Una canzone di Rod Stewart

Non ne parliamo nemmeno, di come mi hai spezzato il cuore

(Gareth Cattermole/Getty Images)
(Gareth Cattermole/Getty Images)

Il Guardian ha un estratto di un nuovo libro su John Martyn, che parla del suo rapporto con Nick Drake.
Il New York Times ha raccolto una lista di pezzi poco noti ma noti per essere stati usati in altre canzoni. Ammetto di avere scoperto solo oggi che i fiati di Crazy in love non li aveva inventati Beyoncé, ma i Chi-Lites (quelli di quest’altra meraviglia).
Se avete resistito vuol dire che avete un debole per gli anni Settanta, e quindi.

I don’t want to talk about it
Guardateli, nella foto. Quello a sinistra è Ron Wood, 73 anni, uno dei Rolling Stones: e che altro vuoi dire di un uomo, dopo queste quattro parole? L’altro è Rod Stewart, che ne ha 75 anni, ed è Rod Stewart. Si sono conosciuti nel 1964, e ne avevano 17 e 19. Hanno suonato insieme tutta la vita: prima in una serie di band importanti nel rock britannico “dei primordi”, poi ognuno ha trovato il suo posto ma hanno continuato a essere accanto per palchi e studi di registrazione per quasi sessant’anni. La foto è dello scorso febbraio.

Vabbè, con questa canzone Ron Wood però c’entra poco. Nel 1975 Ron Wood entrò nei Rolling Stones e la sua vita cambiò parecchio. Rod Stewart pubblicò il suo primo disco con una nuova casa discografica e per un po’ fece a meno di lui. Nel disco c’erano due pezzi che rimasero poi nel repertorio (enorme) di grandi successi di Rod Stewart: uno era Sailing, l’altro era questo.
I can tell by your eyes that you’ve probably been cryin’ forever
And the stars in the sky don’t mean nothin’ to you, they’re a mirror
I don’t want to talk about it, how you broke my heart
If I stay here just a little bit longer
If I stay here, won’t you listen to my heart, whoa, heart?

La canzone ha una storia. La scrisse – pensa un po’ – Danny Whitten dei Crazy horse, la storica band di Neil Young. Uno che suonò la chitarra in Cowgirl in the sand e cantò in Only love can break your heart, tra le altre cose. E suo malgrado ispirò The needle and the damage done, con la dipendenza dell’eroina che lo uccise nel 1972 a 29 anni. L’anno prima, per il primo disco dei Crazy Horse – affollato di campioni del mondo del rock – Whitten aveva scritto I don’t want to talk about it, ma era così malconcio che lo aveva aiutato Nils Lofgren con un paio di versi.
If I stand all alone, will the shadow hide the color of my heart
Blue for the tears, black for the night’s fears
The star in the sky don’t mean nothin’ to you, they’re a mirror

È la canzone modello di qualunque definizione della parola “ballata”. Rod Stewart la rifece nel 1975 in quel disco e divenne un successone che si prolungò per alcuni anni. Era capitato che Rod Stewart si era accorto tardi, durante i concerti, che la canzone andava forte e la mise in un singolo nel 1977 con The first cut is the deepest, dal suo disco nuovo (questa era di Cat Stevens, invece). Singolo che secondo certe leggende fu peraltro spinto con una serie di trucchi nel Regno Unito per scongiurare che al primo posto in classifica – che occupò per un mese – arrivassero i Sex Pistols con God save the Queen.

Poi ci fu un’altra versione di successo che cito per forza perché è degli Everything but the girl: loro raccontarono di averla fatta per fastidio nei confronti di chi si lamentava che trascurassero troppo rapidamente i loro successi precedenti per privilegiare nuove cose. Quindi dissero “facciamo una cover, allora”, ma divenne il loro maggior successo e furono daccapo stavolta con aspettative di canzoni semplici e sentimentali da parte di un nuovo pubblico.

La storia del testo è semplice ma imbattibile: neanche ne riesco a parlare, di come mi hai spezzato il cuore, lasciami solo restare qui ancora un po’ per farti ascoltare il mio cuore.
Non ho mai capito perché lei pianga tanto all’inizio se quello col cuore spezzato è lui. O è un’inversione di narratore?

If I stay here just a little bit longer
If I stay here, won’t you listen to my heart, oh my heart

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