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  • Giovedì 27 settembre 2018

Cosa faranno i laburisti con Brexit?

Da qualche tempo un pezzo del partito chiede a Jeremy Corbyn di appoggiare un nuovo referendum: lui per ora non ci sente

(Christopher Furlong/Getty Images)
(Christopher Furlong/Getty Images)

Due giorni fa si è conclusa a Liverpool l’assemblea del Partito Laburista britannico, il principale partito di centrosinistra del Regno Unito. Si è discusso di un sacco di cose ma soprattutto di Brexit: un tema su cui i laburisti non sembrano avere le idee chiarissime, nonostante le trattative con l’Unione Europa dovrebbero concludersi nei prossimi due mesi.

Queste contraddizioni sono emerse anche durante il discorso del portavoce laburista per Brexit, Keir Starmer. A un certo punto, parlando della possibilità di un nuovo referendum di Brexit, Starmer ha detto che «nessuno vuole escludere la possibilità di rimanere» nell’Unione Europea. Buona parte del pubblico, composto dai delegati del partito, ha cominciato ad applaudire fragorosamente, alzandosi anche in piedi. Starmer è sembrato stupito dalla loro reazione, e ha faticato a riprendere il filo del discorso. Il segretario del partito Jeremy Corbyn è un noto euroscettico, e in un’intervista successiva all’intervento di Starmer si è limitato a dire che era a conoscenza del testo del discorso, senza aggiungere altro.

L’ambiguità di Corbyn è comprensibile. Al referendum del 2016 una fetta consistente degli elettori laburisti – circa uno su tre – votò per uscire dall’Unione Europea, nonostante quasi tutti i dirigenti avessero fatto campagna per rimanere, pur senza troppo entusiasmo. Il consenso che Corbyn ha costruito da allora, e che ha portato i laburisti a numeri molto alti nei sondaggi, è stato costruito in parte grazie al recupero dello storico blocco sociale del partito laburista: la classe bianca medio-bassa, spinta a votare per Brexit dalla promessa di notevoli benefici economici e sociali.

Quei benefici finora non si sono materializzati; e oggi, anche a causa di una gestione complicata dei negoziati da parte del governo Conservatore, sembrano sempre più remoti. Da circa un anno l’opinione comune su Brexit sembra essersi spostata: secondo un recente sondaggio di YouGov una percentuale vicina al 50 per cento dei britannici sostiene che votare per uscire dalla UE sia stata «una cattiva idea» (l’opzione opposta è sostenuta da poco più del 40 per cento degli elettori).

Fra gli attivisti e gli iscritti al partito laburista, l’ostilità a Brexit è ancora più diffusa. Un sondaggio realizzato la settimana scorsa da YouGov fra un migliaio di iscritti indica che il 91 per cento di loro ritiene che Brexit danneggerà l’economia britannica. L’86 per cento di loro, inoltre, vorrebbe tenere un nuovo referendum, un’ipotesi di cui si è tornati a parlare parecchio nelle ultime settimane. Fra i laburisti, il sostegno a un nuovo referendum che includa anche la possibilità di rimanere nella UE è diventato tale che fra le mozioni approvate nell’assemblea di partito ce n’è una che ne parla, seppure implicitamente:

I laburisti devono tenere tutte le opzioni sul tavolo, incluso fare campagna per un nuovo voto. Se il governo ha fiducia nella sua abilità di negoziare un accordo che beneficerà i lavoratori, la nostra economia e le nostre comunità, non avrà paura di sottoporre quell’accordo a un nuovo voto.

I problemi di organizzare un secondo referendum sono gli stessi di cui si parla da tempo: qualche settimana fa li aveva sintetizzati bene un articolo dell’Economist tradotto da Internazionale.

Ci sarebbe poco tempo per organizzare una nuova consultazione. Sono serviti vari mesi per approvare la proposta di legge sul primo referendum. Questo processo potrebbe essere accelerato, soprattutto adesso che il Regno Unito può contare sull’esperienza organizzativa maturata durante il primo referendum, sostiene Eloise Todd di Best for Britain, che reclama un secondo referendum. Ma Londra dovrebbe quasi sicuramente chiedere più tempo all’Ue.

La difficoltà risiede [anche] nel modo in cui verrebbe scelta l’opzione vincente. Peter Kellner, esperto di sondaggi e opinionista per la rivista Prospect, fa notare che una stessa serie di risultati potrebbe produrre tre esiti diversi, a seconda che si scelga un sistema maggioritario secco (che sceglie l’opzione che riceve la maggioranza di prime scelte), il voto alternativo (per cui l’elettore vota facendo una classifica delle sue preferenze: le seconde preferenze dell’opzione ultima classificata si aggiungono ai voti delle prime due classificate) o il sistema Condorcet (che premia il vincitore complessivo dei tre possibili scontri diretti testa a testa).

Anche per queste ragioni da settimane i laburisti spingono per nuove elezioni politiche, cosa che consentirebbe loro di concentrarsi sulla campagna elettorale (e quindi di posticipare una presa di posizione netta su Brexit). Alla chiusura dell’assemblea di partito, Corbyn ne ha parlato di nuovo in termini molto vaghi, spiegando semplicemente che appoggerà solo un piano che garantisca «gli stessi benefici di oggi»; quindi in pratica nessun piano di cui si è discusso negli ultimi due anni.

I negoziatori europei sembrano aver messo in conto che in futuro potrebbero dover negoziare con Corbyn: oggi pomeriggio è in programma a Bruxelles un incontro programmato da tempo fra lo stesso Corbyn e Michel Barnier, il capo dei negoziatori dell’UE, e Martin Selmayr, il potente funzionario europeo che si occuperà dei rapporti dell’Unione con il Regno Unito nel caso non si raggiungesse alcun accordo su Brexit.

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