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  • Martedì 24 dicembre 2019

L’Indonesia contro gay e lesbiche

Il più grande paese a maggioranza islamica – una volta considerato il più tollerante – sta introducendo leggi sempre più repressive e discriminatorie

Una coppia gay viene portata alla moschea di Syuhada, a Banda Aceh, per essere fustigata, il 23 maggio 2017 (Ulet Ifansasti/Getty Images)
Una coppia gay viene portata alla moschea di Syuhada, a Banda Aceh, per essere fustigata, il 23 maggio 2017 (Ulet Ifansasti/Getty Images)

Fino a non molto tempo fa, l’Indonesia era considerato uno dei paesi più tolleranti tra quelli a maggioranza musulmana. Da qualche anno però le cose sono cambiate e ora si susseguono sempre più spesso politiche repressive e controverse, influenzate da una visione dell’Islam rigida e conservatrice. Tra le misure più discusse, c’è stata l’introduzione di un test sull’orientamento sessuale reso obbligatorio per i professori stranieri di alcune scuole private indonesiane, ha raccontato il New York Times: come ha detto un funzionario governativo, gli insegnanti che risultano avere «un’indicazione di comportamenti o orientamenti sessuali anomali» vengono esclusi dalle assunzioni.

L’Indonesia è un paese ufficialmente laico, anche se ospita la popolazione musulmana più numerosa al mondo; l’omosessualità è illegale solo nella provincia autonoma di Aceh, dove vige una versione rigida della sharia, la legge islamica. Negli ultimi anni però la società indonesiana si è progressivamente “islamizzata”, e tra le altre cose si è visto un aumento dell’ostilità verso le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender.

A settembre il Parlamento indonesiano è arrivato molto vicino ad approvare una legge che criminalizzava le relazioni tra persone omosessuali, e ci si aspetta che una misura simile verrà discussa e votata di nuovo durante il prossimo anno. Il New York Times ha raccontato che nella reggenza di Bekasi, provincia dell’isola di Giava, l’Agenzia per la protezione dei bambini ha detto di avere usato alcuni dati in possesso della polizia per identificare circa 4mila persone che soffrono della “malattia” di essere lesbiche, gay, bisessuali o transgender. Il capo dell’agenzia, Mohamad Rojak, ha sostenuto che «la maggior parte dei disordini sessuali» sia causata da «stili di vita spensierati» e ha invitato le persone incluse nella lista a sottoporsi a «terapia».

Uno degli elementi che hanno portato l’Indonesia ad assumere posizioni sempre più intransigenti su molti temi, tra cui i diritti di persone omosessuali, bisessuali e transgender, è stato la nomina di Ma’ruf Amin a vicepresidente del paese. Amin, religioso e presidente del Consiglio degli ulema indonesiani, era stato scelto dal presidente Joko Widodo durante l’ultima campagna elettorale presidenziale nel tentativo di attirare su di sé alcuni dei voti delle correnti più religiose e conservatrici dell’Indonesia.

Il cambio di atteggiamento si è visto negli ultimi anni in diverse circostanze. Di recente, per esempio, l’ufficio del procuratore generale dell’Indonesia, responsabile di garantire il rispetto delle leggi contro la discriminazione, ha pubblicato sul suo sito un annuncio di lavoro nel quale era richiesto il fatto di non avere «disordini nell’orientamento sessuale» o «deviazioni comportamentali». Un portavoce dell’ufficio ha detto: «Vogliamo solo [una persona] che sia normale. Non vogliamo gente strana».

I test per gli insegnanti stranieri, di cui il New York Times ha ottenuto una copia solo di recente, sono stati introdotti dopo un caso molto discusso del 2014, che ha portato alla condanna di un insegnante canadese e sei indonesiani che lavoravano alla prestigiosa International School di Giacarta e che sono stati accusati di abusare sessualmente di giovani studenti della scuola. Secondo il tribunale che li ha condannati, il cittadino canadese, Neil Bantleman, aveva usato poteri magici per sedurre gli allievi e per rendere invisibili le prove che lo avrebbero potuto incastrare.

I test introdotti non sono standard per tutte le scuole, e le domande da fare agli insegnanti stranieri sono lasciate alla discrezione dei singoli istituti. Lo scorso mese si è tenuto per esempio un test alla Mentari Intercultural School di Giacarta, in cui tra le altre cose il candidato doveva dire se era d’accordo o meno riguardo a diverse affermazioni, tra cui: «Un curriculum sull’educazione sessuale dovrebbe includere tutti gli orientamenti sessuali»; «Feste come il gay pride sono ridicole perché presuppongono che un orientamento sessuale individuale venga considerato fonte di orgoglio»; «Gli insegnanti dovrebbero cercare di ridurre i pregiudizi dei loro studenti nei confronti dell’omosessualità»; «Non voglio morire senza avere avuto esperienze sessuali sia con gli uomini che con le donne».

La questione, ha detto Ifa Misbach, psicologa che lavora nella città indonesiana di Bandung, è che in Indonesia si continua a vedere l’omosessualità come una scelta e non come una condizione naturale, e in particolare come una scelta che va condannata. Considerando le ultime politiche adottate dal governo, è inoltre possibile che le misure contro le persone LGBT diventino in futuro ancora più dure e repressive, come vorrebbe la parte più conservatrice della società indonesiana.