Cosa succede tra Del Vecchio e Mediobanca

Per chi vuole capire lo scontro che sta agitando l'alta finanza italiana, con la partecipazione dei principali quotidiani

(ANSA / UFFICIO STAMPA MEDIOBANCA)
(ANSA / UFFICIO STAMPA MEDIOBANCA)

Questa settimana è iniziata in subbuglio per l’alta finanza italiana. L’industriale Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica e secondo uomo più ricco d’Italia, ha chiesto alle autorità finanziarie il permesso di acquistare tramite la Delfin, la sua società finanziaria con sede in Lussemburgo, il 20 per cento di Mediobanca, la principale banca d’affari italiana. I manager di Mediobanca, guidati dall’amministratore delegato Alberto Nagel, si oppongono a questa “scalata”: non vogliono che tra gli azionisti della banca ce ne sia uno così forte da essere in grado di condizionarli.

Lo scontro in corso riguarda due pesi massimi del capitalismo italiano. Da un lato c’è l’industriale Del Vecchio, 85 anni, che dopo aver fondato una delle più grandi multinazionali nella produzione di occhiali al mondo si è dedicato sempre di più alla finanza. Secondo molti, il vero obiettivo della sua operazione sarebbe aumentare il suo controllo sulla società assicurativa Generali, la più grande d’Italia, di cui del Vecchio possiede il 5 per cento e Mediobanca detiene un altro 13 per cento delle azioni.

Dall’altro lato ci sono i manager di Mediobanca e i loro alleati. Mediobanca è una banca particolare. Più che raccogliere depositi dei privati cittadini (cosa che fa soltanto la sua controllata CheBanca!) si occupa di assistere grandi imprese e altre banche nelle loro operazioni finanziarie. In passato, Mediobanca era l’unica banca in tutto il paese a svolgere questo ruolo e per questa ragione è stata a lungo il crocevia del capitalismo italiano: il luogo dove era necessario passare per ottenere finanziamenti a lungo termine e importanti alleanze industriali.

Di quell’epoca, quando Mediobanca era conosciuta come “il salotto buono” del capitalismo italiano, oggi le rimangono soltanto alcune importanti partecipazioni azionarie, come il 13 per cento delle Assicurazioni Generali a cui, si dice, stia puntando Del Vecchio. Secondo gli attuali manager, questa sua operazione finirebbe per essere una specie di ritorno al passato, quando Mediobanca era controllata da un pugno di azionisti di riferimento, e metterebbe fine all’attuale situazione virtuosa: in cui, senza un’azionista forte, i manager sono liberi di agire in autonomia.

Della possibile scalata di Del Vecchio si è parlato molto in questi giorni, soprattutto grazie alla copertura dettagliata che ne ha dato Repubblica, il primo giornale a darne notizia domenica, quando ha dedicato alla notizia la prima pagina e le due successive (anche lunedì ha dato grande rilevanza alla notizia). Negli articoli di Repubblica sono presenti diverse confidenze di persone vicine a Mediobanca, secondo cui l’operazione di Del Vecchio sarebbe «vintage» e riporterebbe la banca «indietro di un trentennio». Tra le righe, le fonti ricordano anche che Del Vecchio intende condurre l’intera operazione con la sua holding lussemburghese, il che – anche se dovesse risultare formalmente corretto – non farebbe di certo una buona impressione.

Questa attenzione particolare data a una vicenda che normalmente non uscirebbe dalle pagine di economia e finanza ha spinto molti a individuare nell’atteggiamento della stampa i riflessi dello scontro in corso tra Mediobanca e Del Vecchio. La famiglia Elkann-Agnelli, che di recente ha acquistato Repubblica, sarebbe parte della “coalizione” vicina a Mediobanca poiché la famiglia, che controlla anche FCA Italy, ha ottenuto dalla banca Intesa Sanpaolo un prestito garantito parzialmente dallo stato  superiore a 6 miliardi di euro. Intesa Sanpaolo, a sua volta, è alleata di Mediobanca in un’altra operazione: la scalata di UBI, uno dei più grandi istituti finanziari del paese.

Se questo gruppo è piuttosto identificabile e unito nello scontro, la coalizione che circonda Del Vecchio e di cui parlano i giornali appare più fumosa. Viene citata per esempio una vicinanza con Unicredit, l’altra grande banca italiana e storica rivale di Intesa Sanpaolo. Viene spesso citato anche Urbano Cairo, proprietario del Corriere della Sera e de La7. In effetti, mentre i giornalisti di Repubblica sembrano avere avuto confidenze sulla vicenda da parte di persone vicine a Mediobanca, quelli del Corriere sembrano essersi affidati soprattutto agli uomini di Del Vecchio. «Il sogno di Del Vecchio è costruire un grande polo della finanza», ha scritto oggi Fabrizio Massaro sul Corriere, oltre che «dare stabilità» e «proteggere» due importanti istituzioni finanziarie italiane come Mediobanca e Generali.

Il prossimo passo della vicenda sarà deciso dalle autorità di vigilanza bancaria: Banca d’Italia e BCE. Saranno in particolare i tecnici di quest’ultima a interrogare Del Vecchio e il suo staff sulle sue intenzioni, i suoi obiettivi e le risorse che intende davvero investire. Se la BCE darà il suo via libera, i manager di Mediobanca non avranno molto tempo per trovare una contromossa: il prossimo ottobre si voterà per il rinnovo del consiglio d’amministrazione della banca. Del Vecchio ha fatto sapere che non intende chiedere un ricambio dei manager al vertice. Ma se dovesse raggiungere il suo obiettivo di salire al 20 per cento e se dovesse cambiare idea, diventerebbe molto difficile non ascoltarlo.