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  • Mercoledì 5 settembre 2018

“Un altro giorno di morte in America”

Il giornalista Gary Younge ha preso un giorno a caso – il 23 novembre 2013 – e ha raccontato le storie di 10 ragazzini uccisi quel giorno in America da un'arma da fuoco: un estratto dal suo libro

Jaiden Dixon, un bambino afroamericano ucciso il 23 novembre 2013: il giornalista Gary Younge ha raccontato anche la sua storia nel suo "Un altro giorno di morte in America" (NBC4 WCMH-TV Columbus)
Jaiden Dixon, un bambino afroamericano ucciso il 23 novembre 2013: il giornalista Gary Younge ha raccontato anche la sua storia nel suo "Un altro giorno di morte in America" (NBC4 WCMH-TV Columbus)

In media ogni giorno negli Stati Uniti muoiono sette bambini e adolescenti a causa di una ferita d’arma da fuoco. Il giornalista del Guardian Gary Younge ha avuto un’idea semplice ma molto forte per far capire cosa significa concretamente questo numero, dati a parte: ha scelto un giorno completamente a caso, ha cercato le storie di bambini e adolescenti morti quel giorno per un colpo di pistola o fucile, e poi ha indagato sulle loro storie parlando con familiari e amici. Le loro storie sono arricchite da riflessioni intelligenti sul modo in cui i giornalisti dovrebbero occuparsi di queste storie, sulle responsabilità delle famiglie e dei media. Ne è venuto fuori un libro sensibile e molto toccante. Si intitola Un altro giorno di morte in America e si può trovare nelle librerie da oggi; lo ha pubblicato la casa editrice Add.

Younge è britannico e nero: la sua famiglia è originaria delle isole Barbados. Per via del suo lavoro di giornalista ha vissuto negli Stati Uniti dal 2003 al 2015. Sia sua moglie che i suoi due figli sono cittadini americani. La sua storia personale – di straniero in America, di persona afroamericana, di giornalista e di padre – lo ha portato a interrogarsi molto sul problema delle armi da fuoco negli Stati Uniti e in particolare delle conseguenze che ha per gli afroamericani, sia per gli eccessi della polizia contro cui è nato il movimento #BlackLivesMatter sia per la criminalità di certe città e quartieri abitati soprattutto da afroamericani. Secondo Younge, il modo in cui sono raccontate le storie delle vittime da arma da fuoco – quelle di tutti i giorni, non quelle che muoiono nelle sparatorie di massa – rivela che «le loro morti non contano granché». Dei dieci ragazzi che morirono nel giorno che ha scelto a caso per il suo libro, il 23 novembre 2013, sette erano neri, due ispanici e uno bianco.

Pubblichiamo un estratto del libro tratto dal primo capitolo, per farvi capire che tipo di libro è Un altro giorno di morte in America: non un semplice saggio, ma un libro pieno di storie che unisce alle riflessioni di Younge e di altri esperti le testimonianze di chi ha sofferto per la morte di qualcuno. Il primo capitolo riguarda Jaiden Dixon, ucciso a 9 anni. Nel brano sono citati anche sua madre Nicole Fitzpatrick, la principale persona con cui Younge ha parlato per scrivere questa storia, e i suoi fratelli Jarid Fitzpatrick e Jordin Brown, che nel 2013 avevano 17 e 16 anni. Nicole è una donna bianca e ha avuto i suoi tre figli da tre uomini diversi, tutti afroamericani; li ha cresciuti da sola. A uccidere Jaiden fu Danny Thornton, il padre di Jordin, un uomo affetto dalla condizione psichiatrica definita “amok” secondo la ricostruzione di Younge.

Younge sarà al Festivaletteratura di Mantova, che inizia oggi e finirà domenica 9 settembre. Domani alle 19.30 presenterà Un altro giorno di morte in America insieme a Francesco Costa, giornalista esperto di Stati Uniti peraltro vicedirettore del Post. L’evento ha un numero di posti limitati, si possono ancora prenotare qui.

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Era un venerdì, venerdì 22 novembre 2013, giorno del cinquantesimo anniversario dell’assassinio di John F. Kennedy. I quotidiani rievocavano con nostalgia l’innocenza perduta della nazione, la stessa innocenza che avrebbero potuto trovare nella strada di Nicole a Grove City, un sobborgo sicuro e tranquillo di Columbus che giusto quell’anno era stato eletto «città più vivibile» dell’Ohio centrale. Ed era proprio la sicurezza a spingere la gente a rimanere lì. Nicole era andata a scuola con i genitori dei compagni di classe dei suoi figli. Tra questi c’era Amy Baker, con cui era rimasta amica e il cui figlio Quentin frequentava Jaiden. Amy faceva parte della terza generazione di Baker ad aver frequentato il liceo di Grove City, sua figlia della quarta. Quando Amy e Nicole erano bambine, Grove City era considerata una cittadina rurale di provincia, un sobborgo del Midwest che assomigliava più a un villaggio del Kentucky che a un comune della periferia della più grande città dell’Ohio.

(…) Nicole, Jarid, Jordin e Jaiden vivevano sull’Independence Way, una traversa dell’Independence Street parallela all’Independence Court, tre strade che insieme formano una specie di termometro – tre vicoli ciechi, ognuno con un bulbo circolare all’estremità – disseminate di case senza steccato ma con un canestro nella maggior parte dei giardini e una bandiera americana su quasi tutti i porticati.

(…) Abitavano lì da tre anni e Nicole aveva da poco rinnovato il contratto d’affitto per altri due. «Conoscevo i vicini fino in fondo alla strada. Tutti conoscevano tutti. Non c’era criminalità. Quando Jaiden usciva a giocare ero tranquilla. Mi bastava poterlo vedere dal giardino di fronte a casa. Da quel punto di vista non avevo davvero niente di cui preoccuparmi.» Quella mattina Jaiden si era preparato in fretta guadagnandosi un po’ di tempo per giocare. Quando Nicole gli aveva tirato i calzini, lui glieli aveva rilanciati con un ampio movimento del braccio dicendole che voleva entrare come lanciatore nella squadra di baseball della Little League. Stava giocando all’Xbox e Nicole gli preparava la cartella quando, poco dopo le sette e mezzo, qualcuno aveva suonato il campanello. La routine mattutina non lo prevedeva, ma non era nemmeno un fatto straordinario. In fondo alla strada viveva un’ex compagna di liceo di Nicole e ogni tanto una delle sue figlie adolescenti, Jasmin o Hunter, veniva da loro per chiedere un po’ di zucchero o di caffè, oppure per farsi dare un passaggio a scuola. In genere prima di passare mandavano un messaggio a Jarid o a Jordin, ma capitava anche che si presentassero senza preavviso.

È per questo che quando Nicole aveva chiesto se qualcuno potesse andare ad aprire, Jaiden si era fiondato alla porta. L’aveva socchiusa piano, rimanendo nascosto, pronto a saltar fuori e urlare «Bu!» quando fosse comparsa una delle due amiche, ma nessuno si era fatto avanti. Non appena la breve eccitazione suscitata dall’arrivo di un ospite inatteso era passata, il tempo era rimasto come sospeso. Nicole si era sporta in quello spiraglio di silenzio per scoprire chi avesse suonato ma non aveva visto nessuno. Aveva guardato Jarid, che aveva fatto spallucce. Jordin si stava preparando al piano di sopra. Guardingo e curioso, Jaiden aveva fatto lentamente capolino da dietro la porta per vedere chi ci fosse. Era stato in quel momento che Nicole aveva udito lo scoppio. Il suo primo pensiero era stato: «Perché le ragazze fanno scoppiare un palloncino sulla porta? Vogliono farmi venire un colpo?».

Another Day in the Death of America
© 2016 Gary Younge
Guardian Book – Faber & Faber Ltd. – London
© 2018 add editore, Torino