• Mondo
  • Martedì 26 febbraio 2019

Cosa c’è in ballo nell’incontro tra Trump e Kim

Il presidente statunitense e il leader nordcoreano si vedranno mercoledì in Vietnam, ma tra gli esperti circola un discreto pessimismo

L'arrivo di Kim Jong-un in Vietnam (Nhac NGUYEN/ AFP/LaPresse)
L'arrivo di Kim Jong-un in Vietnam (Nhac NGUYEN/ AFP/LaPresse)

Tra mercoledì e giovedì il presidente degli Stati Uniti Donald Trump incontrerà il dittatore nordcoreano Kim Jong-un a Hanoi, la capitale del Vietnam: sarà il secondo, storico incontro tra i due leader, dopo quello del giugno scorso a Singapore, e con ogni probabilità sarà uno degli eventi di diplomazia internazionale più seguiti dell’anno. L’obiettivo dell’incontro è lo stesso di quello precedente: la denuclearizzazione della penisola coreana e l’avvicinamento e la distensione diplomatica tra Stati Uniti e Corea del Nord, storicamente nemici fin dalla nascita dello stato asiatico. Le aspettative degli esperti, però, sono molto basse.

Negli oltre otto mesi passati dopo l’incontro di Singapore, gli sforzi per riavvicinare la Corea del Nord al resto della comunità internazionale non si sono interrotti: a settembre c’era stato un terzo incontro tra Kim e il presidente sudcoreano Moon Jae-in, dopo i due che si erano tenuti tra aprile e maggio, e il segretario di Stato americano Mike Pompeo è stato a Pyongyagng – la capitale della Corea del Nord – a ottobre. Per i prossimi mesi, in teoria, è previsto un nuovo incontro inter-coreano a Seul, la capitale della Corea del Sud: sarebbe la prima volta che un leader nordcoreano ci va, dallo scoppio della guerra di Corea.

Questi colloqui diplomatici, quindi, sono andati avanti e hanno di per sé una loro importanza, non solo simbolica. Ma fin dal summit tra Trump e Kim molti esperti hanno spiegato che i progressi nel processo di pace e nella denuclearizzazione quasi non esistono, e quindi non vanno sovrastimati. Da quell’occasione, i due leader uscirono con una dichiarazione di intenti molto vaga, senza impegni concreti: salvò le apparenze del summit e fu considerato da qualcuno un primo passo incoraggiante, ma non ha avuto effetti concreti. La Corea del Nord ha sì sospeso i test missilistici, che erano arrivati a una preoccupante escalation prima dell’incontro, ma non ha incominciato lo smantellamento del suo arsenale nucleare.

Operai compongono una bandiera nordcoreana con i fiori, nel centro di Hanoi. (Carl Court/Getty Images)

Di fatto il programma nucleare nordcoreano non si è mai interrotto, anche se Kim ha abbandonato la retorica antiamericana nei suoi comizi. Ora siamo a una specie di stallo: gli Stati Uniti chiedono una lista completa degli impianti e delle testate nucleari nordcoreane; la Corea del Nord si rifiuta di fornirla prima che gli Stati Uniti rimuovano le sanzioni economiche sul paese.

L’ottimismo sull’incontro non è particolarmente alto: questa settimana i giornali americani hanno scritto, citando fonti nell’amministrazione Trump, che gli Stati Uniti non sanno se la Corea del Nord prenda davvero in considerazione l’idea di smantellare il proprio arsenale nucleare. È una posizione che contraddice quanto detto nei mesi scorsi da Trump e Pompeo. Sembra poi che ci sia disaccordo nell’amministrazione sull’opportunità di seguire un approccio fatto di piccoli progressi, o di puntare unicamente a soluzioni drastiche. In molti hanno notato, a questo proposito, come Trump abbia abbassato le aspettative sull’incontro nelle occasioni pubbliche in cui ne ha parlato. Il New York Times scrive che, tra le altre cose, i diplomatici americani stanno cercando di ottenere un accordo con gli omologhi nordcoreani su cosa voglia dire una completa denuclearizzazione della penisola.

Secondo gli esperti, ci sono tre modi in cui può finire l’incontro. Nel primo, il migliore per la pace mondiale, Kim accetta di rallentare il programma nucleare, e firma un qualche tipo di accordo concreto sui passi da seguire per la denuclearizzione. Tra le altre concessioni che potrebbe fare Kim ci sono delle visite internazionali ai siti nucleari, e la consegna di qualche missile. Il leader nordcoreano si era anche detto disposto a chiudere il sito nucleare di Yongbyon, nel quale si sospetta che in questi anni la Corea del Nord abbia prodotto il materiale per testare bombe e altre armi.

Un operaio ridipinge la balaustra dell’edificio governativo dove si terrà l’incontro. (Carl Court/Getty Images)

In questo scenario ideale, però, gli Stati Uniti dovrebbero concedere qualcosa di grosso: in passato, Kim aveva messo come condizione per lo smantellamento del nucleare nordcoreano il ritiro delle truppe americane dalla Corea del Sud, così come delle testate statunitensi dalla penisola. Sembra però una condizione inaccettabile. Una cosa che Trump potrebbe concedere è l’interruzione delle esercitazioni militari in Corea del Sud, viste con allarme da Kim. Oppure potrebbe accettare di iniziare a rimuovere alcune sanzioni e restrizioni che non siano quelle decise dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU – le più pesanti – che Pompeo ha recentemente ribadito non essere in discussione senza una completa denuclearizzazione. Questo scenario rimane però piuttosto utopico.

Nel secondo scenario, il summit di Hanoi finisce più o meno come quello di Singapore: con una dichiarazione vaga, senza risultati concreti ma con l’accordo di proseguire i negoziati. Sarebbe, come quello di Singapore, un incontro in cui Kim ne esce legittimato a livello internazionale, senza fare vere concessioni o rinunciare a qualcosa. Questo prezzo da pagare, quindi, potrebbe essere considerato troppo alto, e le cose potrebbero scivolare nel terzo scenario, quello in cui l’incontro va male. In questo caso si potrebbe decidere di non tenerne un altro, e le relazioni diplomatiche potrebbero raffreddarsi ulteriormente, e forse tornare anche ai livelli di ostilità dell’inizio della presidenza Trump.

Ufficiali di polizia vietnamiti controllano i preparativi di sicurezza a Dong Dang, dove è previsto l’arrivo di Kim Jong-un nel paese. (Linh Pham/Getty Images)

Lunedì alcuni funzionari della Corea del Sud hanno detto che c’è la possibilità che Trump e Kim dichiarino la fine della guerra di Corea, che formalmente si chiuse solo con una tregua nel 1953. Tecnicamente, infatti, Stati Uniti e Corea del Nord sono ancora in guerra. Inizialmente, scrive il New York Times, i diplomatici sudcoreani erano scettici su questa eventualità: ma sembra che ora sia stata presa seriamente in considerazione. La dichiarazione sarebbe il primo passo verso una complesso negoziato per un vero trattato di pace.

A Hanoi sono già al lavoro i rappresentanti di Stati Uniti e Corea del Nord, per decidere l’agenda degli incontri e per controllare le disposizioni logistiche e di sicurezza. Il summit dovrebbe tenersi in una casa coloniale del governo in centro, oppure se qualcosa dovesse andare storto all’hotel Metropole. Le vie del centro sono già state addobbate con le bandiere americane e quelle nordcoreane, e per seguire l’incontro si sono registrati 2.600 giornalisti stranieri. Kim è già arrivato ad Hanoi: in treno, attraversando tutta la Cina.