• Mondo
  • Sabato 23 febbraio 2019

Le elezioni in Nigeria

Nella più grande potenza economica africana si eleggono il presidente e i membri del parlamento, in mezzo a diverse tensioni ed enormi problemi

di Nadia Corvino

(AP Photo/Jerome Delay)
(AP Photo/Jerome Delay)

Sabato 23 febbraio si vota in Nigeria per scegliere sia il nuovo presidente del paese sia i componenti dell’Assemblea Nazionale (Camera e Senato). Le elezioni erano inizialmente previste per la scorsa settimana, ma erano state rimandate dal Comitato elettorale nazionale indipendente della Nigeria che aveva parlato di problemi organizzativi e logistici, senza però dare ulteriori dettagli. Quelle di oggi sono le seste elezioni che si tengono in Nigeria dal 1999, quando il paese tornò alla democrazia dopo 33 anni di regime militare.

La Nigeria

La Nigeria è lo stato più popoloso e con l’economia più grande dell’intera Africa, ma con seri problemi di corruzione e sicurezza e ricorrenti blackout elettrici dovuti a una rete molto carente. È una repubblica federale, in cui il potere esecutivo è in mano al presidente. Le elezioni si svolgono ogni quattro anni e il presidente per essere eletto deve raggiungere la maggioranza semplice dei voti totali, oltre ad ottenere un quarto dei voti favorevoli in almeno 27 dei 36 stati di cui è composta la federazione.

La Nigeria conta circa 180 milioni di abitanti, di cui fanno parte popolazioni di diverse lingue ed etnie: le più numerose sono gli Hausa-Fulani, etnia di religione islamica che si trova nel nord del paese; gli Yorubas, che sono di religione sia cristiana che islamica e abitano per lo più nel sudovest, e gli Igbo, prevalentemente cristiani o seguaci di religioni tradizionali, concentrati nel sudest. Le diversità religiose e culturali sono state in passato causa di scontri, ma le violenze più gravi, quelle che hanno segnato più profondamente la Nigeria negli ultimi anni, sono state quelle compiute da Boko Haram, gruppo jihadista e terrorista che opera soprattutto nel nordest.

Altre tensioni sono state provocate dai conflitti tra mandriani e coltivatori nel centro della Nigeria, e dalle spinte indipendentiste nella zona del Biafra, nel sudovest.

I principali candidati

L’attuale presidente nigeriano è Muhammadu Buhari, ex generale di 73 anni che prima del ritorno della Nigeria alla democrazia faceva parte di un governo militare. La sua elezione, nel 2015, fu il primo passaggio di potere da un partito all’altro avvenuto in Nigeria in maniera pacifica. Nel voto del 2015 il suo partito, il Congresso di Tutti i Progressisti, sconfisse il Partito Democratico Popolare che aveva espresso tutti i presidenti dal 1999 fino a quel momento.

Buhari si è ricandidato alle elezioni di oggi – in Nigeria è possibile essere rieletti alla carica di presidente solo per un secondo mandato – tra molte critiche: è accusato di avere fatto poco o niente per fermare le violenze nel paese e per migliorare la preoccupante situazione dell’economia nazionale. Ma non solo.

Quattro anni fa Buhari vinse le elezioni promettendo di risolvere due dei maggiori problemi del paese: la corruzione e la guerra contro Boko Haram, obiettivi che sembra essere ben lontano dal raggiungere. Per quanto riguarda la corruzione, le opposizioni hanno accusato Buhari di essersi occupato solo degli scandali che hanno riguardato funzionari in carica prima di lui, o suoi avversari politici, ma non direttamente il suo governo e i suoi alleati. Le principali critiche si sono concentrate soprattutto sulla guerra contro Boko Haram: oggi si stima che i combattenti del gruppo terroristico siano circa 5mila, e che i soldati nigeriani impiegati per affrontarli siano scarsamente addestrati ed equipaggiati. Durante la campagna elettorale, Buhari aveva anche promesso di liberare tutte le studentesse rapite da Boko Haram nel 2015, ma a distanza di quattro anni diverse decine di ragazze sono ancora prigioniere.

Oltre a Buhari, comunque, ci sono altri 15 candidati alla presidenza. Il suo rivale più importante sembra essere Atiku Abubakar, 71 anni, esponente del Partito Democratico Popolare e vicepresidente del governo precedente a quello di Buhari. Sia lui che Buhari sono di etnia Fulani.

Abubakar ha un passato segnato da diverse accuse di corruzione: nel 2007 si candidò alle elezioni, ma il suo nome venne escluso dal voto all’ultimo momento proprio perché indagato. Dopo avere riattivato la sua candidatura, Abubakar arrivò terzo, e poi sostenne che le votazioni erano state truccate. Le diverse accuse spinsero gli Stati Uniti a negargli più volte un visto e Abubakar si trovò in mezzo ad alcune storie poco chiare. Per esempio nel 2009, durante le indagini in corso negli Stati Uniti su William J. Jefferson, membro del Congresso accusato e poi giudicato colpevole di corruzione, fu scoperto un freezer contenente 90 mila dollari che Jefferson avrebbe dovuto consegnare a Abubakar, il quale negò di essere coinvolto nell’intera faccenda.

I temi della campagna elettorale

Durante la campagna elettorale, Abubakar si è concentrato sull’economia e sul tema della povertà, uno dei più sentiti dalla popolazione.

La Nigeria è la più grande potenza economica dell’Africa soprattutto grazie alla presenza di giacimenti petroliferi, i cui ricavi rappresentano da soli il 9 per cento del PIL nazionale. Più della metà della popolazione vive però in condizioni di assoluta povertà. Un’altra grande preoccupazione è quella delle violenze compiute soprattutto nel nordest, dove opera Boko Haram. L’ONU ha stimato che da novembre a oggi circa 60mila nigeriani hanno dovuto lasciare la propria casa a causa degli attacchi del gruppo terroristico.

Nella cosiddetta “middle-belt“, la fascia geografica che divide il nord e il sud della Nigeria, ci sono inoltre scontri violenti tra coltivatori e mandriani. A causa del continuo aumento della popolazione, negli ultimi anni la percentuale di terre occupate dalla coltivazione è aumentata, limitando sempre di più le terre a disposizione dei mandriani. Gli scontri si sono aggravati a causa delle differenze religiose e culturali tra diversi gruppi e dell’alto tasso di disoccupazione che ha spinto sempre più persone a diventare coltivatori: solo nella prima metà del 2018, gli scontri hanno provocato la morte di 1300 persone.

Con l’avvicinarsi delle elezioni, le tensioni sono aumentate ulteriormente e c’è la preoccupazione che nuovi episodi di violenza possano impedire a molti elettori di andare ai seggi, si teme inoltre che possano iniziare degli scontri dopo il voto. Due settimane fa sia Buhari che Abubakar avevano confermato la loro adesione a un accordo che li impegnava a garantire lo svolgimento pacifico delle elezioni.