Cosa sappiamo del focolaio di coronavirus a Treviso

In un centro di accoglienza per migranti 133 persone sono risultate positive al tampone, ma sono lì da tempo e non c'entrano niente con gli sbarchi degli ultimi giorni

L'entrata della ex caserma Silvio Serena tra il comune di Casier e Treviso.
L'entrata della ex caserma Silvio Serena tra il comune di Casier e Treviso.

Giovedì, il maggior numero di nuovi casi di contagio da coronavirus è stato accertato in Veneto. Alla caserma «Silvio Serena» riconvertita in centro di accoglienza per migranti e che si trova tra il comune di Casier e Treviso, 133 persone sono risultate positive al tampone. I migranti positivi, tutti asintomatici, sono stati isolati all’interno della struttura e gli altri migranti presenti e risultati negativi sono stato messi in quarantena. Tra una settimana, ha fatto sapere il dirigente dell’azienda sanitaria locale Francesco Benazzi, verrà effettuato un nuovo ciclo di tamponi. Benazzi ha comunque detto che «la situazione è sotto controllo».

Il centro di accoglienza aperto nell’ex caserma Serena è gestito da Nova Facility, la società di Treviso che gestisce anche l’hotspot di Lampedusa. Il titolare, Gian Lorenzo Marinese, ha spiegato al Corriere della Sera che due giorni fa tre migranti erano stati sottoposti al test, non è chiaro per quale motivo, e che erano risultati positivi. A quel punto sono stati fatti i tamponi a tutte le persone all’interno della caserma. I 22 operatori della struttura sono risultati tutti negativi.

Il leader della Lega Matteo Salvini – che da tempo utilizza il coronavirus come nuovo argomento per opporsi all’accoglienza di migranti in Italia – ha immediatamente ricollegato il focolaio di Treviso agli arrivi di Lampedusa degli ultimi giorni: «Immigrati mandati a Treviso, ben 129 trovati positivi al Virus! (Salvini ha citato il dato prima dell’aggiornamento finale, ndr) Se tornerà l’epidemia, sappiamo chi ne sarà colpevole», ha scritto su Twitter.
In realtà, come ha spiegato il Corriere della Sera, la situazione è diversa. Nessuna delle persone che si trova nella ex caserma Serena è arrivata o “è stata mandata” a Treviso in seguito agli sbarchi degli ultimi giorni. Nella struttura «ci sono in gran parte giovani provenienti da paesi dell’Africa subsahariana, ma anche richiedenti asilo mediorientali. Una consistente parte di loro è approdata in Italia durante i “picchi” migratori degli anni passati. Molti lavorano o hanno avviato un percorso di inserimento precedente all’emanazione dei decreti Salvini che hanno smantellato i meccanismi di accoglienza».

Giovedì, il presidente leghista del Veneto Luca Zaia, rispondendo alla domanda di una giornalista che chiedeva la disponibilità della regione ad accogliere le persone arrivate negli ultimi giorni a Lampedusa, ha detto: «Non c’è disponibilità. Non lo dico perché ne facciamo una questione di colore della pelle, di credo religioso, di scelte sentimentali, assolutamente no. Se c’è una persona che scappa dalla morte e dalla fame va aiutata, punto. Senza se e senza ma. Però vedere spesso imbarcazioni piene di cittadini che vengono da paesi dove non c’è guerriglia, non c’è nulla, ma che hanno semplicemente deciso di venire in Italia questo no, soprattutto perché si mette a rischio la sicurezza sanitaria, in materia di coronavirus, visto e considerato che molti di quei cittadini vengono da paesi in cui la sanità è ancora un’opinione».

Prima del focolaio di ieri, la caserma Silvio Serena aveva registrato due soli casi di contagio, a metà giugno: un ospite e un operatore della struttura erano risultati positivi al tampone. Questo aveva causato qualche episodio di tensione, ma la situazione era stata risolta nel giro di qualche ora.