Il governo si è arreso su Alitalia

Ha ammesso che non ci sono compratori, e ora bisognerà trovare nuove soluzioni: lasciarla fallire o un nuovo intervento pubblico

(ANSA)
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«Al momento una soluzione di mercato non c’è». Con queste parole, pronunciate in audizione alla commissione Industria del Senato, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha annunciato quello che agli addetti ai lavori era chiaro oramai da settimane: i tentativi di privatizzare Alitalia sono falliti, i possibili compratori della compagnia aerea in crisi si sono ritirati e ora il governo ha di fronte a sé soltanto scelte difficili e impopolari.

Alitalia, in crisi da molti anni, perde ormai più di un milione di euro al giorno. Dal maggio del 2017 si trova in amministrazione straordinaria, quando i precedenti proprietari, la compagnia degli Emirati Arabi Uniti Etihad e la cordata di imprenditori italiani CAI, hanno ammesso la crisi della società. Oggi Alitalia sopravvive grazie a due prestiti arrivati dal governo italiano: uno da 900 milioni di euro, concesso nel 2017, e uno da 400 milioni, concesso poche settimane fa.

Negli ultimi due anni i vari governi che si sono succeduti hanno cercato in ogni modo di trovare compratori per la società, senza riuscirci. Nessuna grande compagnia aerea vuole acquistare Alitalia alle attuali condizioni, carica di debiti e con più di 11 mila dipendenti. I compratori preferiscono aspettare che la crisi giunga al culmine e acquistare poi soltanto le parti “pregiate” della compagnia, per esempio i suoi “slot”, cioè le rotte aeree che Alitalia ha diritto di occupare.

L’ultimo tentativo di trovare dei compratori sembrava essere arrivato a un passo dalla conclusione, e prevedeva un’alleanza tra Ferrovie delle Stato e Atlantia, la holding autostradale della famiglia Benetton. I partner minori dell’affare avrebbero dovuto essere il ministero dello Sviluppo Economico e la compagnia statunitense Delta Airlines. Il consorzio però si è sfaldato nelle ultime settimane, a causa del venir meno di entrambi i partner privati dell’operazione. Atlantia, in particolare, sembra avere deciso definitivamente di non partecipare all’affare a causa dell’assenza da parte del governo di garanzie sul fatto che le sue concessioni autostradali non saranno ritirate in seguito alla vicenda del Ponte Morandi (una richiesta che aveva esplicitato nella sua lettera di intenti dello scorso ottobre).

Per alcuni giorni il governo aveva sperato nella possibilità di trovare nuovi investitori privati. La scadenza per presentare offerte di acquisto era stata prorogata fino al 21 novembre e nelle ultime ore si era sperato nell’arrivo di qualche sorpresa. Oggi però il governo ha dovuto prendere atto che per il momento non c’è un compratore. Come ha detto oggi il viceministro dello Sviluppo economico Stefano Buffagni, «è arrivato il momento di prendere decisioni difficili». Le strade sono sostanzialmente due. La prima è lasciare che le cose facciano il loro corso e quindi aspettare che Alitalia fallisca. Significa lasciare senza un lavoro oltre 10 mila persone nel giro di poche settimane, ma rappresenterebbe anche, con ogni probabilità, la fine dell’intera vicenda. Non sembra però un’alternativa politicamente praticabile.

L’altra possibilità è che il governo decida di intervenire nuovamente nella società (come aveva già fatto con il prestito ponte nel 2017, nel 2006 e in altre occasioni ancora precedenti). L’intervento potrebbe assumere varie forme: un nuovo prestito ponte per prolungare la vita della compagnia nell’attesa che si presenti un nuovo compratore, oppure la creazione di una “bad company” in modo da separare la parte con i debiti dalla parte sana della società e rendere quest’ultima più appetibile per gli eventuali acquirenti. In ogni caso, questo intervento sarà un impegno che costerà come minimo svariate centinaia di milioni di euro alle casse dello Stato (secondo alcune stime, nella sua intera storia Alitalia è già costata circa 9 miliardi di euro ai vari governi che si sono succeduti negli anni).