La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha condannato l’Italia per inadempimenti nella gestione della “Xylella fastidiosa”

Alberi di ulivo eradicati nell'ambito del piano contro la Xylella fastidiosa, Torchiarolo, Brindisi (LaPresse)
Alberi di ulivo eradicati nell'ambito del piano contro la Xylella fastidiosa, Torchiarolo, Brindisi (LaPresse)

La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha condannato l’Italia per inadempimenti nella gestione della Xylella fastidiosa, accogliendo un ricorso della Commissione Europea che accusava l’Italia di non avere fatto abbastanza per contenere la diffusione del batterio che da anni sta causando seri danni alle coltivazioni di olivi, specialmente in Puglia. Secondo la Corte, l’Italia non ha rispettato le direttive della Commissione Europea sulla gestione della Xylella, che prevedevano la rimozione di tutte le piante infette e di tutte le piante in un raggio di 100 metri da quelle infette, per evitare la diffusione del batterio. Secondo il ricorso della Commissione, gli inadempimenti delle autorità italiane avevano favorito la diffusione del batterio, che è ancora un grosso problema in molte parti della Puglia. La condanna non prevede altra pena se non il pagamento delle spese processuali e l’obbligo di adottare le misure previste dalla Commissione.

Il batterio della Xylella è di origine americana e non era mai stato rilevato in Europa fino al 2013, quando ne fu riscontrata la presenza in Puglia. I ricercatori se ne accorsero notando un’incidenza più alta del “disseccamento rapido dell’olivo” (OQDS), una malattia che porta gli olivi a non produrre più olive e a morire in poco tempo. La causa fu identificata nella presenza della Xylella, batterio per il quale non c’è cura, e fu consigliata la distruzione di tutti gli olivi malati per evitare pericolose contaminazioni. Nel 2015 furono organizzate grandi proteste, da parte di coltivatori e associazioni, contrari alla distruzione di piante in alcuni casi secolari (seppure oggettivamente malate). Intervenne persino la magistratura, con un’inchiesta molto discussa che tra le altre cose ipotizzò che fossero stati gli stessi ricercatori a diffondere il batterio. Questa ipotesi – giudicata da molti del tutto infondata – è stata definitivamente esclusa con l’archiviazione dell’inchiesta.