• Mondo
  • Giovedì 25 aprile 2019

In Sri Lanka centinaia di musulmani si sono nascosti, per timore di violenze

In particolare rifugiati pakistani di un movimento islamico ritenuto eretico: le cose si sono complicate molto, dopo gli attentati

Alcuni membri della comunità Ahmadiyya nella moschea di Negombo, giovedì 25 aprile. (AP Photo/Gemunu Amarasinghe)
Alcuni membri della comunità Ahmadiyya nella moschea di Negombo, giovedì 25 aprile. (AP Photo/Gemunu Amarasinghe)

Un gruppo di circa 800 rifugiati pakistani musulmani è nascosto e sotto protezione in Sri Lanka dopo le tensioni religiose seguite agli attentati che hanno ucciso almeno 359 persone la domenica di Pasqua. Gli attacchi hanno colpito tre chiese cattoliche e sono stati rivendicati dall’ISIS, anche se il governo srilankese ha incolpato il National Thowheeth Jama’ath, gruppo islamista locale che potrebbe avere stabilito legami con lo Stato Islamico.

Il gruppo di rifugiati appartiene a una minoranza religiosa perseguitata in molti paesi islamici. I suoi membri sono scappati da Negombo, la città costiera dove si trova la chiesa in cui c’è stata l’esplosione più letale, che si crede possa aver ucciso in tutto 200 persone, e si sono nascosti in un luogo che molti media hanno deciso di non riferire per il rischio di ritorsioni, in un momento in cui le tensioni religiose nel paese sono tornate a livelli molto preoccupanti. Il rifugio è circondato da agenti di polizia incaricati di garantire la protezione dei rifugiati.

Negli ultimi giorni ci sono state notizie di violenze e intimidazioni subite da alcuni membri della minoranza musulmana.

Auranzeb Zabi, rifugiato pakistano che vive da due anni in Sri Lanka, ha raccontato al New York Times che dopo gli attentati di domenica un gruppo di persone ha circondato la sua casa, a Negombo. È riuscito a scappare portando con sé i due figli e trovando riparo in un posto di blocco dell’esercito, dove però è stato raggiunto dalla folla che, secondo il suo racconto, è riuscita a picchiarlo e ha chiesto ai militari di consegnarlo per essere ucciso. Il New York Times, che dice di aver parlato con decine di residenti, ha raccontato anche di gruppi di uomini cristiani che nei giorni successivi agli attentati «si sono spostati di casa in casa, rompendo finestre, sfondando porte, trascinando persone in strada, colpendole in faccia e minacciando di ucciderle».

Dopo gli episodi di violenza la polizia, insieme ad alcuni leader della comunità musulmana locale, ha aiutato il gruppo scappato da Negombo a raggiungere la località del nascondiglio in autobus. Il gruppo è composto da rifugiati pakistani dell’Ahmadiyya, un movimento islamico fondato in India alla fine dell’Ottocento e che è perseguitato in Pakistan e bandito dalle città sacre della Mecca e di Medina, perché ritenuto eretico.  Sulle recinzioni del luogo dove si stanno nascondendo sono stati appesi dei cartelli che chiedono di espellere i rifugiati pakistani. La polizia ha detto che il gruppo dovrà rimanere sotto protezione ancora per qualche giorno.

Gli attacchi del giorno di Pasqua sono arrivati dopo una decina di anni di relativa stabilità religiosa e politica in Sri Lanka, un paese che era stato segnato nei precedenti trent’anni da una sanguinosa guerra civile tra le Tigri Tamil, movimento separatista della minoranza tamil formata per lo più da induisti, e il governo rappresentante dell’etnia singalese, a stragrande maggioranza buddista. Lo Sri Lanka, nel quale vivono 21 milioni di persone, è oggi per il 70 per cento buddista, per il 12 per cento induista, per il 10 per cento musulmano e per il 7 per cento cristiano. Nonostante la grande varietà religiosa, la guerra civile non ebbe motivazioni religiose, ma più che altro etniche.

In molti si stanno chiedendo quale sarà dopo gli attentati il futuro dei rapporti tra la minoranza musulmana e quella cristiana, che finora erano stati molto buoni. Negli scorsi giorni ci sono stati molti episodi di solidarietà e vicinanza tra le due comunità, ma è successo anche che i preti chiedessero ai fedeli musulmani di non partecipare ai funerali delle persone uccise negli attacchi.