Tassare la plastica serve?

Guardandoci intorno, sembra che la risposta sia sì: lo fanno già molti paesi europei, progressisti e conservatori, e la Commissione sta provando a tassarla a livello europeo

di Davide Maria De Luca

(AP Photo/Gregorio Borgia)
(AP Photo/Gregorio Borgia)

Nella legge di bilancio che il Senato ha appena iniziato a esaminare, il governo ha incluso una nuova tassa sulla plastica monouso che avrebbe il doppio scopo di raccogliere denaro e allo stesso tempo rendere meno conveniente la produzione e il consumo di uno dei principali prodotti inquinanti. Per come è stata stabilita dal governo – ma bisognerà vedere se e come il parlamento deciderà di modificarla – la tassa colpirà i produttori di imballaggi e altri oggetti di plastica monouso (dalle posate alle bottiglie) e ammonterà a un euro di imposta per ogni chilogrammo di plastica prodotta.

Imposte simili sono in vigore in molti paesi e presto saranno estese a tutta l’Unione Europea: d’altra parte negli anni sono emersi studi che mostrano la loro efficacia (in particolare sembrano efficaci le tasse che colpiscono le buste di plastica). Come è già accaduto all’estero, però, anche in Italia l’introduzione dell’imposta ha suscitato reazioni molto contrastanti. La tassa piace alle associazioni ambientaliste come Greenpeace che chiedono anzi misure ancora più incisive, mentre Legambiente l’ha definita “sacrosanta”, pur chiedendo qualche modifica; viene difesa dal Partito Democratico e soprattutto dal Movimento 5 Stelle, ma non mancano i dubbiosi. Nel PD, in particolare, è molto diffuso il timore che la tassa possa avere conseguenze elettorali controproducenti: il prossimo gennaio si voterà in Emilia-Romagna, la regione dove si concentrano le imprese del settore degli imballaggi.

La proposta, infatti, ha suscitato le forti proteste delle numerose e ben organizzate associazioni dei produttori di plastica e degli utilizzatori di imballaggi e contenitori monouso. L’Italia, infatti, non solo è uno dei principali produttori europei di plastica da imballaggio e uno dei principali produttori di macchinari da imballaggi, ma è anche uno dei paesi al mondo dove è maggiore il consumo di acqua minerale in bottiglia, venduta soprattutto in bottiglie di plastica che saranno sottoposte alla nuova imposta.

In tutto il settore degli imballaggi di plastica e degli altri prodotti monouso impiega in Italia circa 110 mila persone, con un fatturato di circa 15 miliardi di euro in crescita di circa l’1 per cento annuo (il settore dell’imballaggio vale in tutto 30 miliardi, tenendo conto anche degli imballaggi non plastici). I produttori lamentano in particolare che la tassa colpirà anche materiali perfettamente riciclabili – purtroppo però solo una parte del materiale effettivamente riciclabile viene riciclato: in Italia circa il 40 per cento – e hanno già minacciato di rovesciare il costo della tassa sui consumatori. In ogni caso, il ministero specifica che l’imposta sarà applicata a tutti i prodotti venduti in Italia (dovranno quindi pagarla anche i produttori esteri), mentre non si applicherà sui prodotti destinati all’esportazione.

Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha risposto alle numerose critiche dicendo di essere disposto a discutere con i produttori, ma che la riduzione nell’uso della plastica rimane un obiettivo del governo. «Non possiamo prima applaudire i giovani in piazza per l’ambiente e poi non agire. Una misura che disincentiva la plastica monouso è giusta», ha detto Gualtieri. I difensori della tassa ricordano anche che la legge di bilancio è stata scritta in fretta, da un governo costantemente sotto pressione; ora il parlamento, con i suggerimenti del governo, ha quasi due mesi per modificarla e migliorarla, se si vuole correggere qualcosa anche relativamente a quest’imposta.

Il governo italiano non è il primo a pensare di tassare i prodotti monouso e la plastica da imballaggio, sulla spinta di una crescente sensibilità ambientale da parte dell’opinione pubblica e delle molte evidenze che mostrano le conseguenze gravissime del consumo di plastica. Ogni anno l’Europa consuma mezzo miliardo di tonnellate di plastica e il 60 per cento dei rifiuti plastici è costituito proprio da packaging. Anche se la cifra si è ridotta molto grazie a decenni di campagne degli ambientalisti, i nostri mari a causa della loro peculiare struttura geografica finiscono inquinati da questi rifiuti tanto quanto le aree più plastificate dei grandi Oceani. L’Italia, in particolare, è rimasta molto indietro e produce e consuma ancora una quantità molto rilevante di plastica.

Le tasse sono uno degli strumenti più utilizzati per scoraggiare la produzione e il consumo di sostanze ambientalmente dannose. «Imposte e tariffe possono essere usate come un segnale di mercato per ridurre l’uso di certi prodotti», ha scritto l’OCSE in un suo recente rapporto: «Le tasse sulla plastica, certi tipi di plastica o certi usi della plastica possono aiutare a ridurre l’insostenibile consumo di materiali plastici più in generale». Tra i principali esempi di tasse anti-plastica di successo, l’OCSE cita l’imposta sulle buste di plastica irlandesi: se nel 2001 le buste di plastica costituivano il 5 per cento dell’immondizia prodotta nel paese, nel 2015 ammontavano solo allo 0,13 per cento. Simili risultati sono stati ottenuti nel Regno Unito, dove il consumo di buste di plastica è stato ridotto dell’83 per cento.

Le tasse sulla plastica sono stati introdotte negli anni in quasi tutta l’Europa. Un’imposta specifica sugli imballaggi di plastica, per esempio, esiste in Belgio, Croazia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Norvegia, Polonia e Paesi Bassi. Il Belgio ha anche una tassa particolare per bicchieri, piatti e posate di plastica: più di tre euro al chilogrammo. La Germania ha una tassa sulla produzione di imballaggi di plastica, 1,4 euro per ogni chilo di plastica non riciclata utilizzata. Una tassa simile esiste in Danimarca, dove ogni chilogrammo di plastica del tipo più comune costa al produttore circa 1,60 euro in tasse. Infine quasi tutti i paesi europei, Italia compresa, hanno già un’imposta che i produttori devono pagare in vista dello smaltimento dei loro prodotti (in genere è relativamente bassa: in Italia è 150 euro a tonnellata, cioè circa 0,15 centesimi al chilogrammo).

La tendenza internazionale oggi spinge verso un’ulteriore tassazione del settore, allo scopo di arrivare a una progressiva de-plastificazione dell’economia, almeno per quanto riguarda i prodotti monouso e non biodegradabili. In Francia, per esempio, il governo ha in programma l’eliminazione di tutti gli imballaggi non riciclabili entro i prossimi cinque anni. Tra le misure preparate dal governo, la più dura prevede che i produttori di contenitori di plastica e imballaggi non riciclati ne aumentino il prezzo del 10 per cento rispetto ai prodotti in contenitori prodotti con plastica riciclata. Il governo francese, inoltre, ha anticipato al 2020 la decisione europea di bloccare entro il 2021 la vendita di bicchieri e piatti di plastica non riciclata. Anche il governo conservatore del Regno Unito ha deciso di introdurre una tassa sui prodotti di plastica non riciclata a partire dal 2022 (l’importo però non è ancora stato deciso).

Presto, inoltre, una nuova imposta sulla plastica potrebbe essere estesa in tutta Europa. La presidenza di turno dell’Unione Europea, che in questo semestre appartiene alla Finlandia, sostiene che tassare la plastica sia l’unica soluzione che ha trovato un consenso trasversale quando si è parlato di come trovare una nuova imposta con cui ripianare i buchi nel bilancio europeo, lasciati dalla probabile prossima uscita del Regno Unito. La tassa, di cui il consiglio dell’Unione Europea ha iniziato a discutere e che potrebbe entrare in vigore già nel 2021, è simile a quella italiana ma riguarderà solo gli imballaggi (e non quindi anche gli altri prodotti monouso) e ammonterà a 0,80 centesimi per ogni chilogrammo prodotto. L’obiettivo è raccogliere 6,6 miliardi di euro l’anno.

L’imposta italiana è ricalcata sull’imposta europea e in qualche maniera l’anticipa, come il governo aveva annunciato di fare nel suo piano ambientalista. Nella relazione tecnica che accompagna la legge di bilancio, il governo ha scritto che si aspetta un gettito di poco meno di 2 miliardi l’anno per i prossimi tre anni. Un gettito così consistente ha spinto molti ad attaccare il governo, accusandolo di voler utilizzare la tassa al solo scopo di fare cassa: se il gettito rimane costante, sostengono infatti, significa che lo stesso governo ritiene che la produzione di plastica non calerà.

I difensori dell’imposta rispondono che sia invece un efficace riequilibrio fiscale: al posto di aumentare l’IVA in maniera generalizzata, il governo ha alzato solo le tasse su un prodotto dannoso, al contempo abbassando quelle sul lavoro per i redditi più bassi. Nel medio periodo, poi, la tassa finirà inevitabilmente per scoraggiare la produzione di imballaggi plastici e spingerà a utilizzare materiali alternativi e biodegradabili, facendo un favore a tutti, favorevoli o contrari all’imposta. Lo scontro è destinato a proseguire in Parlamento, dove il governo ha già fatto sapere che intende andare incontro ai suoi critici.

Anche se è un’imposta piuttosto comune all’estero, infatti, la tassa sulla plastica del governo Conte si configura per ora come una delle più severe che si siano viste fino a oggi, mentre il settore che colpirà, produttori e utilizzatori di plastica monouso italiani, è uno dei più forti e più in grado di farsi sentire di tutta Europa. Già oggi si parla di rendere l’imposta graduale e di aumentare l’aliquota nel corso dei prossimi anni. Una decisione arriverà probabilmente entro la fine dell’anno, quando la legge di bilancio sarà approvata. Per sapere se e quanto l’Italia riuscirà a ridurre il suo ancora rilevante consumo di plastica usa e getta, invece, dovremo aspettare un po’ di tempo in più.