Avete mai visto un film come “Forrest Gump”?

Fu proiettato per la prima volta 25 anni fa e a pensarci bene fu un grandissimo azzardo, che però andò molto bene

«Non avete mai visto qualcuno come Forrest Gump in un film prima d’ora, e per quanto mi riguarda non avevo mai visto un film come Forrest Gump», scrisse Roger Ebert nel 1994, pochi giorni dopo che il film fu proiettato per la prima volta il 23 giugno. Da allora Forrest Gump si è fatto ricordare come pochi altri film sono riusciti a fare, soprattutto per merito della semplicità, dell’innocenza e della drittezza del suo protagonista, di certe sue frasi e delle emozioni che la sua storia genera. Ma Forrest Gump è anche un film ricco e difficile: «È una commedia, credo. O forse un film drammatico. O forse invece un sogno», scrisse Ebert.


Forrest Gump è davvero un film zeppo di cose: nella sinossi, nella colonna sonora, negli argomenti trattati, negli effetti speciali, nella recitazione di Tom Hanks, nella sceneggiatura di Eric Roth e nella regia di Robert Zemeckis. Fu difficile girarlo, ma ancora prima era stato difficile pensarlo e progettarlo: la produttrice Wendy Finerman raccontò che ci mise nove anni a trovare qualcuno disposto a finanziarne la lavorazione.

Forrest Gump era liberamente ispirato a un libro del 1986 che aveva venduto circa 30mila copie (pochine). Visto che nel 1988 era uscito (con grande successo) Rain Man, molti avevano paura di finire col fare un film con un personaggio troppo simile al Raymond Babbitt di Dustin Hoffman, ma con ogni probabilità peggiore e meno memorabile. Ancora più semplicemente, molti si rendevano conto di quanto potesse essere facile fallire alla grande, facendo Forrest Gump. In effetti, parliamo di un film su un uomo con un basso quoziente intellettivo e della sua difficile e ambigua relazione con una donna abusata dal padre. E queste erano solo le premesse: poi arrivavano il Vietnam, gli hippie, la droga e la prostituzione, la segregazione razziale e – per fare prima – un gran pezzo di storia politica e culturale dell’America della seconda metà del Novecento. Il tutto raccontato attraverso un lungo flashback da un personaggio che, si scopre alla fine, sta per andare a conoscere il figlio avuto con una donna che l’ha lasciato sapendosi troppo problematica per lui e che ora l’ha richiamato perché lei sta per morire, probabilmente di AIDS.

È difficile immaginare oggi cosa potesse significare proporre una storia come questa a inizio anni Novanta senza che qualcuno si spaventasse per tutto quello che poteva andare storto; e anche ragionare su come qualcuno abbia dovuto, poi, ingegnarsi per far stare in 142 minuti di film tutto quello che prevede la trama: Elvis Presley e John Lennon, John F. Kennedy e Lyndon B. Johnson, Richard Nixon e il Watergate, il football e la diplomazia del ping-pong, una storia di successo imprenditoriale nella pesca dei gamberi e un riferimento all’acquisto di azioni Apple, una serie di corse a piedi da una costa all’altra degli Stati Uniti con all’interno le idee per la nascita dello Smiley e dello slogan “Shit Happens”. Il tutto con una discreta manciata di scene madri – scene famose, di quelle che finiscono per esistere quasi da sole, anche senza il film – e un numero forse ancora più grande di frasi diventate poi citatissime: «Corri Forrest», la scatola di cioccolatini, «stupido è chi lo stupido fa».


A questo si aggiungono una colonna sonora che comprendeva Hank Williams, Aretha Franklin, i Beach Boys, Jimi Hendrix, i Doors, Simon & Garfunkel, i Lynyrd Skynyrd e Bob Dylan, e anche una serie di effetti speciali allora all’avanguardia, usati per far sì che Forrest Gump potesse stringere la mano ai presidenti americani, per inserire a computer le palline da ping-pong (hanno fatto così), per togliere digitalmente le gambe del tenente Dan, per aggiungere digitalmente la grande folla presente al Lincoln Memorial di Washington quando Forrest fa il discorso che quasi nessuno sente.

A proposito, Hanks ha raccontato che in quei momenti in cui non si sente niente, Forrest dice:

«A volte, quando le persone vanno in Vietnam, tornano dalle loro mamme senza gambe. A volte non tornano proprio. È una brutta cosa. È tutto quello che ho da dire»


Com’è quindi successo che, nonostante tutto, alla fine Forrest Gump sia diventato quel che è? Nella sua recensione, Ebert parlò di Hanks come «dell’unico attore che avrebbe potuto interpretare il ruolo» e di Zemeckis come di un regista «esperto nella magia di ciò che si può ottenere con gli effetti speciali», in particolare perché aveva già diretto Chi ha incastrato Roger Rabbit? e tutti e tre i Ritorno al futuro. Gran parte del merito fu però anche di una terza persona, spesso un po’ più trascurata: lo sceneggiatore Eric Roth, che prese un libro passato praticamente inosservato e lo trasformò nella sceneggiatura in uno dei film più ricordati di sempre. Una sceneggiatura di cui Ebert scrisse: «Ha la complessità della letteratura, non le formule del cinema».

Le storie del film e del libro, scritto da Winston Groom, sono diverse in molti aspetti. Nel libro il protagonista pesa più di un quintale– Groom disse che nella sua testa un attore adeguato avrebbe potuto essere John Goodman – e ha un deficit cognitivo particolare, perché capita anche che prenda ottimi voti in complicati esami di fisica e nella sua vita fa anche il campione di scacchi, l’astronauta e il wrestler. In sintesi, il protagonista del libro fa più cose di quello del film, ma quelle cose si incastrano meno intensamente con le più note vicende della storia americana. Il Forrest Gump del libro è poi un personaggio un po’ più sboccato e un po’ meno dolce di quello del film. Secondo Roth, lo sceneggiatore, le differenze principali furono altre:

Rovesciammo i due elementi del libro, rendendo primaria la storia d’amore e secondarie le fantastiche avventure. In più, il libro era più cinico e più freddo del film. Nel film Forrest è una bella persona, sempre fedele a quel che dice. Non ha secondi fini o opinioni su qualcosa che non sia Jenni, sua mamma o Dio.

Nel 1995, un anno dopo l’uscita del film, Groom pubblicò un sequel, Gump and Co. L’autore non gradì molto il film e ci furono anche questioni legali sul pagamento dei diritti, ma inserì il film nella storia di Gump. Si immaginò cioè che Gump fosse un vero personaggio su cui avevano fatto un film e che dopo quel film il vero Gump diventasse famoso, andasse ospite da David Letterman e conoscesse Tom Hanks. Il sequel del 1995 iniziava con le parole: «Non lasciare mai che qualcuno faccia un film sulla tua vita». Molti notarono tra l’altro che Groom cambiò e smussò il suo Gump, rendendolo un po’ più simile a quello del film.

Roth pensò anche a un sequel cinematografico, che fu però abbandonato dopo l’11 settembre 2001. Raccontò in seguito di aver pensato a scene in cui Forrest Gump ballava con la principessa Diana, finiva nel portabagagli dell’auto di O.J. Simpson e vedeva morire nel famoso attentato di Oklahoma City una ragazza nativa americana con cui aveva una relazione.

Probabilmente è stato meglio per tutti che non ci sia stato un Forrest Gump 2Perché già Forrest Gump fu un grande azzardo, che incastrando quasi alla perfezione svariate cose divenne il film con più Oscar e il secondo film per incassi di quell’anno: un film americanissimo ma dal successo mondiale e, soprattutto, uno dei pochi film di cui, anche dopo 25 anni, si può parlare dando quasi per scontata la trama e la biografia del personaggio.

L’importanza, la grandezza e la rilevanza di Forrest Gump sono facilmente dimostrabili pensando alla frase scritta 25 anni fa da Ebert – «Non avete mai visto qualcuno come Forrest Gump in un film prima d’ora, e per quanto mi riguarda non avevo mai visto un film come Forrest Gump» – e chiedendosi: ci sono film di questi ultimi 25 anni che si possono paragonare a Forrest Gump, per la forza del loro personaggio principale e l’ampiezza di respiro della storia che raccontano?