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  • Mercoledì 6 novembre 2019

Chi è Espérance Hakuzwimana Ripanti

"Sono nera, italiana, donna, e scrivo": sarà stasera all'Assedio, sul Nove, e domenica al FLA di Pescara

La copertina del libro "E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana" di Espérance Hakuzwimana Ripanti.
La copertina del libro "E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana" di Espérance Hakuzwimana Ripanti.

Espérance Hakuzwimana Ripanti è nata in Ruanda nel 1991, durante gli anni del genocidio. Fino a tre anni è rimasta in un orfanotrofio gestito da un’associazione italiana, e dopo l’adozione è cresciuta in provincia di Brescia. Ha studiato all’università di Trento, e nel 2015 si è trasferita a Torino, dove ha frequentato la Scuola Holden. Si definisce “un’attivista culturale”, dice che la sua lotta principale è «quella alla narrazione» e fa parte di “Razzismo brutta storia”, un movimento che lavora con bambine e bambini, ragazze e ragazzi, associazioni, scuole, carceri e biblioteche per smontare gli stereotipi alla base di tutte le discriminazioni. Inoltre, da un anno lavora per Radio Beckwith Evangelica, una radio locale piemontese dove ha un programma in cui parla di libri e attualità.

Stasera Espérance Hakuzwimana Ripanti sarà ospite a “L’Assedio”, il programma di Daria Bignardi sul Nove, e domenica 10 novembre sarà al FLA di Pescara. Nel 2019 infatti ha pubblicato il suo primo libro con la casa editrice People, intitolato “E poi basta. Manifesto di una donna nera”. Il libro parla di lei e racconta i passaggi che l’hanno portata a scoprire chi è e chi può essere. Si apre con una lettera:

«Ciao,
se ti scrivo è perché mi sento in pericolo.
E se mi sento in pericolo sono più che convinta che lo
siano tutte le persone che mi stanno accanto, che mi assomigliano o che mi ispirano.
Mi chiamo Espérance, ho ventisei anni, sono una donna e sono nera.

(…)

C’è una narrazione sbagliata e carica d’odio che sta iniziando a rendere difficile la vita di chi, come me, in questo Paese ci è cresciuto e vuole considerarlo “proprio”. Perché, in chi non ha gli strumenti per comprendere e per
capire tutto, si sta insinuando l’idea che l’origine o il colore di un corpo siano molto più importanti della sua dignità
e della sua vita. E non è giusto, è terrificante e soprattutto non è una realtà con cui sono disposta a convivere.
Ti chiedo solo questo. Racconta questa mia paura e insieme trasformiamola in forza. Fa’ luce su questa realtà che è diventata ormai quotidiana per me e per un sacco di altre vite, e che rimane sconosciuta agli altri.
Io sto usando tutta la voce che ho e anche il tempo, ma non sono abbastanza. Con qualcosa di minuscolo possiamo fare folla, possiamo fare luce e cambiare le cose.
Questa volta per davvero».

Espérance Hakuzwimana Ripanti racconta di come fino a otto anni pensasse di essere bianca, di come sia stato «crescere in un contesto in cui la tua storia è sempre l’eccezione dell’eccezione», di come non volesse fare l’attivista e di come poi invece lo è diventata. Di come ha vissuto sul proprio corpo le conseguenze del razzismo, di come è stata dissuasa a prendere parola e a impegnarsi pubblicamente, e di come ha scoperto che cosa significhi essere una donna e una donna nera in Italia, attraverso episodi minuti, quotidiani, usando prosa, lettere, citazioni, pezzi di diario, elenchi, e attraverso le frasi che si è sentita ripetere in ogni luogo e attraverso i libri degli altri.

«È da tutta la vita che sono una persona nera. Non l’ho scelto ma so benissimo cosa vuol dire. Spesso però sono gli altri a non saperlo, a dimenticarlo. Sono nera, italiana, donna, e scrivo.

(…)

La mia storia è mia e quanto ci ho sofferto e riso su lo so solo io, e quello che scelgo di raccontare appartiene a me e può essere capito e non capito, condiviso o non condiviso, vissuto o non vissuto ma comunque, alla fine, rimane mio. E se una cosa è tua vuol dire che ce l’hai dentro e con te cresce, soffre, si trasforma e ti trasforma. Il mio essere donna mia ha trasformato; il mio essere donna e nera mi ha formato negli insulti, negli approcci sessuali degli altri, nel disprezzo, nel pregiudizio e nella mancata considerazione. La mia storia è mia, ed è donna; come la parola, come la rivoluzione e la resistenza. E anche per questo mi piace da morire».