Perché Milano è “la città della Moda”

Quando è cominciata questa cosa? Come è cominciata?

di Fabio Zaccaria

Una modella attraversa la strada durante la Fashion Week nel 2015 (GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)
Una modella attraversa la strada durante la Fashion Week nel 2015 (GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)

Che Milano sia la “città della moda” è noto e condiviso. Secondo i dati della Camera di commercio di Milano, Monza e Lodi, solo le due fashion week (gli eventi in cui, a febbraio e settembre, oltre cento stilisti presentano le proprie collezioni: “ci sono le sfilate”, come dicono i milanesi in cerca di un taxi) generano circa 350 milioni di euro di indotto, coinvolgendo 137mila operatori e 18mila imprese.

Il percorso che ha portato la città a questo primato iniziò nel 1935 a Torino, quando con l’obiettivo di promuovere la moda italiana a livello nazionale e internazionale nacque l’Ente nazionale della moda italiana. Erano anni in cui l’unico vero brand italiano di successo all’estero era Salvatore Ferragamo (che da Firenze faceva le scarpe per Mary Pickford, Douglas Fairbanks e Rodolfo Valentino).
A cavallo fra il ‘45 e il ’60, grazie alla forte ripresa del mercato, importanti sfilate si tennero anche a Milano, Roma, Venezia. Ma il primato era allora di Firenze dove nel 1951 si tenne il First Italian high fashion show, una manifestazione nata per presentare abiti e accessori italiani a compratori americani, la cui attenzione per la moda italiana era garantita dal successo dei film di Cinecittà (nei quali i divi del cinema indossavano gli abiti delle sorelle Fontana e della sartoria Caraceni).

Contemporaneamente si creò una divisione dei compiti: Roma si dedicò all’alta moda, Firenze alla moda-boutique (l’abbigliamento realizzato in piccoli laboratori artigiani e commercializzato in atelier spesso di proprietà di famiglie nobili e alto-borghesi), mentre a Torino e Milano cominciarono a essere prodotti i primi abiti di confezione, in francese i capi prêt-à-porter: giacche e camicie cucite in taglie standard e pronte da indossare.
Ancora nel 1956, gli abiti di sartoria rappresentavano l’80 per cento dell’intero fabbisogno di abbigliamento. Chi voleva un abito, a quell’epoca, andava dal sarto che gli prendeva le misure e poi cuciva il vestito partendo dai rotoli di stoffa. E la cosa valeva per tutti: dai grandi industriali agli operai, che magari potevano permettersi un solo completo in tutta la propria vita.

A cambiare le cose furono gli anni del Boom economico prima e della rivoluzione studentesca dopo, affiancati da un contesto singolare: Milano era nel frattempo diventata sede dei principali editori italiani (Rusconi, Mondadori e Rizzoli). In quegli anni la moda si trasformò in un’industria culturale, a metà fra l’impresa manifatturiera classica e l’industria intellettuale, e Milano era l’unica città ad avere gli strumenti per poterla promuovere.
Dagli anni Settanta l’abbigliamento diventò manifesto di affermazione sociale, strumento di protesta, dichiarazione di appartenenza politica, oggetto di saggi di sociologia e tema fondamentale di riviste come Grazia, Amica, Vogue, Cosmopolitan, Rakam e Annabella. Furono gli anni in cui nacque Milanovendemoda (antesignana dell’attuale fashion week), la cui prima edizione si tenne nel tendone di un circo alle porte della città (mentre a Firenze già si sfilava a Palazzo Pitti). Nel 1978 Giorgio Armani (piacentino di nascita, ma milanese d’adozione) vestì Diane Keaton alla notte degli Oscar e due anni dopo Richard Gere per il suo ruolo nel film American Gigolo: e divenne il più riconoscibile simbolo mondiale della Moda milanese.

Furono quindi il successo del prêt-à-porter e la sua affermazione a livello mondiale, ripresa e alimentata dall’editoria di settore, ad alimentare il sorpasso di Milano su tutte le concorrenti. Da lì a poco, la Milano craxiana e socialista, la Milano-da-bere, la Milano degli yuppies, di Gianfranco Ferrè, di Valentino e di Gianni Versace diventò capitale della moda a livello mondiale e simbolo di un periodo di successi e leggerezze ben rappresentato dall’enfasi sulla Moda. Superate le inchieste sulla corruzione che ebbero Milano protagonista negativa, e la crisi dei mercati internazionali, Milano riuscì a mantenere la propria leadership per buona parte degli anni Novanta, permettendo l’affermazione di nuovi brand come Prada, la cui prima collezione di prêt-à-porter risale solo al 1989. Perso negli anni Duemila il ruolo di protagonista maggiore a livello mondiale, rimane oggi, insieme a Parigi, Londra e New York, fra le quattro grandi città più importanti, e per l’Italia “la città della Moda”.

Questo e gli altri articoli della sezione Milano per profani sono un progetto del corso di giornalismo 2018 del Post alla scuola Belleville, pensato e completato dagli studenti del corso.