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  • Giovedì 12 settembre 2019

Trump avrebbe chiesto di mentire all’agenzia federale che sovrintende il meteo

I giornali americani hanno ricostruito un ulteriore sviluppo dell'assurda storia della mappa dell'uragano Dorian modificata col pennarello

(Chip Somodevilla/Getty Images)
(Chip Somodevilla/Getty Images)

Tutti i principali giornali americani scrivono che la settimana scorsa Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, ha chiesto all’agenzia federale che sovrintende le previsioni del meteo di smentire un comunicato emesso da una sezione locale del servizio meteorologico che sconfessava un tweet di Trump sulla pericolosità dell’uragano Dorian. Di fatto, Trump avrebbe chiesto ai meteorologi più alti in grado nell’amministrazione federale di mentire per coprire il fatto che avesse diffuso una notizia falsa.

Nei giorni scorsi l’agenzia ha effettivamente pubblicato un comunicato non firmato per prendere le distanze da quello emesso dalla sezione locale del servizio meteorologico. La Casa Bianca non ha smentito la ricostruzione, ma una fonte interna ha detto al New York Times che Trump non ha chiesto all’agenzia di smentire la propria sezione locale ma di «chiarire» il suo comunicato. Data la natura indipendente delle agenzie coinvolte, e il rischio nel comunicare informazioni false relative ai rischi meteorologici, i Democratici hanno criticato moltissimo l’interferenza di Trump e la commissione Scienza della Camera – controllata proprio dai Democratici – ha aperto un’inchiesta per capire esattamente cosa sia successo.

La vicenda inizia il primo settembre, nei giorni in cui l’uragano Dorian sembrava avvicinarsi alle coste della Florida. In un tweet, Trump aveva scritto che oltre allo stato costiero l’uragano avrebbe probabilmente colpito anche il South Carolina, il North Carolina, la Georgia e l’Alabama. «STATE ATTENTI!», aveva scritto Trump, senza distinguere l’intensità con cui Dorian avrebbe potuto interessare i cinque stati, e facendo intuire che gli abitanti dell’Alabama avrebbero dovuto prepararsi tanto quanto quelli della Florida.

Pochi minuti dopo il tweet di Trump, la sezione di Birmingham (Alabama) del servizio meteorologico nazionale aveva scritto che l’Alabama «NON subirà alcuna conseguenza da Dorian». Nei giorni successivi è emerso che dopo il tweet di Trump molte persone in Alabama avevano contattato le autorità per capire se avrebbero dovuto lasciare le loro case e se fossero stati disposti dei centri di evacuazione, ma come previsto dal centro di Birmingham, l’uragano Dorian non ha procurato alcun danno in Alabama. Trump avrebbe potuto lasciar perdere o ammettere di avere capito male le prime informazioni sull’uragano: invece se l’è presa moltissimo e per giorni ha insistito più volte, anche pubblicamente, sul fatto che avesse ragione.

Mercoledì 4 settembre, durante un punto sulla situazione dopo il passaggio dell’uragano, Trump ha mostrato ai giornalisti una mappa apparentemente modificata con un pennarello che risaliva al 29 agosto e dava ragione al suo tweet falso sulle aree colpite dall’uragano. La mappa riguardava le aree che secondo le previsioni della settimana precedente sarebbero state colpite dall’uragano, che dopo essere passato sulle Bahamas alla fine era arrivato – indebolito – in Florida e nel sud della Georgia: quindi non in Alabama. Una linea bianca sulla mappa mostrava le zone in cui sarebbe arrivato Dorian, ma una seconda linea tracciata a mano ampliava quest’area per includere anche l’Alabama (qui trovate la mappa originale).

(Chip Somodevilla/Getty Images)

Il giorno successivo, quando ormai Dorian si era definitivamente indebolito senza passare per l’Alabama, Trump ha chiesto nuovamente ai suoi collaboratori di occuparsi della faccenda: secondo il Washington Post Trump ha preteso un comunicato ufficiale che smentisse il tweet pubblicato quattro giorni prima dal centro di Birmingham. L’ordine di Trump ha attraversato varie fasi della catena di comando. Secondo le ricostruzioni, nelle ore successive il capo di gabinetto Mick Mulvaney avrebbe chiamato il segretario al Commercio Wilbur Ross, che a sua volta avrebbe telefonato a Neil Jacobs, il capo ad interim dell’Amministrazione nazionale oceanica ed atmosferica (NOAA), l’agenzia federale che sovrintende il servizio meteorologico.

Ross si trovava in Grecia e avrebbe chiamato Jacobs quando a Washington erano le 3 di mattina. Secondo tre fonti consultate dal New York Times, Ross avrebbe chiesto a Jacobs di prendere le distanze dai meteorologi di Birmingham, minacciando altrimenti di licenziare i vertici politici del NOAA (fra cui anche lo stesso Jacobs). In un primo momento, sempre secondo il New York Times, Jacobs si sarebbe rifiutato di eseguire gli ordini, ma il giorno successivo, venerdì 6 settembre, il NOAA ha comunque diffuso un comunicato in cui sostiene che «la sezione di Birmingham del servizio meteorologico ha twittato usando formule assolute che non erano compatibili con le probabilità messe in conto dalle previsioni disponibili in quel momento».

Il Washington Post scrive che al momento del tweet di Trump dell’1 settembre, «l’unica previsione che mostrava un potenziale impatto sull’Alabama ipotizzava soltanto la presenza di venti molto forti in una piccola porzione dello stato, ipotesi peraltro data al 5 per cento delle probabilità». Eppure il comunicato del NOAA ritiene che il centro di Birmingham stesse parlando in termini eccessivamente «assoluti» quando scriveva che l’uragano non avrebbe colpito l’Alabama.

Diversi ex dipendenti ed ex dirigenti del NOAA si sono detti esterrefatti dalla decisione dell’amministrazione di politicizzare persino le previsioni del tempo, e dall’infantile incapacità di Trump di ammettere di essersi sbagliato. «Siamo sconcertati dalla politicizzazione delle attività meteorologiche del NOAA», ha detto la deputata Democratica Eddie Bernice Johnson, che presiede la commissione Scienza della Camera. La commissione ha chiesto al segretario Ross di fornire mail, SMS e tabulati telefonici relativi a Dorian, oltre a una serie di domande a cui rispondere ufficialmente. Non è ancora chiaro se Ross lo farà.