Le rivolte di Reggio Calabria, cinquant’anni fa

Quando si decise che il capoluogo della Calabria sarebbe stato Catanzaro, per otto mesi ci furono proteste, attentati e scontri con la polizia, con sei morti e decine di feriti

Un comizio del Comitato d'azione con al centro Ciccio Franco (ANSA/CRI)
Un comizio del Comitato d'azione con al centro Ciccio Franco (ANSA/CRI)

In Italia le regioni nacquero ufficialmente con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948, ma i consigli regionali furono eletti per la prima volta solo nel 1970. In quell’occasione, il governo si trovò a dover decidere quale città della Calabria – come di ogni altra regione – designare come capoluogo regionale. La competizione tra Catanzaro e Reggio Calabria aveva una lunga storia, e in quegli anni la contesa per il riconoscimento del ruolo di capoluogo di regione aveva un significato soprattutto in termini di sviluppo economico e riscatto dall’arretratezza e dalla criminalità organizzata.

Quando fu scelta Catanzaro, alcuni gruppi militanti di Reggio Calabria, ritenuta da molti la città più importante della zona per via della lunga storia risalente alla Magna Grecia, non la presero bene. Per otto mesi manifestarono, organizzarono scioperi e scatenarono proteste e duri scontri con la polizia. Durante le rivolte morirono sei persone, una cinquantina rimasero ferite e migliaia furono arrestate.

Guardando alla storia, non c’era un reale motivo per cui una delle due città dovesse vincere sull’altra. Prima dell’unità d’Italia, il territorio della Calabria era diviso in due parti e anticamente si parlava infatti delle Calabrie, al plurale: la zona più a nord era chiamata Calabria Citeriore e aveva come capoluogo Cosenza, la zona più a sud era chiamata Calabria Ulteriore e comprendeva le province di Crotone, Catanzaro, Vibo Valentia e Reggio Calabria. Negli anni in Calabria Ulteriore si erano alternate tre sedi amministrative: Reggio, Catanzaro e Vibo Valentia (allora Monteleone Calabro). Nel 1817, sotto il regno di Ferdinando I, re delle due Sicilie, si decise di dividere anche la Calabria Ulteriore in due parti, amministrate rispettivamente da Reggio e Catanzaro.

La divisione del territorio tra le tre città di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria rimase fino al 1970, quando in seguito a un incontro informale tra il governo (guidato per il terzo mandato da Mariano Rumor) e alcuni rappresentanti della Democrazia Cristiana (partito di maggioranza al governo), fu annunciato che la regione avrebbe fatto capo a Catanzaro. In cambio il governo promise che Reggio Calabria sarebbe diventata la nuova “capitale industriale” della regione e che Cosenza sarebbe prosperata come centro universitario.

Il malcontento cominciò a manifestarsi nei primi giorni del mese di luglio: il 5 il sindaco democristiano di Reggio Calabria Pietro Battaglia aizzò la folla contro la decisione del governo e invitò i rappresentanti del suo partito a non prendere parte al Consiglio regionale. Inizialmente le proteste furono condivise dai cittadini in modo trasversale ai partiti politici, ma col passare delle settimane il comando del movimento passò soprattutto a esponenti di estrema destra e neofascisti, in particolare dal Movimento Sociale Italiano.

Il primo sciopero fu indetto il 13 luglio, quando a Catanzaro si sarebbe riunito per la prima volta il Consiglio regionale. Già in quell’occasione il Partito Comunista e il Partito Socialista si fecero da parte e la CGIL tolse il suo sostegno alla protesta all’ultimo momento, dicendo che non era disponibile ad appoggiare «battaglie di tipo campanilistico». Le proteste iniziarono effettivamente il giorno dopo, il 14 luglio, quando le sedi dei partiti di sinistra vennero assaltate e le stazioni di Reggio e di Villa san Giovanni furono occupate, bloccate e poi sgomberate con la forza dalla polizia, che arrestò e ferì decine di persone.

Le proteste continuarono nei giorni successivi con scontri armati violenti e attentati dinamitardi. Durante una carica della polizia morì il ferroviere della CGIL Bruno Labate, la prima delle sei persone uccise in quei mesi. Col passare delle settimane si formarono vari comitati: i più importanti erano il “Comitato unitario per Reggio capoluogo”, guidato dal sindaco Battaglia, e il “Comitato d’azione per Reggio capoluogo”, guidato tra gli altri dai rappresentanti dell’MSI Francesco (Ciccio) Franco e Fortunato Aloi. Ciccio Franco fu uno dei personaggi principali delle rivolte di Reggio, uno dei più attivi durante i comizi (“Boia chi molla!” era il suo motto) e dei più critici con la linea del sindaco giudicata troppo tenera.

Due mesi dopo l’inizio degli scontri Ciccio Franco e Alfredo Perna, un altro del Comitato d’azione, furono arrestati con l’accusa di istigazione a delinquere, innescando ulteriori proteste e assalti violenti alla questura. Franco fu poi rilasciato, rimase latitante per un periodo durante il quale fu intervistato da Oriana Fallaci e fu eletto senatore nel 1972 con il Movimento Sociale Italiano.

Ad agosto intanto si formava il nuovo governo democristiano, guidato da Emilio Colombo. Il governo Colombo si rifiutò di trattare con i manifestanti di Reggio, intensificò gli interventi militari e riuscì a ottenere un graduale disinteresse della stampa nei confronti delle proteste. Per mesi in città continuarono a susseguirsi scioperi, scontri con la polizia e attentati dinamitardi. Vennero interrotte le comunicazioni ferroviarie e distrutte le apparecchiature della stazione di Reggio Calabria Lido.

I gruppi della sinistra extra-parlamentare comunque non furono completamente estranei agli eventi di quei mesi, e alcuni colsero l’occasione delle proteste per portare avanti altre rivendicazioni contro lo sfruttamento dei padroni, la disoccupazione e la povertà. In particolare si parlò molto degli “Anarchici della Baracca”, cinque ragazzi che morirono in un incidente d’auto il 26 settembre mentre erano in viaggio verso Roma, dove avrebbero dovuto consegnare documenti relativi alle infiltrazioni neofasciste nei fatti di Reggio Calabria.

Gli Anarchici della Baracca sostenevano anche che i neofascisti fossero responsabili del deragliamento del “treno del sole” Palermo-Torino che era avvenuto il 22 luglio a Gioia Tauro e aveva provocato sei morti e cinquantaquattro feriti. Molti anni dopo, nel 1994, Carmine Dominici, un pentito della ‘ndrangheta, disse che era opinione di molti che gli Anarchici della Baracca fossero stati uccisi volontariamente, ma di non sapere chi potessero essere stati i colpevoli.

Gli scontri finirono a febbraio del 1971 con l’intervento dell’esercito, anche se le proteste del Comitato d’azione proseguirono più sporadicamente per tutto l’anno. Un punto di incontro tra i manifestanti e il governo fu trovato grazie al cosiddetto “Pacchetto Colombo”, che prevedeva una serie di investimenti industriali che avrebbero dovuto portare alla creazione di migliaia di posti di lavoro in Calabria e Sicilia, ma che portarono pochi risultati. Il pacchetto concedeva anche un’insolita divisione degli organi istituzionali della regione: il capoluogo e la giunta regionale sarebbero stati a Catanzaro e il consiglio regionale a Reggio Calabria.

Nel 1994 si svolse un’inchiesta giudiziaria sull’operato del Movimento Sociale Italiano durante i fatti di Reggio Calabria da cui emersero testimonianze che accusavano alcuni esponenti del Comitato d’azione per Reggio Capitale di aver fatto deragliare il treno di Gioia Tauro e di aver collaborato con la ‘ndrangheta. Tutti gli imputati risultarono innocenti e furono prosciolti.