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  • Domenica 30 agosto 2020

L’Università dell’Arizona ha usato la cacca per fermare un focolaio di coronavirus

Ha messo in piedi un sistema per testare le acque fognarie del campus, scoprendo e isolando due positivi asintomatici in un dormitorio

Il campus dell'Università dell'Arizona (Profilo Twitter dell'università)
Il campus dell'Università dell'Arizona (Profilo Twitter dell'università)

Nell’organizzare il rientro di circa 5mila studenti nelle strutture del suo campus, l’Università dell’Arizona, a Tucson, ha deciso di mettere in piedi un sistema per rilevare la presenza del coronavirus nelle acque fognarie provenienti dai 20 dormitori del complesso. Giovedì, l’università ha annunciato che in questo modo ha scoperto la presenza di due positivi asintomatici in un dormitorio, isolandoli prima che potessero contagiare altri studenti.

Esperimenti di questo tipo sono in corso un po’ in tutto il mondo, e in diverse università americane. Le tracce del coronavirus infatti rimangono nelle feci delle persone contagiate, secondo alcuni studi anche con giorni di anticipo rispetto alla manifestazione dei primi sintomi, e anche per chi di sintomi non ne manifesta affatto. L’analisi delle acque reflue per studi di salute pubblica non è una novità, e viene impiegata di frequente per virus e batteri di molti tipi, ma anche per fare indagini sul consumo di droga in una determinata area urbana o sul tipo di alimentazione. Il processo con cui vengono analizzate le feci non è molto diverso da quello usato per i tamponi, e consiste nell’estrazione e nell’amplificazione del materiale genetico di un  campione.

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Gli studenti avevano cominciato a rientrare nel campus dell’Università dell’Arizona un paio di settimane fa, e tutti erano stati sottoposti ai test antigenici, test rapidi ma con un’affidabilità limitata, che verificano la presenza del coronavirus facendo reagire degli anticorpi con un campione di saliva. Con i test sulle acque reflue, la task force che aveva il compito di applicare le misure di sicurezza contro il coronavirus voleva avere un riscontro periodico sull’eventuale presenza di contagiati nei campus. La raccolta di campioni avviene due volte a settimana, dopo le 8.30 di mattina (l’ora in cui si stima la maggior parte degli studenti sia andata in bagno).

Quando i test sulle acque fognarie di un dormitorio sono risultati positivi, tutti e 311 gli occupanti sono stati sottoposti a un nuovo test antigenico: due studenti erano positivi asintomatici, e sono stati messi in isolamento prima che contagiassero gli altri, ha spiegato Richard Carmona, ex ministro della Salute (surgeon general, come viene chiamato lì) degli Stati Uniti. «Se non li avessimo scoperti, se avessimo aspettato che diventassero sintomatici e che passassero altri giorni o settimane nel dormitorio, quante altre persone avrebbero potuto contagiare?».

I primi test antigenici sugli studenti erano risultati negativi, così come quelli sulle acque fognarie del loro dormitorio: significa che avevano contratto il virus nei primi giorni di permanenza nel campus, oppure subito prima ma non ne avevano ancora abbastanza in corpo perché fosse rilevato dai test.

Finora, l’Università dell’Arizona ha condotto circa 10mila test antigenici, trovando 46 persone positive. Secondo il presidente della facoltà Robert C. Robbins, i numeri sui contagiati nel campus saliranno inevitabilmente, come già successo in diverse università americane tra cui quella dell’Alabama, dove sono già stati scoperti oltre 1.000 studenti positivi, una decina di giorni dopo il rientro.

Quello dell’Università dell’Arizona è un progetto che fa parte di un più ampio esperimento per rilevare la presenza e la distribuzione del coronavirus nel sistema fognario di Tucson. I test sulle acque reflue, infatti, sono secondo molti esperti e ricercatori un metodo promettente per rilevare e localizzare la presenza di persone contagiate in una comunità, portando a test più precisi e a eventuali isolamenti.