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  • Domenica 1 settembre 2019

Dietro la racchetta

Un tennista statunitense ha aperto un profilo Instagram per raccontare le storie difficili dei professionisti lontani dai primi posti in classifica e dalle finali dei tornei

(AP Photo/Andy Wong)
(AP Photo/Andy Wong)

Lunedì 19 agosto sono iniziate le qualificazioni agli US Open, l’ultimo Grande Slam della stagione di tennis: i tornei del Grande Slam sono quattro e sono i più prestigiosi, antichi e ambiti del circuito ATP, l’associazione del tennis professionistico. Se un tennista vince gli US Open, ha diritto a 2.000 punti nella classifica mondiale e ottiene un premio in denaro di 3 milioni e 850mila dollari (circa 3 milioni e 450mila euro), mentre arrivare in finale vale 1.200 punti (più di quanto vale vincere qualsiasi altro torneo ATP) e quasi due milioni di dollari. Ovviamente non sono in molti ad arrivare in fondo a un torneo del Grande Slam, e non è affatto facile entrare nelle posizioni più alte della classifica. La grande maggioranza dei tennisti professionisti – parliamo di centinaia di atleti – fa fatica a superare i primi turni dei tornei più importanti, e molti di loro non arriveranno a mettere insieme in tutta la carriera quello che Novak Djokovic ha guadagnato vincendo lo scorso torneo di Wimbledon.

Di questo grande divario tra la manciata di tennisti più forti e tutti gli altri non si parla molto, né si parla delle difficoltà che i tennisti – anche quelli più in vista – incontrano fuori dal campo. Per raccontare le loro storie un tennista statunitense di 23 anni, Noah Rubin, ha aperto una pagina su Instagram chiamata Behind The Racquet. Sulla pagina vengono pubblicate foto di tenniste e tennisti con la racchetta tirata su, davanti al volto, e nella didascalia vengono riportate le interviste che Rubin fa con loro in prima persona, in uno stile molto frammentato e un po’ sconnesso, come se Rubin trascrivesse fedelmente le testimonianze delle persone con cui parla.

Noah Rubin agli US Open del 2018 (Sarah Stier/Getty Images)

Rubin conosce le avversità che un giocatore può incontrare, essendo uno di loro. «La gente vede Federer con la coppa alla fine del torneo, con i soldi, e io penso: “Questo è quello per cui tutti stiamo faticando”», ha detto al Wall Street Journal. «Quello che la gente non vede sono i professionisti ai margini, che vanno agli eventi minori con poco pubblico e che si sbattono per sopravvivere finanziariamente». Sempre secondo Rubin, per non andare in perdita un giocatore deve tenersi al massimo tra i primi 200 al mondo, e giocare senza un allenatore. Lui è attualmente 195esimo al mondo, e gioca senza allenatore.

https://www.instagram.com/p/B1Z07kdgiVC/

I problemi per i tennisti non sono solo economici, comunque. In uno dei post di Behind The Racquet Taro Daniel, tennista giapponese di 26 anni, racconta dei problemi che ha avuto, e che ha ancora, a gestire la pressione. Daniel attualmente è 136esimo in classifica, ma è stato anche 64esimo lo scorso anno: a Rubin ha raccontato che la pressione gli arriva in parte dai tifosi suoi connazionali, in parte dalla voglia di mantenere lo status che si è creato. Qualche anno fa si trovava a suo agio a giocare in tornei minori (i cosiddetti “Challenger”), mentre dopo aver partecipato agli US Open è stato strano ritrovarsi di nuovo in un torneo Challenger con solo cinque persone a guardarlo. All’inizio pensava che la fama sarebbe stata piacevole, ma poi ha cambiato idea. «È come una droga pericolosa. Quando non c’è più, ti chiedi dove sia andata».

Un altro post ritrae e racconta la testimonianza di Katie Swan, una giovane e promettente tennista inglese. Swan ha detto a Rubin che gli ostacoli che ha incontrato non erano sempre sul campo: ci sono stati problemi familiari dei suoi allenatori e problemi di salute del suo ragazzo. Poi, superate queste difficoltà, era pronta a dare tutto nella stagione in corso, ma a inizio anno si è infortunata alla schiena e ha attraversato il punto più basso della sua carriera (oggi è 234esima nella classifica WTA, l’associazione professionistica del tennis femminile); Swan ha detto anche che bisogna normalizzare il fatto che le persone vedano uno psicologo quando attraversano momenti di difficoltà, che non bisogna trattarle come se avessero «qualche tipo di malattia».

https://www.instagram.com/p/ByI1OhTgEXL/

Anche lo stesso Rubin ha parlato delle difficoltà e dei problemi che ha avuto. Di recente è stato seguito dalle telecamere dell’emittente CBS, per mostrare com’è partecipare a un torneo Challenger a Little Rock, in Arkansas, lontano dalle telecamere e dal pubblico. In quell’occasione ha raccontato nel dettaglio le difficoltà economiche che può avere un giocatore come lui: in carriera, tra singolo e doppio, ha guadagnato 686mila dollari, ma le spese sono quasi altrettanto alte. «Sono nomade, questa è la mia vita e questo è quanto devo pagare per farla. Alla fine dell’anno, al netto delle spese, non ti rimane molto».

E ancora, ha raccontato al Wall Street Journal delle molestie costanti che ha ricevuto online da alcuni scommettitori, un altro aspetto poco raccontato dei tennisti professionisti: contattano i giocatori e li minacciano per pilotare i risultati delle partite. «Continuamente, scrivono il peggio del peggio, delle cose orribili che non potreste neanche immaginare, tipo “Tua madre dovrebbe morire all’inferno” o “Troverò la tua ragazza” e bla bla bla, sempre così».

Rubin ha delle idee su come cambiare il tennis: per esempio, ha detto che per risolvere la sperequazione tra i tennisti di alta classifica e tutti gli altri le federazioni dovrebbero permettere ai giocatori di mettere gli sponsor sui vestiti, un po’ come avviene con le maglie delle squadre di calcio. I banner sulle magliette sarebbero visibili a milioni di telespettatori, e quindi le aziende potrebbero pagare anche atleti di bassa classifica per metterceli. «Li vorrei dalla testa ai piedi, dovrebbero potermene mettere uno anche in fronte», ha detto Rubin. In realtà la possibilità di mettere gli sponsor sulle magliette già esiste nel tennis, ma solo sulle maniche e non più grandi di 5 centimetri per 8 centimetri.

Come dicevamo, poi, le difficoltà le incontrano anche i tennisti e le tenniste affermate. Petra Kvitova, ex numero due al mondo, ha partecipatoBehind The Racquet raccontando l’aggressione che subì a dicembre del 2016, in Repubblica Ceca mentre era a casa sua, e le gravi ferite che riportò alla mano sinistra, quella con cui impugna la racchetta. Kvitova ha raccontato la paura di non poter tornare a giocare ai livelli a cui era abituata, e le difficoltà del recupero: «Mi è mancato molto stare sul campo, essere competitiva. I giocatori di tennis devono affrontare molti aspetti duri del loro lavoro, tipo essere in viaggio per lunghi periodi, e gli alti e bassi del gioco. Sapevo che mi sarebbe mancato, chiedevo solo la possibilità di giocare e vincere, era ciò di cui avevo bisogno». Nel 2017 tornò in campo, al Roland Garros, il Grande Slam di Parigi. Ha raccontato di aver avuto dei flashback dell’aggressione durante la partita, e di aver pianto alla fine, ma anche di essere orgogliosa di essersi concentrata per la maggior parte del tempo sul gioco.

Petra Kvitova dopo la finale persa agli scorsi Australian Open, la prima giocata a due anni dall’aggressione, e Naomi Osaka in primo piano, la vincitrice del torneo, 26 gennaio 2019 (Mark Kolbe/Getty Images)