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  • Giovedì 5 dicembre 2019

L’aceto balsamico, spiegato

Per capire il senso della sentenza europea arrivata ieri, che ha dato torto all'Italia e a Modena

Una delle acetaie per la produzione e l'invecchiamento dell'aceto balsamico di Modena del gruppo agroalimentare Ferrarini di Reggio Emilia, 22 aprile 2015 (ANSA/ELISABETTA BARACCHI)
Una delle acetaie per la produzione e l'invecchiamento dell'aceto balsamico di Modena del gruppo agroalimentare Ferrarini di Reggio Emilia, 22 aprile 2015 (ANSA/ELISABETTA BARACCHI)

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha deciso ieri che la protezione della denominazione “Aceto Balsamico di Modena” non vale per i termini non geografici “aceto” e “balsamico” – che sono da considerare generici e dunque riproducibili – ma solo per la denominazione “Aceto Balsamico di Modena” nel suo complesso. Questo significa che anche un’azienda che non produce aceto balsamico a Modena, e che produce genericamente un aceto che si caratterizza per un gusto agrodolce, può vendere quel prodotto chiamandolo “aceto balsamico”.

L’aceto si ottiene grazie all’azione di alcuni batteri che, a contatto con l’aria e l’acqua, ossidano l’etanolo contenuto nelle bevande alcoliche fermentate, oppure quello presente in alcune materie prime. Esiste l’aceto di riso, di cocco, di canna, di mele, di pere, l’aceto di malto, di birra e di vino e, infine, l’aceto balsamico, che ha un sapore particolare e nella cui categoria possono rientrare condimenti senza limiti nell’uso delle materie prime (esistono aceti balsamici di mele o altro, per esempio), ottenuti attraverso processi di produzione molto vari.

L’aceto balsamico di mosto d’uva – il liquido, denso e torbido, che si ottiene pigiando l’uva e da cui si ricava anche il vino – fu inventato nelle province di Modena e Reggio Emilia che, nel Tredicesimo secolo, corrispondevano alle terre del Ducato degli Estensi. Fu presso la loro corte che, a metà del Diciottesimo secolo, comparve per la prima volta l’aggettivo “balsamico” accanto alla parola aceto, probabilmente per le presunte proprietà curative del prodotto. A livello normativo, l’aceto prodotto in quelle zone e con quelle tecniche venne riconosciuto nel 1933 dall’allora ministro dell’Agricoltura Giacomo Acerbo. Dopodiché, attraverso altri passaggi legislativi, si arrivò al riconoscimento europeo: nel 2000, la Comunità Europea inserì la denominazione nel registro delle DOP, le denominazioni di origine protetta, e nel 2009 in quello delle produzioni IGP, le indicazioni geografiche protette.

Dunque oggi ci sono due tipologie di aceto balsamico certificato, il DOP e l’IGP. Entrambi devono avere e rispettare precise regole su materie prime, tecniche di produzione, invecchiamento e altre caratteristiche. Si distinguono per un aggettivo: l’aceto balsamico DOP è l’aceto balsamico tradizionale, nelle due varianti della denominazione di origine protetta, tradizionale di Modena o tradizionale di Reggio Emilia. L’aceto balsamico di Modena IGP invece non ha l’aggettivo “tradizionale” del nome. Quest’ultimo è il prodotto più diffuso ed economicamente più accessibile, quello che si trova nei supermercati e a cui probabilmente pensate, se non siete di Modena, quando qualcuno vi dice «aceto balsamico».

L’aceto tradizionale di Modena o di Reggio Emilia si ottiene con un processo artigianale a partire dal mosto cotto di uve coltivate nei vitigni delle province di Modena o Reggio Emilia, come Lambrusco o Trebbiano. Viene invecchiato all’interno di botti di legno conservate nelle acetaie, tradizionalmente ospitate nei sottotetti delle case: perché l’aceto venga bene infatti le botti devono essere esposte sia al freddo invernale che al caldo estivo. Il tipo di legno, pregiato, con cui vengono prodotte le botti, dà all’aceto aromi diversi. Il periodo di invecchiamento minimo è di 12 anni durante i quali, ogni anno, il prodotto viene travasato in botti sempre più piccole e si concentra e addensa in modo naturale. Le botti sono organizzate in batterie di dimensioni via via minori, ed è solo dall’ultima botte, quella più piccola, che si preleva l’aceto.

Il prodotto finale (che deve rispettare certi standard e che viene imbottigliato all’interno di bottigliette di vetro brevettate da 100 millilitri) è un aceto dal colore scuro, denso come uno sciroppo, e dal sapore agrodolce e ben strutturato. Alcune famiglie emiliane hanno un’acetaia familiare, dove producono aceto per il proprio uso privato. Altre hanno trasformato l’acetaia di famiglia in una più o meno piccola fonte di introiti vendendo parte del proprio aceto. Alcune boccette da 100 ml possono arrivare a costare 350 euro se l’aceto è molto invecchiato – almeno 25 anni – ed è stato ottenuto in botti centenarie.

L’aceto balsamico di Modena IGP non tradizionale è prodotto su scala industriale, è molto più diffuso rispetto al primo e, essendo molto più semplice da produrre, decisamente meno costoso. Il mosto cotto o concentrato deve provenire da soli sette vitigni: Lambrusco, Trebbiano, Sangiovese, Albana, Ancellotta, Fortana, Montuni. Il mosto, presente in una quantità minima pari al 20 per cento, è l’ingrediente principale, ma vengono aggiunti aceto di vino, nella misura minima del 10 per cento, una parte di aceto vecchio di almeno 10 anni e in alcuni casi il 2 per cento di caramello. L’invecchiamento avviene all’interno di barili o botti di legno della stessa dimensione e senza travasi, e deve durare almeno 60 giorni. Quando l’invecchiamento supera i tre anni, è possibile scrivere sull’etichetta che il prodotto è “invecchiato”.