La Camera ha approvato definitivamente il taglio del numero dei parlamentari

Con 553 voti a favore e 14 contrari, nell'ultimo dei quattro passaggi parlamentari previsti per le riforme costituzionali: ma non è ancora legge

(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)
(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

Martedì pomeriggio la Camera dei Deputati ha approvato a larghissima maggioranza – 553 voti a favore, 12 contrari e 2 astenuti – la riforma che ridurrà il numero dei parlamentari, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. La riforma è stata votata dal Movimento 5 Stelle, il partito che l’ha più voluta, insieme agli alleati del Partito Democratico, di Italia Viva e di Liberi e Uguali, ma anche dai maggiori partiti di opposizione: Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Hanno votato contro, tra gli altri, i parlamentari di +Europa e Noi con l’Italia.

L’approvazione della riforma è arrivata dopo un lungo e acceso dibattito parlamentare in cui molti deputati sono intervenuti per criticarla duramente, pur annunciando di volerla votare. In diversi poi hanno detto di condividere l’idea di ridurre il numero dei parlamentari, ma hanno contestato le modalità con cui è stata scritta e approvata la legge. Roberto Giachetti, deputato di Italia Viva, ha per esempio detto che avrebbe votato la riforma per disciplina di partito, ma che avrebbe anche raccolto le firme tra i parlamentari per organizzare il referendum abrogativo.

Tra le altre cose, la riforma – che prende il nome dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro – riduce anche il numero dei parlamentari eletti all’estero, che passeranno da 12 a 8 alla Camera e da 6 a 4 al Senato.

Il taglio del numero dei parlamentari è una riforma costituzionale, e quindi è stata approvata due volte alla Camera e due volte al Senato: alle precedenti tre votazioni l’avevano votata il M5S e la Lega, alleati nella precedente maggioranza, mentre il PD aveva votato contro. L’approvazione della riforma era stata però una delle condizioni principali poste dal M5S per la formazione del secondo governo guidato da Giuseppe Conte, e il PD ha perciò cambiato posizione. Durante il dibattito che ha preceduto il voto, le opposizioni hanno criticato il comportamento del PD, accusandolo di incoerenza.

La legge non entrerà subito in vigore, sempre in quanto riforma costituzionale: nei tre mesi successivi alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, infatti, potrebbe essere presentata una richiesta di referendum confermativo da parte di un quinto dei membri di una delle due camere, di 500 mila elettori oppure da cinque consigli regionali. L’eventuale referendum confermativo, come quello che si tenne nel 2016 per decidere sulla riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi, non avrà bisogno del quorum.

Ritenuta in genere una misura che risponde a una forte domanda popolare, il taglio del numero dei parlamentari è stato molto criticato da diversi esperti e giuristi, poiché riducendo il numero di parlamentari diminuisce la rappresentanza degli elettori, rende i gruppi parlamentari più piccoli e facilmente controllabili da leader e segretari, e più in generale rischia di allontanare ulteriormente l’elettorato dalla politica. Le stesse critiche peraltro erano state espresse a lungo dal PD, che ha votato a favore all’ultima lettura alla Camera. Se la riforma venisse approvata, l’Italia diventerebbe il grande paese europeo con il Parlamento più piccolo in proporzione alla popolazione: un parlamentare ogni 151 mila abitanti, contro uno ogni circa 100-110 mila di Regno Unito, Francia e Germania. I risparmi sarebbero trascurabili, nell’ordine di qualche decina di milioni di euro all’anno.

Insieme al voto sulla riduzione del numero dei parlamentari, la maggioranza formata da PD, Movimento 5 Stelle, LeU e Italia Viva si è accordata formalmente anche su un vasto piano di riforme costituzionali che saranno discusse nei prossimi mesi. Il PD lo aveva infatti chiesto in cambio dell’approvazione della riforma sul numero dei parlamentari. Questo piano di riforme comprende quattro punti differenti. Entro dicembre le forze di maggioranza dovrebbero presentare una riforma elettorale, mentre entro ottobre dovrebbe iniziare il percorso parlamentare di tre nuove riforme costituzionali. La prima dovrebbe riformare il funzionamento del Senato, cambiando la parte della Costituzione che stabilisce la sua elezione su base regionale (una delle ragioni per cui negli ultimi anni è sempre stato difficile avere una solida maggioranza in Senato). La seconda dovrebbe essere l’abbassamento dell’età per votare per il Senato da 25 a 18 anni. Infine la modifica del numero di delegati regionali che partecipano all’elezione del presidente della Repubblica.