La strage di Viareggio, dieci anni fa

Il 29 giugno di dieci anni fa un treno merci deragliò provocando un incendio e l'esplosione di tre palazzine: morirono in 33

(Getty Images)
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La sera del 29 giugno 2009, dieci anni fa oggi, un treno merci deragliò poco dopo aver superato la stazione di Viareggio, in Toscana. Trasportava GPL — gas di petrolio liquefatto — che fuoriuscì da uno dei carri cisterna del treno causando un incendio e l’esplosione di tre palazzine adiacenti alla stazione. Ci furono 33 morti: 11 persone morirono subito per le ustioni o per il crollo degli edifici, altre 20 morirono in ospedale nelle settimane e nei mesi successivi mentre 2 anziani, Angela Monelli e Italo Ferrari, morirono di infarto, probabilmente a causa dello spavento dovuto all’esplosione.

Lo scorsa settimana la Corte di appello di Firenze ha condannato a 7 anni Mauro Moretti, ex amministratore delegato di Ferrovie dello Stato e di Rete Ferroviaria Italiana, nel processo per la strage. Si è trattato di una conferma della condanna decisa in primo grado. La corte di appello ha anche condannato a 6 anni Michele Mario Elia, ex amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana, e Vincenzo Soprano, ex amministratore delegato di Trenitalia. Sono state sentenze molto controverse, che non hanno esaurito le polemiche intorno alle dinamiche e alle responsabilità per l’incidente.

L’incidente

Il treno merci 50325 Trecate-Gricignano composto da un locomotore e 14 carri cisterna contenenti GPL deragliò a 400 metri di distanza dalle banchine della stazione, a fianco delle quali era appena passato alla velocità di 90 chilometri orari, dunque sotto il limite stabilito dei 100. A seguito del deragliamento, nel primo carro cisterna si aprì uno squarcio da cui uscì il GPL, che passò dallo stato liquido non infiammabile a quello gassoso. Il GPL è un gas più pesante dell’aria, quindi non si disperde ma rimane vicino al terreno, “colando” verso la pendenza più vicina.

Gran parte del gas si riversò verso una delle due vie che corrono parallele alla linea ferroviaria: via Ponchielli. Questa strada non era separata dai binari, al contrario di via Antonio Cei sul lato della ferrovia rivolto verso il mare. Nel giro di pochi istanti il gas incontrò qualcosa che ne causò l’innesco. L’esplosione venne sentita in tutta Viareggio; molti testimoni ricordano di un boato molto forte e vibrazioni così intense da ricordare un terremoto. Una colonna di fuoco si alzò per decine di metri, visibile da ogni angolo della città. Tre palazzine di via Ponchielli esplosero e molte automobili presero fuoco.

Subito dopo il deragliamento, i due macchinisti alla guida del treno merci, Andrea D’Alessandro e Roberto Fochesato, abbandonarono la locomotiva e si salvarono scavalcando il muro tra la ferrovia e via Cei, riparandosi nella vicina sede della Croce Verde. I macchinisti non si resero conto dei problemi del treno fino a deragliamento avvenuto, perché il locomotore non aveva specchietti retrovisori né un sistema di telecamere o sensori per monitorare i carri dietro alla locomotiva.

Le cause

Nel maggio del 2016 la piccola casa editrice “Piano B edizioni” ha pubblicato I treni non esplodono. Storie dalla strage di Viareggio di Federico di Vita e Ilaria Giannini, un libro che raccoglie le testimonianze di 23 persone che hanno assistito all’incidente o si possono considerare vittime della strage. Nel libro vengono anche spiegate – grazie alle deposizioni del capostazione Carmine Magliacano e del deviatore Giovanni Cosentino, che il 29 giugno 2009 erano in servizio alla stazione, e a quelle dei macchinisti – le ragioni per cui è avvenuto il deragliamento.

Secondo i periti della procura di Lucca, responsabile delle indagini sull’incidente, il deragliamento avvenne perché l’assile 98331 (in ambito ferroviario per “assile” si intende l’asse che congiunge due ruote di un veicolo ferroviario) del treno merci si spezzò per una frattura causata dalla ruggine, coperta da tre strati di vernice. Sempre secondo i periti della procura, la frattura avrebbe dovuto essere rilevata durante i controlli di manutenzione: nel novembre del 2008, sette mesi prima dell’incidente, l’assile era passato per l’Officina Jungenthal di Hannover e nel febbraio 2009 il carro cisterna era passato dall’Officina Cima di Bozzolo (Mantova), che lo aveva montato.

La ragione per cui la cisterna da cui fuoriuscì il GPL si squarciò è stata il principale argomento di disaccordo al processo. I periti della procura di Lucca, i consulenti tecnici dei parenti delle vittime e la commissione di indagine del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si sono trovati d’accordo nello stabilire che lo squarcio si sia aperto a causa dell’urto contro un picchetto di regolazione curve. Dal 2001 Ferrovie dello Stato aveva cominciato a sostituire i picchetti con sistemi di misurazione GPS, ma nel 2009 erano stati sostituiti solo sulle linee ad alta velocità.

Secondo i periti delle Ferrovie di Stato fu invece un pezzo dello scambio a causare lo squarcio: la “piegata a zampa di lepre”, cioè un elemento che non può essere eliminato dallo scambio. Se fosse stata la piegata a forare la cisterna, le responsabilità delle Ferrovie sarebbero state meno gravi. Anche i periti nominati dal giudice per le indagini preliminari avevano detto che lo squarcio fu causato dalla piegata, ma ha fatto molto discutere il fatto che uno di questi fosse titolare di un incarico di consulenza conferitogli dal ministero dei Trasporti e al quale contribuisce anche Rete Ferroviaria Italiana, uno degli imputati.

La ragione per cui le tre palazzine di via Ponchielli esplosero fu che non c’era nessun tipo di separazione tra i binari e la strada; in caso contrario il gas non si sarebbe diffuso tra le abitazioni di quell’area. Era dal 2001 che alcuni residenti di via Ponchielli chiedevano l’installazione di una barriera anti-rumore che separasse la strada dai binari: secondo i periti della procura di Lucca, una simile barriera avrebbe limitato gli effetti del deragliamento contenendo circa l’ottantaquattro per cento del gas fuoriuscito. Dopo la strage è stato costruito un muro.

Il processo

Le indagini della procura di Lucca sull’incidente durarono tre anni e si conclusero il 28 giugno 2012: gli indagati furono 32 persone e 9 società, tra cui Mauro Moretti, l’allora amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana Michele Mario Elia (che poi prese il posto di Moretti fino al 2015) e quello di Trenitalia Vincenzo Soprano (che ha ricoperto quel ruolo fino al 2015), e poi amministratori, dirigenti e dipendenti di Gatx (la multinazionale americana proprietaria dei carri cisterna), Fs Logistica, Officina Jungenthal (a sua volta controllata da Gatx) e Officina Cima. Il comune di Viareggio, la provincia di Lucca e la Toscana si costituirono parti civili, mentre lo Stato no.

Nella sentenza di primo grado del 31 gennaio 2017 otto imputati vennero assolti, venticinque furono invece condannati a vario titolo per disastro ferroviario, omicidio colposo plurimo, incendio e lesioni colpose.