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  • Sabato 23 febbraio 2019

Si vota in Moldavia

Vinceranno probabilmente i Socialisti filorussi, che potrebbero doversi alleare con l'altro partito che da anni governa il paese: le nuove opposizioni non riescono a imporsi

Un uomo passa davanti ad alcuni cartelli elettorali a Chisinau. (AP Photo/Vadim Ghirda)
Un uomo passa davanti ad alcuni cartelli elettorali a Chisinau. (AP Photo/Vadim Ghirda)

Domenica 24 febbraio ci saranno le elezioni parlamentari in Moldavia, uno dei più poveri paesi europei, diviso come molti altri dell’ex blocco sovietico tra fazioni europeiste e altre filorusse, e paralizzato da anni da un sistema politico conservatore ed estesamente accusato di corruzione. Con ogni probabilità le elezioni cambieranno gli equilibri politici del paese, senza però stravolgerne l’indirizzo: le due forze politiche che si sono spartite il potere negli ultimi anni, il Partito Socialista (PSRM) del presidente Igor Dodon e il Partito Democratico Moldavo (PDM) del potente oligarca Vlad Plahotniuc, sembrano destinate a ottenere abbastanza seggi per mantenere il controllo del Parlamento. Secondo i sondaggi, le nuove opposizioni, guidate dall’ex candidata presidente Maia Sandu, si fermeranno al terzo posto.

La Moldavia è un paese indipendente dal 1991, molto vicino alla Romania dal punto di vista culturale e demografico, ma sempre più rivolto alla Russia per quanto riguarda le simpatie e i modelli internazionali. I Socialisti, filorussi, esprimono dal 2017 il presidente, che vinse di misura le elezioni contro Sandu: ma dalle ultime elezioni parlamentari del 2014 sono diventati di gran lunga la prima forza del paese, e sono dati oltre al 30 per cento nei sondaggi. Il PDM, un partito che negli ultimi anni ha inglobato il resto della destra moldava con manovre piuttosto opache, ha attualmente la maggioranza in Parlamento ed esprime il primo ministro (nel sistema politico del paese, sia il presidente che il capo del governo hanno poteri rilevanti). Ma secondo i sondaggi si fermerà poco oltre al 20 per cento, perdendo la maggioranza.

Nel 2017, però, Socialisti e PDM approvarono una legge elettorale che assegna metà dei 101 seggi del Parlamento con delle liste proporzionali, e metà tramite collegi uninominali. La legge, criticata tra gli altri dal Parlamento Europeo, penalizza i nuovi partiti di opposizione, meno radicati sul territorio e che avranno più difficoltà ad eleggere rappresentanti nei seggi uninominali. Per questo la coalizione ACUM Platforma DA și PAS, che riunisce il partito di Sandu e quello dell’altro leader dell’opposizione Andrei Năstase, potrebbe ottenere meno seggi di quanti ne otterrebbe con un sistema interamente proporzionale: i sondaggi danno la coalizione affiancata al PDM.

Maia Sandu (PAP Photo/Andreea Alexandru)

Probabilmente, quindi, il Parlamento passerà sotto il controllo dei Socialisti: se non otterranno abbastanza seggi per avere la maggioranza, si pensa che faranno un accordo con il PDM, partito dichiaratamente europeista ma che in realtà in tempi recenti ha agito principalmente in un’ottica di conservazione del potere, insediato da processi e accuse di corruzione. Per molti moldavi, la vera forza europeista è oggi quella di Sandu e Năstase, e per questo il PDM ha provato a impostare una narrazione nazionalista, che però in un paese giovane come la Moldavia non ha avuto l’efficacia ottenuta altrove.

La legge elettorale è uno degli esempi di quello che molti giornalisti moldavi descrivono come un sistema consolidato per escludere dal potere le opposizioni. Insieme alle elezioni politiche, i moldavi voteranno anche per un referendum per ridurre da 101 a 61 il numero di parlamentari: una misura che spaventa molti critici del governo, preoccupati che possa rendere ancora più facile controllare il sistema politico per i due blocchi principali. Dodon ha già detto che se le elezioni non produrranno un vincitore chiaro, se ne terranno altre nel giro di qualche mese.

Ma ce ne sono altri di esempi, ancora più eclatanti. Nel 2018, Năstase vinse le elezioni a sindaco di Chișinău, la capitale: un tribunale – secondo Năstase ricattato dal PDM e da Plahotniuc – annullò il risultato per una presunta violazione delle regole elettorali. Năstase aveva violato il silenzio elettorale condividendo una diretta Facebook in cui invitava ad andare a votare, pratica in realtà da sempre adottata dai politici moldavi. Le elezioni comunali non sono ancora state riconvocate, ed è rimasto in carica il precedente sindaco, di centrodestra. Nonostante le molte accuse di corruzione, Plahotniuc rimane oggi il principale interlocutore dell’Unione Europea con il paese, per via della sua influenza sulla politica del paese.

Come in molti altri paesi dell’ex blocco sovietico, spesso la politica moldava è presentata come una netta contrapposizione tra europeisti e filorussi: le cose in realtà sono più complesse. Anche Politico, recentemente, ha usato il paese come esempio di come gli stati dell’Europa orientale abbiano problemi che vanno ben oltre le interferenze russe, problemi che nascono all’interno, e che si traducono quasi sempre in una politica corrotta e poco efficace.

I problemi di propaganda e interferenza russa, comunque, esistono. In Moldavia la popolazione è mediamente anziana, per via del grande esodo che ha visto emigrare un milione di persone, sui 3,5 milioni di abitanti complessivi. Tra gli anziani, l’attrattiva della Russia è fortissima: un po’ per il ricordo di un tempo in cui la Moldavia era parte di qualcosa di importante come l’Unione Sovietica, ma soprattutto per la martellante ed incessante propaganda in onda sulle televisioni nazionali, che trasmettono in larga parte programmi russi. Dodon ha incontrato molte volte il presidente russo Vladimir Putin, cercando di renderlo una figura familiare ai moldavi, e i Socialisti hanno tra i propri punti principali una maggiore collaborazione economica con la Russia.

Il presidente moldavo Igor Dodon, a sinistra, e quello russo Vladimir Putin. (Maxim Shemetov/Pool Photo via AP)

Questo progressivo avvicinamento dei cittadini moldavi alla Russia è dovuto anche al fatto che la controparte filoeuropea è rappresentata dal PDM, la cui collaborazione con l’Unione Europea è stata controversa e complicata. Dopo l’annullamento delle elezioni comunali di Chișinău, dovuto secondo molti all’intervento di Plahotniuc, l’UE aveva deciso di bloccare un finanziamento di 100 milioni di euro al paese: soldi che i Socialisti vorrebbero ottenere ora dalla Russia. Recentemente, il Parlamento Europeo ha confermato il blocco dei fondi, rimandando la decisione a dopo le elezioni, la cui regolarità sarà probabilmente un fattore determinante.

I rapporti tra Socialisti e PDM sono sì di collaborazione, ma non sono comunque paragonabili a una vera alleanza. I due partiti continuano a essere divisi: in parte per mostrarsi pubblicamente come alternativi, e in parte perché in molte cose hanno realmente interessi diversi. Nei mesi scorsi, i Socialisti si sono scontrati con il PDM rifiutandosi di firmare una legge che avrebbe modificato il settore audiovisivo, che avrebbe istituito la Festa dell’Europa nel paese, e che autorizzava la costruzione di una nuova ambasciata americana. Le leggi sono state comunque approvate dopo una sospensione di Dodon – una pratica piuttosto frequente –, ma i Socialisti hanno già detto che le annulleranno in caso di vittoria.

Da parte loro, Sandu e Năstase hanno impostato la campagna elettorale sulla necessità di riforme che modernizzino il paese e ne rendano più trasparenti le istituzioni. I loro due partiti, PAS e PPDA, esistono da pochi anni e guadagnarono consensi soprattutto durante le proteste del 2015 e del 2016, dopo un enorme scandalo bancario nel quale il paese “perse” un miliardo di euro, e dopo l’insediamento dell’attuale primo ministro. Hanno programmi e obiettivi simili, e la loro coalizione era da tempo auspicata dagli oppositori dell’attuale status quo. Soprattutto a causa della nuova legge elettorale, però, il loro peso nel futuro parlamento moldavo potrebbe essere molto esiguo.