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  • Martedì 12 giugno 2018

In Argentina si decide dell’aborto

La Camera bassa dovrà scegliere se approvare una legge che superi l'attuale sistema molto restrittivo, tra le forti pressioni della Chiesa cattolica

Una giovane donna manifesta a Buenos Aires a favore della legalizzazione dell'aborto, 4 giugno 2018 (AP Photo/Natacha Pisarenko)
Una giovane donna manifesta a Buenos Aires a favore della legalizzazione dell'aborto, 4 giugno 2018 (AP Photo/Natacha Pisarenko)

Mercoledì 13 giugno la camera bassa del Congresso dell’Argentina discuterà una proposta di legge sulla legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, che ora è concessa solo in caso di stupro o se la vita e la salute della donna sono in pericolo. La nuova proposta di legge – contro cui si è schierata con forza la Chiesa cattolica – prevede la possibilità di abortire in modo legale, sicuro e gratuito entro la quattordicesima settimana, indipendentemente dalle circostanze. Secondo un rapporto di Human Rights Watch ogni anno in Argentina vengono effettuati circa 500 mila aborti clandestini; nel paese, secondo le statistiche, le complicazioni dovute agli aborti clandestini sono la principale causa di morte delle donne incinte.

In Argentina l’interruzione volontaria o indotta della gravidanza è illegale ed è punita con il carcere. Nei fatti, in Argentina così come negli altri paesi in cui l’aborto è criminalizzato, c’è un doppio livello: alcune donne riescono a ottenere aborti relativamente sicuri (ma sempre illegali) assumendo il misoprostol o affidandosi a medici privati per un aborto chirurgico, ma sono le donne che possono permetterselo e non sono molte. Per il misoprostol è molto complicato ottenere una ricetta, e ha un costo che la maggior parte delle donne e delle adolescenti non possono permettersi; per questo molte donne sono costrette ad assumere sostanze poco sicure e senza alcun controllo. I principali problemi si presentano dunque dopo la procedura. Anche in questo caso, mentre le donne che possono permetterselo si rivolgono a medici privati se qualcosa non va, a tutte le altre non resta che andare negli ospedali pubblici, dove il personale potrebbe però denunciarle alla polizia.

Una giovane attivista con uno slogan scritto sulla schiena: “Le ricche abortiscono, le povere muoiono”, Buenos Aires, 10 aprile 2018 (AP Photo/Natacha Pisarenko)

Nel 2014, l’ultimo anno di cui sono disponibili dati ufficiali, 47 mila donne sono state ricoverate in ospedale per complicazioni post-aborto. Sebbene la grande maggioranza sia stata curata e mandata a casa, ci sono stati dei casi di denuncia. Nel 2016 una ragazza di 27 anni che aveva avuto un aborto spontaneo è stata condannata a otto anni di carcere per omicidio, dopo che il personale dell’ospedale l’aveva accusata di esserselo indotto. Infine, nonostante la legge argentina consenta l’aborto in casi estremi, la sua situazione è di fatto simile a quella dei paesi dove l’aborto è assolutamente vietato. In molte province la legge non viene applicata o viene ostacolata in tutti i modi, e negli ultimi anni sono circolate molte notizie di casi di bambine stuprate a cui è stato negato un aborto legale.

Questa situazione e queste ingiustizie hanno cambiato l’atteggiamento degli argentini nei confronti dell’aborto. Nel 2004, scrive l’Economist, i due terzi delle persone erano contrari alla liberalizzazione dell’interruzione di gravidanza; secondo un sondaggio pubblicato lo scorso marzo, invece, i due terzi sono a favore.

La marcia per l’8 marzo a Buenos Aires, Argentina (AP Photo/Tomas F. Cuesta)

L’opinione del Congresso non è cambiata tanto quanto le inclinazioni degli elettori e delle elettrici. Finora le dichiarazioni di voto dei deputati sono divise equamente tra il sì e il no, e secondo gli osservatori a decidere saranno gli indecisi che sono poco più di una decina. In queste settimane ci sono state lunghe trattative e forti pressioni per convincere chi non ha ancora preso una decisione. Il presidente dell’Argentina, Mauricio Macri, che è esplicitamente contrario alla legalizzazione, ha accettato di portare il dibattito alle Camere, cosa che è stata considerata già una conquista (negli ultimi dieci anni altre sette proposte di legge presentate non avevano proseguito nell’iter legislativo). Macri ha detto che i deputati dovrebbero votare secondo coscienza e ha anticipato che se la legge dovesse definitivamente essere approvata, lui non porrà il veto. La cosa sembra però molto difficile: se il provvedimento passasse alla Camera, toccherebbe comunque al Senato, dove la maggioranza ha già detto che voterà contro.

Il progetto di legge sull’interruzione volontaria della gravidanza attualmente in discussione è stato preparato dalla “Campagna per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito” ed è sostenuto da un gruppo trasversale di deputate e deputati. La Campagna lavora dal 2005, ne fanno parte più di 300 organizzazioni soprattutto di donne e tutte sono accomunate dalla lotta per il riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi intesi come diritti umani fondamentali. La proposta di legge prevede l’aborto come diritto fino alla quattordicesima settimana (terzo mese di gravidanza) e oltre la quattordicesima in tre casi (stupro, pericolo per la vita della donna e gravi malformazioni fetali). Include l’aborto nel programma medico obbligatorio (PMO), come dunque una prestazione medica di base, essenziale, e gratuita, e stabilisce un tempo di 5 giorni dalla richiesta entro i quali deve essere garantito l’accesso al servizio. Il progetto è stato formalmente presentato da 4 deputate: Victoria Donda (del Movimiento Libres del Sur, di sinistra), Brenda Austin (dell’Unión Cívica Radical, UCR, di centro sinistra), da Romina del Plá (del Partido Obrero-Frente de Izquierda, di estrema sinistra) e da Mónica Macha (del Frente para la Victoria, FPV, dell’ex presidente Cristina Fernandez de Kirchner). Ed è stato firmato da settantuno deputati favorevoli alla legalizzazione dell’aborto appartenenti a quasi tutti gli schieramenti politici.

Alcune attrici argentine tra migliaia di altre attiviste a favore dell’autodeterminazione delle donne di fronte al Congresso di Buenos Aires, 3 giugno 2018 (EITAN ABRAMOVICH/AFP/Getty Images)

La presentazione del progetto è stata accompagnata e sostenuta da una grande mobilitazione di piazza delle organizzazioni femministe riunite nel movimento Ni una menos, nato nel 2015 dall’idea di un gruppo di giornaliste contro la violenza machista. In occasione dello scorso 8 marzo c’è stata una mobilitazione enorme nel paese con slogan soprattutto a favore della legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza. Le femministe sostengono che la scelta del Parlamento non sarà tra aborto si o aborto no, ma tra aborto legale o aborto clandestino. Chiedono anche che «le chiese» non «interferiscano» con le scelte delle donne e che nelle scuole venga insegnata un’educazione sessuale laica e con una prospettiva di genere.

Da settimane in tutto il paese ci sono anche manifestazioni contro l’aborto con persone che sfilano con fazzoletti azzurri e rosa portando bambole gonfiabili giganti che rappresentano dei feti. Sono scesi per le strade alcuni medici che avevano cartelli con scritto “non contare su di me” o “salviamo due vite”. E accanto a loro c’erano i massimi rappresentanti della chiesa cattolica locale che continua a ribadire che la vita inizia con il concepimento. La Conferenza episcopale argentina ha fatto una campagna molto invasiva contro la proposta di legge per l’interruzione di gravidanza pubblicando un documento in cui si difende la vita, ma solo quella del feto, organizzando preghiere comuni e sostenendo una lettera firmata dai preti delle baraccopoli che circondano Buenos Aires in cui si dice che va combattuta innanzitutto la povertà e che i bambini “sono il tesoro più grande”.

Óscar Vicente Ojea, vescovo di San Isidro e presidente della Conferenza Episcopale dell’Argentina, durante una “preghiera per la vita”, Buenos Aires, 7 giugno 2018 (EITAN ABRAMOVICH / AFP / Getty Images)