Cos’è questa storia tra Di Maio e il ministero dell’Economia

C'entra una stima sugli 8mila posti di lavoro che si perderanno con il decreto dignità, che il ministro del Lavoro ha motivato parlando di “lobby”

Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, e sullo sfondo una foto del ministro dell'Economia Giovanni Tria. (ANSA/CLAUDIO PERI)
Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, e sullo sfondo una foto del ministro dell'Economia Giovanni Tria. (ANSA/CLAUDIO PERI)

Da ieri è in corso una discussione tra il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio e il ministero dell’Economia, intorno a un dato finito nella relazione tecnica che ha accompagnato il cosiddetto “decreto dignità”, il provvedimento del governo entrato ufficialmente in vigore sabato che contiene una serie di interventi in particolare sul lavoro. Il dato al centro della polemica è quello che prevede che il decreto farà perdere 8mila posti di lavoro all’anno per 10 anni, per un totale di 80mila posti di lavoro: Di Maio lo ha smentito, suggerendo implicitamente che sia stato inserito dopo non meglio specificate pressioni delle “lobby”.

Dopo che era sembrato evidente che tra Di Maio e il ministro dell’Economia Giovanni Tria ci fossero delle tensioni, domenica pomeriggio i due hanno diffuso un comunicato congiunto smentendo che ci siano in ballo delle accuse reciproche e apparentemente attribuendo le responsabilità all’altro istituto coinvolto nella polemica, l’INPS. Il comunicato aggiunge poi che la stima degli 8mila posti, che secondo molti osservatori è effettivamente strana per come prevede con previsione un fenomeno che sembra piuttosto difficile da quantificare con tale anticipo, è «priva di basi scientifiche» e «discutibile» secondo il ministero dell’Economia.

Tutto è cominciato con un video pubblicato da Di Maio su Facebook sabato pomeriggio, nel quale si è lamentato del dato, dicendo che per lui «non ha nessuna validità». Ha spiegato che il dato «è comparso nella relazione tecnica che accompagna il decreto la notte prima che fosse inviato al presidente della Repubblica», negando che sia stato richiesto da alcun ministero. Secondo Di Maio, quei posti di lavoro che si perderanno saranno a tempo determinato, e saranno compensati dai nuovi contratti a tempo indeterminato. «Questo decreto dignità ha contro lobby di tutti i tipi» ha detto Di Maio: «il mio sospetto è che questo numero sia stato un modo per cominciare a indebolire questo decreto e per dare modo di fare un po’ di caciara».

Dal minuto 9.40.

La relazione tecnica, in breve, è un documento che accompagna i decreti valutandone l’impatto sui conti dello stato e sull’economia, ed è redatto dalla Ragioneria Generale dello Stato (RGS), un organo che dipende dal ministero dell’Economia. Su Repubblica di oggi, Valentina Conte ricostruisce l’origine del numero contestato da Di Maio: non era contenuto nella prima relazione tecnica che accompagnava il decreto quando è stato approvato dal Consiglio dei ministri, lo scorso 2 luglio. A quel punto, scrive Repubblica, il ministero del Lavoro chiede all’INPS una valutazione sulle conseguenze della norma, «come sempre per provvedimenti su lavoro o pensioni». L’INPS fornisce la sua valutazione il 5 luglio, che non contiene ancora il dato sui posti di lavoro persi, e il ministero la condivide con la Ragioneria.

La sera dell’11 luglio, continua Repubblica, il capo della segreteria tecnica del presidente dell’INPS Luciano Busacca ha inviato una mail alla Ragioneria e all’ufficio legislativo del ministero del Lavoro, contenente la seconda relazione tecnica: quella con il dato sugli 8mila posti di lavoro in meno all’anno, che richiederebbero oltre 60 milioni di euro annui per i sussidi di disoccupazione. Secondo Repubblica, al ministero del Lavoro «intuiscono il devastante impatto della tabella», ma non possono più fare niente perché il decreto deve essere firmato il giorno successivo dal presidente della Repubblica: «capiscono – così sostengono – che la Ragioneria ha chiesto un supplemento di analisi all’INPS senza avvertire il ministro». La Ragioneria quindi ha certificato la nuova relazione dell’INPS, di cui secondo Repubblica il ministero del Lavoro era quindi al corrente.

Ora, secondo i giornali, Di Maio è arrabbiato con il ministro dell’Economia Giovanni Tria e con i tecnici del suo ministero, confermati dalla vecchia gestione di Pier Carlo Padoan. «In cima alla lista, i due giudici del Consiglio di Stato Roberto Garofoli e Francesca Quadri, capo di gabinetto e del coordinamento legislativo al MEF», scrive Repubblica, che sostiene che il M5S stia pianificando di sostituirli. Domenica Di Maio e Tria hanno però provato a smentire queste ricostruzioni, con un comunicato congiunto in cui sembra escludere delle responsabilità della Ragioneria, senza però fare lo stesso con l’INPS:

Il ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, Luigi Di Maio non ha mai accusato né il ministero dell’Economia e delle Finanze né la Ragioneria Generale dello Stato di alcun intervento nella predisposizione della relazione tecnica al dl dignità. Certamente, però, bisogna capire da dove provenga quella ‘manina’ che, si ribadisce, non va ricercata nell’ambito del MEF. (…) In merito alla relazione tecnica che accompagna il dl Dignità, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ritiene che le stime di fonte Inps sugli effetti delle disposizioni relative ai contratti di lavoro contenute nel decreto siano prive di basi scientifiche e in quanto tali discutibili.