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  • Venerdì 7 giugno 2019

Le prime elezioni europee, quarant’anni fa

Furono vinte dai socialisti e portarono all'elezione della prima presidente donna di un'istituzione europea

Al centro, Simone Veil, la prima presidente del Parlamento Europeo (AP-Photo/fy/str/Thomas Meyer)
Al centro, Simone Veil, la prima presidente del Parlamento Europeo (AP-Photo/fy/str/Thomas Meyer)

Poche settimane fa abbiamo votato alle elezioni europee, le none della storia. Le prime iniziarono quarant’anni fa oggi, il 7 giugno 1979: vennero vinte dai Socialisti, portarono all’elezione della prima presidente donna di un’istituzione europea, e per molto tempo furono il risultato più visibile del percorso di integrazione europea iniziato dopo la Seconda guerra mondiale.

Il Parlamento Europeo è il diretto discendente dall’Assemblea della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), la prima vera istituzione europea, creata nel 1951 e composta da rappresentanti di Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Già nel 1960 l’Assemblea – da poco diventata organo della Comunità Europea, discendente della CECA e antenato dell’Unione Europea – propose di essere eletta direttamente dai cittadini ogni cinque anni, per aumentarne la legittimità democratica ma la proposta fu raccolta soltanto molti anni più tardi. In origine le elezioni dovevano tenersi nel 1978, ma alcuni stati non fecero in tempo ad adeguare le proprie leggi elettorali al nuovo organo (in Italia la legge è praticamente quella di allora).

Le prime elezioni europee assomigliarono parecchio a quelle che ancora oggi si tengono ogni cinque anni. Ciascun paese eleggeva una quota fissa di europarlamentari, che dovevano rappresentare tutti i cittadini europei e restavano in carica fino alla fine della legislatura. Il primo Parlamento Europeo eletto dai cittadini aveva 410 parlamentari. Ciascuno dei paesi più popolosi – Francia, Italia, Germania Ovest e Regno Unito – esprimeva 81 seggi, il resto era ripartito fra Paesi Bassi, Belgio, Danimarca, Irlanda e Lussemburgo.

I poteri del Parlamento erano ancora molto limitati, e sarebbero stati ampliati soltanto dal Trattato di Lisbona del 2009: poteva soprattutto esprimere pareri sulle proposte della Commissione Europea, e nel caso sfiduciarla, e lavorava al bilancio comunitario insieme al Consiglio. La sede ufficiale era ancora quella di Strasburgo, anche se Bruxelles si stava imponendo come sede informale del lavoro quotidiano a causa della vicinanza di altre importanti istituzioni europee.

Agli elettori le prime elezioni furono presentate come una grande opportunità democratica – fino ad allora i membri del Parlamento venivano scelti dai governi – nonché parte di un processo di integrazione europea che sembrava inevitabile. Un video didattico che fu diffuso in Italia prima del voto spiegava: «I grandi problemi di oggi non li abbiamo solo noi. In Europa per esempio ci sono oltre 6 milioni di disoccupati, e la maggior parte di essi sono giovani. Tutti i paesi della comunità ne sono consapevoli, e cercano insieme le soluzioni per uscire dalla crisi: perché ogni problema diviso per nove è un po’ meno grosso».

Alcune dinamiche però erano le stesse di oggi. John Palmer, lo storico corrispondente del Guardian alle istituzioni europee, in un editoriale pubblicato nel maggio del 1979 scrisse che «nella Germania Ovest, in Irlanda, in Belgio e nei Paesi Bassi ci sembra che le elezioni verranno usate come un comodo sondaggio nazionale per interpretare il consenso riguardo a temi nazionali». In un altro passaggio, Palmer temeva che la scarsità di leader famosi fra i candidati si riflettesse nel fatto che «i giovani politici più promettenti continuano a pensare che la loro carriera sarà migliore se rimangono a Londra o a Parigi».


Come andò
L’affluenza fu molto imponente, pari al 63 per cento dell’elettorato (un record mai più battuto). Le elezioni furono vinte dal Partito Socialista Europeo, che ottenne il 27,6 per cento dei voti staccando di un punto e mezzo i Popolari, il principale partito di centrodestra. I Socialisti andarono bene un po’ ovunque, con alcuni casi notevoli: in Germania i Socialdemocratici vinsero le elezioni davanti alla CDU, e in Francia il Partito Socialista ottenne un buon risultato, arrivando a poca distanza dai centristi – due anni prima che François Mitterrand vincesse le sue prime elezioni presidenziali.

Le forze conservatrici controllavano comunque la maggioranza relativa dell’aula, perché sparpagliati fra Popolari (di ispirazione cristiano-democratica), Democratici Europei (il gruppo dei Conservatori britannici, che con 61 parlamentari furono la delegazione nazionale più numerosa) e Democratici Progressisti, il gruppo politico della destra “gollista” francese. C’erano anche i Liberali, i Comunisti – soprattutto italiani ed europei – e un gruppo un po’ bizzarro chiamato Gruppo Tecnico degli Indipendenti di cui fecero parte anche tre europarlamentari dei Radicali italiani: Marco Pannella, Emma Bonino e Leonardo Sciascia.

Giusto, e in Italia?
Si votò soltanto una settimana dopo le elezioni politiche, vinte dalla Democrazia Cristiana col 38 per cento dei voti, otto punti in più del Partito Comunista. L’affluenza però rimase molto alta: alle politiche aveva votato il 90,95 per cento degli elettori, mentre alle europee votò l’85,65 per cento.

Alle europee sia la DC sia il PC persero qualche consenso, che scesero rispettivamente al 36 e al 29,5: ne aumentò invece il Partito Socialista, che arrivò terzo con l’11 per cento dei voti. Tutti gli altri partiti ottennero meno del 5 per cento dei voti ciascuno, ma dato che non esisteva ancora la soglia di sbarramento ben otto partiti riuscirono a eleggere almeno un europarlamentare. Fra gli eletti più in vista ci furono soprattutto il segretario del Partito Comunista, Enrico Berlinguer, l’ex presidente del Consiglio Mariano Rumor e Salvo Lima, che poi rimase in carica fino alla sua morte avvenuta nel 1992.

La prima seduta del primo Parlamento Europeo si tenne a Strasburgo il 17 luglio 1979, e servì soprattutto a eleggere la presidente dell’aula: fu nominata la nota liberale francese Simone Veil, femminista, europeista e sopravvissuta alla deportazione nazista durante la Seconda guerra mondiale.

Nel suo discorso di apertura dei lavori, che in seguito diventò molto citato e apprezzato, Veil disse:

Qualunque siano le nostre convinzioni politiche, siamo tutti d’accordo che l’elezione del Parlamento Europeo a suffragio universale sia un traguardo storico, arrivato in un momento cruciale per le persone della Comunità Europea. Tutti i suoi membri devono affrontare tre grandi sfide: conservare la pace, la libertà e la prosperità, ed è evidente che potranno farlo soltanto all’interno della dimensione europea.

 

– vedi anche: Le madri fondatrici d’Europa