L’utilità dei finanziamenti europei alla ricerca

Sul Corriere della Sera c'è una risposta all'articolo – già molto criticato – di Walter Lapini contro i fondi dell'UE ai progetti di ricerca

Università Statale di Milano (ANSA / MATTEO BAZZI)
Università Statale di Milano (ANSA / MATTEO BAZZI)

Sul Corriere della Sera di oggi, Gianmario Verona e Francesco Billari, rispettivamente rettore e professore di Demografia dell’Università Bocconi di Milano, hanno risposto all’articolo pubblicato sempre sul Corriere qualche giorno fa da Walter Lapini, professore di Letteratura greca dell’Università di Genova, che aveva preso posizione (con toni e argomenti già molto criticati) contro i finanziamenti europei alla ricerca.

«La ricerca italiana da anni soffre di un brutto male: l’inadeguatezza del finanziamento rispetto alla qualità dei ricercatori e al prestigio internazionale del nostro Paese. L’onorevole Lorenzo Fioramonti, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, si è appena dimesso per non essere riuscito a convincere il suo governo a stanziare fondi aggiuntivi per la scuola e per l’università. Nella prima intervista da neo ministro dell’Università e della Ricerca, il professor Gaetano Manfredi, tecnico esperto e presidente della Conferenza dei Rettori delle università italiane, conferma la necessità di garantire più fondi alla ricerca. I fondi scarseggiano perché la ricerca, essenziale per lo sviluppo economico e sociale nel medio e lungo termine, non è una priorità nel dibattito politico, sempre più miope sia in propaganda elettorale sia nei fatti che ne seguono.

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In questo scenario sconfortante, la tanto criticata Unione Europea ha per fortuna immaginato da alcuni anni un sistema di finanziamento alla ricerca aggiuntivo rispetto a quello previsto dai singoli Paesi. Lo ho fatto guardando agli esempi di Regno Unito e Stati Uniti, punti di riferimento nell’innovazione accademica e nella ricerca scientifica dal secondo dopoguerra, come mostrato tra l’altro dal numero di premi Nobel vinti nell’ultimo secolo. Ispirandosi anche nel nome ai «Research Councils» britannici, l’Ue nel 2007 ha fondato l’European Research Council (Erc). Da allora, quasi diecimila progetti sono stati finanziati nei Paesi Ue e in altre nazioni associate (34 in totale), con un finanziamento in crescita che ha superato i 2 miliardi di euro per il 2019, e con 7 premi Nobel assegnati a vincitori di progetti. L’Erc finanzia, attraverso una rigorosa valutazione esclusivamente di tipo scientifico, secondo i migliori approcci internazionali, progetti che coprono tutte le aree della ricerca. Sono finanziati progetti nelle scienze «dure» (tra cui Fisica, Chimica, Matematica, Informatica, Ingegneria), nelle scienze della vita (tra cui Biologia, Medicina), nelle scienze sociali e discipline umanistiche (tra cui Economia, Giurisprudenza, Storia, Letteratura e Filosofia).

Anziché felicitarsi di questa iniziativa, che fornisce un potenziale «tesoretto»ai ricercatori italiani meritevoli e sottofinanziati a livello nazionale, c’è chi, come il professor Lapini sul Corriere dello scorso 5 gennaio, attacca i fondi Erc».

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