La crisi di Hyundai

Fino a pochi anni fa era vista come un'azienda con grandi prospettive di crescita ma oggi ha sempre più difficoltà, soprattutto in Cina e Stati Uniti

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)

Alla fine di ottobre l’agenzia di rating Standard & Poor’s (S&P) ha declassato il giudizio sulla casa automobilistica sudcoreana Hyundai e la sua affiliata Kia, portandole da un rating di A- a uno di BBB+. È la prima volta in vent’anni: l’ultimo declassamento per Hyundai era arrivato nel 1998, al culmine della crisi finanziaria che colpì diversi paesi del sud-est asiatico. La decisione di Standard & Poor’s è arrivata pochi giorni dopo la pubblicazione dei risultati finanziari del terzo trimestre del 2018 da parte di Hyundai, giudicati molto deludenti dagli investitori, specialmente per quanto riguarda Cina e Stati Uniti, i due più importanti mercati nel settore automobilistico.

Se si esclude il mercato sudcoreano, le vendite di Hyundai nell’ultimo trimestre sono diminuite dello 0,4 per cento e il profitto netto è stato di 269 miliardi di won (circa 210 milioni di euro), il più basso degli ultimi sette anni: tutto questo nonostante una crescita sul mercato europeo. Fino a pochi anni fa Hyundai era vista da molti come una delle aziende automobilistiche con più possibilità di crescita, capace di far concorrenza anche ai colossi, ma oggi di quelle prospettive sembra rimasto poco.

I problemi in Cina e Stati Uniti
Il calo di vendite di Hyundai in Cina e Stati Uniti è coinciso, paradossalmente, con la crescita nel mercato europeo, che però ha inciso poco o niente sui numeri complessivi. Una delle cause dei risultati negativi dell’ultimo trimestre sono stati i 500 miliardi di won (circa 390 milioni di euro) che Hyundai ha dovuto spendere per richiamare molte auto con un difetto di funzionamento agli airbag e al motore, e per implementare un nuovo sistema di sicurezza sulle auto. Ma questo è solo uno di vari problemi che l’azienda ha dovuto affrontare, e che vengono da lontano.

Nel 2009 in Cina, per esempio, solo General Motors e Volkswagen vendevano più di Hyundai e della sua affiliata Kia messe insieme; oggi Hyundai e Kia occupano la nona posizione nella classifica delle aziende automobilistiche che vendono di più e ormai hanno solo il 4 per cento della quota di mercato, meno della metà rispetto allo scorso anno. È un crollo che sta costringendo Hyundai a rivedere tutti i suoi piani per tornare a competere sul mercato cinese. Com’è successo che un’azienda virtuosa nel giro di pochi anni abbia perso una così importante fetta di mercato? Ci sono diverse spiegazioni che riguardano il tipo di auto prodotte, i prezzi, il design, e la politica.

Le ragioni delle difficoltà
Secondo gli esperti del settore le ragioni di questa crisi vanno ricercate principalmente nelle scelte sbagliate fatte nel corso degli anni dalla dirigenza di Hyundai. L’azienda ha voluto investire in macchine costose, che competessero con le più grandi aziende mondiali, ma hanno trascurato le auto economiche, accessibili da più persone. Questo ha causato molti problemi in particolare in Cina, dove le imprese automobilistiche locali, più piccole di Hyundai, ne hanno approfittato per inserirsi in un settore di mercato lasciato scoperto. Da un lato Hyundai ha cercato di imporsi come un marchio “premium” (non riuscendoci) e dall’altro ha ignorato il settore economico: così facendo si è trovata schiacciata in un mercato troppo competitivo.

La strategia di Hyundai si è rivelata fallimentare non solo per i prezzi troppo alti delle auto, ma anche per la scelta dei modelli prodotti. Tanto il mercato cinese quanto quello statunitense richiedono sempre più SUV, auto grandi e spaziose, magari non le più belle da vedere e non le più avanzate tecnologicamente, ma comode e a prezzi moderati. I dirigenti di Hyundai invece, come ha spiegato a Reuters Ed Kim, product manager per Hyundai negli Stati Uniti dal 2004 al 2008, hanno sempre creduto che il business principale della loro azienda fossero le berline, e – nonostante le ricerche di mercato dicessero il contrario – hanno insistito a produrre pochi SUV.

Lo scorso anno tra le auto vendute da Hyundai negli Stati Uniti solo il 36 per cento sono stati SUV mentre per General Motors, per esempio, sono stati il 76 per cento. È un dato importante che fa capire quanto poco l’azienda sudcoreana si sia interessata a un settore di mercato fondamentale. Quest’anno ha provato a rimediare e ad aprile ha lanciato un nuovo SUV, il modello Encino, soprattutto per andare incontro ai bisogni dei clienti cinesi, ma non sembra aver funzionato molto. L’Encino è sì un SUV, ma troppo piccolo e ancora troppo costoso per far tornare Hyundai a competere sul mercato cinese. L’obiettivo era venderne 60mila all’anno, ma a sei mesi dal lancio ne sono stati venduti appena 6mila.

Dalla crisi diplomatica del 2017 a oggi
Le difficoltà di Hyundai con il mercato cinese non sono una cosa recente: già nell’agosto del 2017 ci fu un crollo delle vendite che iniziò a preoccupare gli investitori. In quel caso a generare il problema fu una disputa diplomatica tra i governi di Pechino e Seul. L’azienda sudcoreana dovette interrompere la produzione nelle sue fabbriche cinesi per diversi giorni a causa delle tensioni diplomatiche seguite alla decisione di costruire un sistema missilistico in difesa della Corea del Nord e al boicottaggio da parte dei clienti cinesi dei prodotti sudcoreani.

Intanto qualcosa però si muove e tra i vecchi dirigenti si sta facendo largo Chung Eui-sun, figlio dell’attuale presidente di Hyundai Chung Mong-koo e nipote del fondatore. Chung Eui-sun, che ha 48 anni, è stato promosso vicepresidente a settembre ma in sostanza è già lui a guidare l’azienda al posto del padre. Sotto di lui Hyundai dovrà riuscire a riconquistare il terreno perso nei confronti degli avversari, rinnovarsi e investire in ricerca e sviluppo, ma gli errori fatti in passato sono stati molti e per tornare competitivi in Cina e Stati Uniti ci vorrà ancora molto tempo.