La più grande ricerca europea sulle persone LGBTI

Circa 140 mila persone provenienti da 30 paesi hanno raccontato la loro esperienza sociale: sull'Italia ci sono dati tristemente interessanti

Sydney, 1 marzo 2014 (Brendon Thorne/Getty Images)
Sydney, 1 marzo 2014 (Brendon Thorne/Getty Images)

L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali ha pubblicato i risultati della European LGBTI Survey 2020, ricerca realizzata nel 2019 a cui ha partecipato un campione di circa 140 mila persone LGBTI – lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali – provenienti da 30 diversi paesi. Rispetto alla prima ricerca, del 2012, hanno partecipato molte più persone, sono stati inseriti due nuovi paesi e sono state incluse le persone intersex e le persone LGBTI tra i 15 e i 17 anni.

Perché è importante
L’indagine, spiega il ricercatore in scienze politiche all’Università di Verona Massimo Prearo, è importante soprattutto per un motivo: perché «si basa sull’autopercezione e sull’autodefinizione del proprio vissuto. Tutte le domande sono state cioè formulate nel senso della percezione che le persone hanno di sé e dell’esperienza sociale che fanno». Inoltre, prosegue Prearo, «è uno studio ampio su tanti paesi, mentre in Europa ricerche con questo approccio erano state condotte su campioni più ridotti, a livello nazionale, e comunque non necessariamente con questa attenzione alla dimensione del vissuto e dell’esperienza sociale della discriminazione e della violenza. Si concentravano più sulla costruzione di profili socio-demografici: il lavoro, l’appartenenza religiosa e così via».

Proprio per questo, spiega Prearo, questa ricerca è stata molto contestata dai cosiddetti “movimenti antigender”: la contestano perché è l’unica che dà la parola alle persone LGBTI. «La critica dei movimenti antigender è che non ci si possa fidare del punto di vista delle persone LGBTI, che non valga niente, che non si tratti, insomma, di un dato oggettivo. Puntano il dito sempre sullo stesso argomento: gli studi di genere non sono scientifici, ma ideologici e questo rimanda naturalmente a come concepiscono l’idea di omofobia e transfobia: come un’idea inventata per promuovere i diritti LGBTI».

L’Italia
Tra i dati raccolti ce ne sono due particolarmente significativi per quanto riguarda l’Italia: il grado di coming out delle persone LGBTI e quanto pensano che il governo del paese in cui vivono porti avanti una lotta efficace ed effettiva contro l’intolleranza e il pregiudizio nei confronti delle persone LGBTI.

La scheda sulla situazione dell’Italia è introdotta e riassunta dal racconto di una giovane donna bisessuale: «Poche persone sono consapevoli della mia sessualità, soprattutto i miei amici più cari. Non ho voglia di parlarne apertamente a causa dei vari commenti che sento nella vita di tutti i giorni, all’università o in alcuni luoghi pubblici. Penso che la situazione sia migliorata molto in Italia e che la maggior parte della società ci sostenga, ma purtroppo c’è ancora molta ignoranza e la politica per prima non ci aiuta».

In Italia il 62 per cento delle persone LGBTI dice di non dichiarare apertamente mai o quasi mai il proprio orientamento sessuale (la media dei paesi UE è pari al 61 per cento, ma la ricerca precisa come sia importante sottolineare che le medie nascondono enormi differenze tra paesi); il 23 per cento dichiara di farlo abbastanza e solo il 15 per cento di farlo sempre. Questo significa che, in Italia, più di una persona LGBTI su due non fa mai o quasi mai coming out.

«In Italia», dice Prearo, «malgrado negli ultimi anni ci siano stati degli sviluppi positivi in termini di legge, c’è un clima sociale che contribuisce a far sentire le persone non al sicuro se fanno coming out: tendono a non svelare la loro identità e quindi, di fatto, a condurre una doppia vita. Ed è drammatico: a cinquant’anni dagli anni Settanta e dalla rivoluzione sessuale, quando si è un po’ scardinato il sistema oppressivo della sessualità, siamo ancora al punto che le persone si debbano nascondere».

Il 38 per cento delle persone LGBTI intervistate in Italia dichiara poi di evitare di tenere per mano il o la partner dello stesso genere in pubblico, per paura di molestie o aggressioni. Il 37 per cento afferma che il pregiudizio e l’intolleranza sono diminuite negli ultimi cinque anni, mentre il 41 per cento dichiara che sono aumentate.

In Italia, e il dato è molto significativo, circa il 92 per cento delle persone LGBTI considera che il proprio paese non si impegni per nulla o quasi per nulla «in una lotta efficace ed effettiva contro l’intolleranza e il pregiudizio» nei confronti delle persone LGBTI. Solo l’8 per cento circa (a fronte di una media europea pari al 33 per cento) ritiene che il proprio governo combatta efficacemente pregiudizi e intolleranza.

«Nove persone LGBTI su dieci in Italia non si sentono pienamente cittadine e cittadini. Quasi tutte pensano che non si faccia niente per favorire un ambiente meno ostile e meno violento e questo vuol dire che lo stato si dimentica di una fetta di popolazione. Il dato va di pari passo con quello del coming out: non lo faccio perché ho paura di quello che potrà succedere» commenta Prearo.

Dalla ricerca risulta infine che in Italia il 30 per cento delle persone LGBTI eviti spesso o sempre determinati luoghi per paura di aggressioni (la media UE è pari al 33 per cento). Per quanto riguarda le discriminazioni: il 23 per cento si è sentito o sentita discriminata al lavoro nell’anno precedente all’indagine (la media UE è del 21 per cento). Il 32 per cento, in Italia, afferma di essere stato molestato o molestata l’anno prima dell’indagine (la media UE è del 38 per cento) e l’8 per cento dice di aver subito aggressioni nei 5 anni precedenti all’indagine (la media UE è dell’11 per cento). Solo il 16 per cento si è rivolto alla polizia per denunciare (la media è bassa ovunque: 14 per cento in tutta l’UE).

Tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni, il 41 per cento dichiara di nascondere il proprio orientamento a scuola, mentre nel 2012 la percentuale era pari al 47 per cento. Il 28 per cento degli studenti LGBTI tra i 15 e i 17 anni afferma di essersi nascosto a scuola e il 33 per cento degli adolescenti dice inoltre che la scuola, a un certo punto, ha affrontato le questioni LGBTI in modo positivo o equilibrato (in media con il resto dell’UE).

In generale
Rispetto al 2012 ci sono stati pochi progressi, dice la ricerca. In alcune aree, la situazione è anche peggiorata. Se sempre più persone che lo sono dichiarano di essere LGBTI (52 per cento rispetto al 36 per cento del 2012), il 61 per cento evita spesso o sempre di tenere per mano in pubblico il o la propria partner dello stesso sesso. Lo spazio pubblico non viene insomma percepito come uno spazio sicuro o di libertà.

Nel 2019 il 43 per cento delle persone intervistate sopra i 18 anni si è sentito discriminato nella propria vita quotidiana nell’anno precedente all’indagine: nel 2012, la percentuale era del 37 per cento. La situazione più preoccupante è quella delle persone trans: il 60 per cento si è sentito discriminato nel 2019 rispetto al 43 per cento del 2012.

Anche la discriminazione sul lavoro rimane elevata, pari al 21 per cento (la media sale al 36 per cento per le persone trans, rispetto al 22 per cento del 2012). Nel 2019, il 58 per cento degli intervistati e delle intervistate ha dichiarato di aver subito molestie durante i cinque anni precedenti all’indagine, mentre nel 2012 si parlava del 45 per cento. I dati delle segnalazioni e delle denunce rimangono bassi. Solo il 14 per cento è andato alla polizia rispetto al 17 per cento del 2012.

Circa il 40 per cento afferma che il pregiudizio e l’intolleranza sono diminuite nel loro paese, mentre il 36 per cento dice che sono aumentate. Ma su questo dato ci sono differenze significative tra i paesi. In Irlanda, a Malta e in Finlandia, oltre il 70 per cento afferma che l’intolleranza è diminuita. In Polonia e in Francia, il 68 e il 54 per cento affermano che è aumentata.

Solo una persona su tre ritiene che il proprio governo nazionale combatta efficacemente i pregiudizi e l’intolleranza contro le persone LGBTI: a Malta l’83 per cento crede che il governo lo faccia, in Polonia la percentuale scende al 4.

Le donne lesbiche hanno maggiori probabilità di dichiararsi, anche a scuola. Tuttavia, continuano a subire discriminazioni significative. Oltre la metà di loro ha ancora paura di tenersi per mano con la propria partner per paura di essere aggredita. Oltre il 41 per cento afferma di essere stata molestata nell’ultimo anno, ma rispetto agli uomini gay o alle persone bisessuali, le donne lesbiche hanno meno probabilità di denunciare a qualsiasi tipo di autorità. Hanno anche meno fiducia nel loro governo, rispetto agli uomini gay, quando si tratta di combattere efficacemente i pregiudizi e l’intolleranza contro le persone LGBTI.

Gli uomini e le donne bisessuali hanno meno probabilità di subire discriminazioni sul lavoro o quando un lavoro lo cercano. Tuttavia, continuano a subire discriminazioni significative nella loro vita quotidiana. Oltre la metà delle persone trans è stata discriminata nell’ultimo anno, rispetto al 39 per cento delle donne lesbiche e al 32 per cento degli uomini gay. Gli adolescenti trans subiscono molta più discriminazione rispetto alle loro coetanee lesbiche, ai loro coetanei gay o alle persone bisessuali della loro età.

A subire più discriminazioni rispetto a qualsiasi altro gruppo LGBTI sono le persone intersex. Molte hanno evidenziato poi l’assenza di consenso informato per le procedure mediche che hanno dovuto attraversare. Il 62 per cento afferma di non aver fornito un consenso pienamente informato prima del primo trattamento chirurgico per modificare le caratteristiche sessuali.

In generale, i risultati mostrano che la discriminazione è maggiore nei paesi in cui l’uguaglianza LGBTI viene messa in discussione pubblicamente. Le persone LGBTI pensano anche che «i cambiamenti positivi nella legge e nella politica» e che «il sostegno da parte di personaggi pubblici e della società civile» riducano le discriminazioni. Quando i personaggi pubblici o i politici o i partiti hanno invece una posizione discriminatoria che invade il discorso pubblico, o quando non vengono applicate le leggi esistenti, le discriminazioni aumentano.