Quindi c’è vita sul pianeta K2-18b?

La scoperta di vapore acqueo nell'atmosfera di un pianeta lontanissimo ha portato molto entusiasmo, ma K2-18b non sembra il candidato ideale per ospitare vita extraterrestre

di Emanuele Menietti – @emenietti

Una rappresentazione artistica dell'esopianeta K2-18b, con a sinistra la sua stella di riferimento e sullo sfondo un altro pianeta (ESA/Hubble, M. Kornmesser)
Una rappresentazione artistica dell'esopianeta K2-18b, con a sinistra la sua stella di riferimento e sullo sfondo un altro pianeta (ESA/Hubble, M. Kornmesser)

Se partissimo adesso a bordo di un’astronave che viaggia alla velocità della luce, in 111 anni potremmo raggiungere il pianeta K2-18b e – diamine – trovare pioggia. Secondo due ricerche pubblicate questa settimana, l’atmosfera di quel lontanissimo pianeta contiene vapore acqueo, con nuvole simili alle nostre che probabilmente producono acquazzoni. K2-18b ha inoltre una temperatura superficiale adatta per consentire all’acqua di rimanere allo stato liquido, una condizione necessaria per lo sviluppo di forme di vita, almeno per come le conosciamo. La scoperta è importante, ma nonostante qualche titolo di giornale molto entusiastico, K2-18b non sembra comunque essere un candidato ideale per ospitare vita extraterrestre: vediamo perché.

A caccia di esopianeti
Da tempo immemore, ancor prima di avere telescopi potenti come gli attuali e innovative tecniche di osservazione, ci chiediamo se ci siano forme di vita fuori dalla Terra. Dare una risposta non è semplice per pianeti relativamente vicini come Marte, dove abbiamo inviato diversi robot per farlo, figurarsi per mondi lontani miliardi di miliardi di chilometri. Grazie al telescopio spaziale Kepler della NASA, nell’ultimo decennio abbiamo scoperto che c’è una grandissima abbondanza di pianeti al di fuori del nostro sistema solare (esopianeti) in orbita intorno a stelle diverse dalla nostra, il Sole.

Non possiamo osservare direttamente questi esopianeti, perché sono troppo distanti da noi, ma possiamo rilevarne la presenza calcolando come varia la luminosità della loro stella di riferimento. Quando vi passano davanti, rispetto al nostro punto di osservazione, fanno diminuire temporaneamente la luminosità apparente della stella dandoci un indizio sulla loro presenza. Rilevare l’oscillazione richiede strumenti estremamente precisi e che non subiscano i disturbi dovuti all’atmosfera terrestre, per questo Kepler quando era in servizio era stato collocato in un’orbita a 160 milioni di chilometri da noi.

K2-18b fu scoperto nel 2015 proprio grazie a Kepler, durante l’osservazione della porzione di Spazio in cui si trova la nana rossa K2-18, una stella relativamente fredda e piccola con una massa pari a poco meno della metà di quella del Sole e un raggio pari a un terzo di quello solare. L’esopianeta si trova nella cosiddetta “zona abitale”, è cioè a una distanza tale dalla sua stella da avere una temperatura superficiale media paragonabile a quella terrestre, e quindi potenzialmente idonea a ospitare acqua senza che questa sia perennemente congelata o che si vaporizzi completamente a causa del calore prodotto dalla nana rossa.

Atmosfera da lontano
Ritenendo K2-18b un buon candidato per la ricerca di pianeti adatti a ospitare la vita, Björn Benneke dell’Università di Montreal (Canada) e i suoi colleghi hanno usato il telescopio spaziale Hubble per capirci qualcosa di più. Hanno studiato le osservazioni compiute tra il 2016 e il 2017 per stimare le caratteristiche della sua atmosfera. Le molecole e gli elementi chimici che si trovano intorno a un pianeta possono infatti dare molti indizi su cosa accada sulla sua superficie. Nel caso dell’atmosfera terrestre, per esempio, la presenza di metano ci dice che sul pianeta avvengono processi che riguardano organismi viventi.

Ma un conto è osservare l’atmosfera terrestre, così vicina, un altro è analizzare la composizione atmosferica di corpi celesti a distanze enormi e che non riusciamo ancora a colmare. Non potendo osservare direttamente gli esopianeti, i ricercatori derivano le informazioni che stanno cercando dall’osservazione della loro stella di riferimento, quando il pianeta ci passa davanti. Guardano come la luce filtrata dalla loro atmosfera cambia e sulla base di queste variazioni stimano la composizione chimica atmosferica. Non è per nulla semplice, come ha spiegato Ingo Waldmann, astrofisico dello University College London e coinvolto in una seconda ricerca su K2-18b:

Immaginate di accendere una torcia elettrica a Londra, e di osservarla da New York. Poi immaginate di dover cercare un moscerino che vi si è posato sopra: quello è l’esopianeta. Ora ciò che dovete provare a fare è scoprire di che colore siano le ali del moscerino.

Fortunatamente per i ricercatori – che hanno pubblicato le loro scoperte in due studi separati, uno su Nature Astronomy e l’altro su arXiv, con proposta di pubblicazione sull’Astronomical Journal – l’atmosfera di K2-18b è particolarmente diffusa nello spazio circostante il pianeta e quindi rilevabile con sufficiente precisione dagli strumenti di Hubble. Otto distinte osservazioni, di altrettanti transiti, hanno permesso di rilevare la presenza di vapore acqueo nell’atmosfera e successivi modelli matematici di stabilire che probabilmente sull’esopianeta si formano ammassi nuvolosi, dove l’acqua condensa portando alla pioggia, un po’ come avviene sulla Terra.

Cosa non sappiamo
Il problema è che sappiamo molto poco su K2-18b e sulla sua composizione interna. Di solito i pianeti rocciosi, come la Terra, non superano una volta e mezza le dimensioni del nostro pianeta. Questo esopianeta potenzialmente piovoso è 2,3 volte più grande della Terra, e ciò fa pensare che non abbia una superficie rocciosa. Potrebbe avere un nucleo roccioso e poi un’atmosfera molto densa intorno, oppure essere fatto per buona parte di ghiaccio. In entrambi i casi avrebbe difficilmente grandi distese di acqua sulla sua superficie, considerate essenziali per lo sviluppo di forme di vita.

Per scoprire qualcosa di più su K2-18b sarà necessario attendere qualche anno e la messa in servizio di telescopi più potenti di Hubble. L’attesa è soprattutto per il James Webb Space Telescope, un enorme telescopio spaziale la cui costruzione è stata condizionata da numerosi ritardi, ma che dovrebbe essere infine lanciato in orbita nel 2021. Con i suoi strumenti, il nuovo telescopio non solo potrà rilevare dati più precisi sulla composizione atmosferica di K2-18b, ma anche ottenere informazioni su pianeti più piccoli e certamente rocciosi, simili alla Terra.

La scoperta di un esopianeta di questo tipo con acqua nella sua atmosfera deve ancora avvenire, e quando succederà sarà un grande momento per capire meglio che cosa c’è in posti remotissimi, oltre la nostra immaginazione.