri e al ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli criticando l’ipotesi della gestione di una rete nazionale da parte di un operatore di questo tipo. La proprietà condivisa con poteri di controllo incrociato tra Tim e Cdp dovrebbe attenuare questo problema, ma molto dipenderà dai termini degli accordi che saranno definiti nei prossimi mesi, con l’obiettivo di chiudere entro marzo del 2021.